«Nera, Lesbica, Madre, Guerriera, Poeta*»: così si autodefiniva Audre – al secolo Audrey Geraldine – Lorde, nata il 18 febbraio 1934 a New York, ma residente a Harlem, «la capitale Nera del mondo». Bambina precoce e ribelle, irrompe nel mondo calpestando la y del suo nome, e sempre in direzione ostinata e contraria continuerà a camminare nella storia, cambiandola irreversibilmente.


Nera

I genitori di Audre, l’ultima di tre figli, si sono trasferiti dai Caraibi e affrontano con forza la loro difficile condizione di immigrati, non riuscendo tuttavia a integrarsi nel nuovo paese. A tredici anni Audre entra nella Hunter High School, una scuola femminile prestigiosa frequentata in prevalenza da ragazze bianche. Si rende conto di essere una ragazza nera in una società bianca: sono gli stessi anni in cui comincia a scrivere poesie. Sì, perché al razzismo Audre risponde con la poesia e con la rabbia. Rabbia per l’autobus passato oltre la fermata, alla vista del colore della sua pelle. Rabbia per gli stivali che hanno schiacciato la ricevuta della lavanderia, impedendole il lenzuolo pulito. Rabbia per la vecchia dirimpettaia che si beveva tutta la sua Cream Soda, rubandola ogni giorno dalla cucina in comune. Rabbia per essere zittita, per essere messa all’angolo, «freddata dall’ottica così è la vita baby». Sì, rabbia, ma quella di Audre non è furia che distrugge, è ira che genera potenza: «io sono Nera perché provengo dalle viscere della terra / ora prendi la mia parola come un gioiello in piena luce».


Lesbica

Audre scopre la sua sessualità molto giovane. Per tutta la vita lotterà per i diritti delle lesbiche e dei gay, esprimendo con voce dirompente la sua sensualità «proprio nel centro del cuore / nell’esperienza della pelle», riconoscendo il potere sovversivo dell’erotico in una «società razzista, patriarcale e anti-erotica». Quando nel 1973 il suo editore le chiederà di rimuovere Love Poem – una poesia d’amore tra donne – dalla sua raccolta in uscita, l’autrice accetterà, ma poco più tardi risponderà leggendo quei versi in pubblico, ufficializzando così il suo coming-out, con tutto il coraggio di chi sa celebrare l’amore.


Madre

Nel 1962 Audre sposa Edwin Rollins, bisessuale primariamente gay, con cui avrà una figlia e un figlio e da cui si separerà nel 1970. La maternità è un’esperienza totale per lei, perché non è soltanto madre dei propri figli, è Madre di tutti e tutte: è Madre Nera – «io vedo te Seboulisa / stampata dentro la mia nuca». Nel 1974 l’autrice viaggia nell’Africa Occidentale, accompagnata dai figli e dalla compagna Frances Clayton. Da questo momento l’africanità entra visceralmente nella sua vita e nella sua poesia, sottoforma di mito e archetipo femminile; cambia addirittura il suo modo di vestire, da ora contraddistinto da stoffe africane coloratissime.


Guerriera

Audre è una che sta sempre «in prima linea nella […] marcia verso il cambiamento», con le parole e con i fatti. Viaggia moltissimo, tra lezioni e convegni, per portare il suo discorso di inclusione, per portare al centro tutte «quelle di noi che vivono sul margine»: le sue, le nostre «sorelle outsider», quelle sempre messe a tacere, quelle che lei invita a gridare nonostante la paura, perché «non era previsto che noi sopravvivessimo». È anche grazie a Lorde se il femminismo ha incluso nel suo discorso anche le necessità specifiche delle donne nere e delle donne lesbiche. Infatti, l’autrice si è schierata contro l’accademismo bianco delle femministe americane, ponendosi come femminista intersezionale ante litteram. Ma Audre è stata anche guerriera nella malattia: l’esperienza del cancro è terribile per lei, sempre così energica e vitale: «Quanto è difficile dormire / nel mezzo della vita».
Esorcizzerà il dolore, per quanto possibile, scrivendo I diari del cancro e lasciando a numerosi versi la testimonianza del suo corpo «oltre lo sfinimento».


Poeta*

«Per le donne, quindi, la poesia non è un lusso. È una necessità vitale della nostra esistenza. Essa forma la qualità della luce all’interno della quale noi affermiamo le nostre speranze e i nostri sogni per la sopravvivenza e il cambiamento, dapprima sotto forma di linguaggio, poi di idea, infine di più tangibile azione» – queste sono le parole, impossibili da parafrasare, che Lorde ha scritto nel 1977. Ecco perché le sue parole ci sono arrivate con tutto questo impeto: perché hanno superato la pagina, ne sono schizzate fuori, in un urlo sovversivo al quale non si può restare indifferenti. La poesia è necessaria in quanto motore verso il cambiamento e questa donna straordinaria ce lo ha dimostrato: «Ma se non imparo a utilizzare / la differenza tra poesia e retorica / anche il mio potere scorrerà corrotto come muffa velenosa / o giacerà molle e inutile come un cavo scollegato».


Audre muore di tumore il 17 novembre 1992 a St. Croix (dove si era trasferita nel 1987) circondata da donne che la amano, tra cui Gloria Joseph, Dagmar Schultz e altre amiche. Perché leggere Audre Lorde oggi? Perché la sua è poesia potente, rivoluzionaria, inclusiva, esplosiva, generatrice di nuovi orizzonti e immense aperture. Perché «il potere della Donna / è / potere Nero / è / potere Umano» e noi siamo un po’ tutte, in fondo, le sue «sorelle outsider».


Segnali alla rabbia

ovvero "È da un fottio di tempo che parlo a questo angolo di strada” (da New York Head Shop and Museum, 1974)


Ecco come arrivai ad essere amata
amando me stessa senza amore.
Un giorno scivolai in quello scolo innevato di Brighton [Beach
e gli stivali che mi passavano oltre
sul marciapiede mi schiacciarono la ricevuta della lavanderia
nel fango così pensai oh cazzo adesso
non riavrò mai più il mio lenzuolo pulito e versai [lacrime amare
nella neve sotto la guancia in quello scolo di Brighton [Beach
a Brooklyn dove vivevo perché costava meno.
In una stanza ammobiliata con angolo cottura
e c’era una vecchia derelitta che abitava in fondo al corridoio
un’ebrea che sedeva tutto il giorno nella nostra cucina [comune
a piangere perché i suoi figli le facevano vivere con una [Schwartze
e mentre piangeva si scolava tutta la mia Cream Soda
ogni giorno prima che rientrassi a casa.
Poi se ne stava seduta a fissarmi mentre le fissavo le mie [zampe di pollo stufare
i venerdì che venivo pagata
e mi insegnava a lessare il mais vecchio con la buccia
perché avesse un sapore verde e fresco.
Non avevo molti piaceri quell’inverno
ma arrivai a odiare la vecchiaccia.
L’inverno che ingrassai per tutte le pannocchie stantie che [ingollavo
e lo stufato di zampe di pollo così la vigilia di Natale
non avendo regali da impacchettare
versai un flacone di Nux Vomica in una bottiglia di Cream [Soda
e me ne stetti ad ascoltare la vecchia vomitare tutta la notte.
Quando giunse primavera attraversai di nuovo il fiume
risalendo al mondo sei piani e mezzo
e un giorno all’angolo della Ottava di fronte a Wanamakers
che era bruciato mentre stavo a Brooklyn –
dove prendevo il bus per andare al lavoro ogni giorno
una mattina l’autista rallentò davanti alla fermata
(ero in ritardo pioveva e la mia giacca era fradicia)
poi accelerò senza fermarsi non appena vide la mia faccia.
Mi sono state impartite altre dosi di verità –
quella speciale forma di annientamento –
freddata dall’ottica così è la vita baby
e lasciata a morire su centinaia di strade di questa città
ma oh quell’occhiata da Captain Marvel che mi spazzolò [il cranio come una barra d’acciaio
passando oltre
e il mio cuore avvizzì lenzuola nello scolo
passavano passavano
stivali e autisti di bus
e vecchie ebree nelle cucine di Brighton Beach
MERDA! esclamò il re e l’intera corte cagò
abbattendomi
come un vento maligno
che frustava dietro l’angolo
tra la Centoventicinquesima e Lenox.

Love Poem

(da New York Head Shop and Museum, 1974)


Parla terra e benedicimi con ciò che è più ricco
fa’ che il cielo scorra miele dai miei fianchi
rigidi come montagne
stesi su una valle
scavata dalla bocca della pioggia.
E io sapevo quanto entravo in lei che ero
vento forte nella sua cava di foresta
dita sussurravano suoni
miele scorreva
dalla coppa spaccata
impalata su una lancia di lingue
sulla punta dei suoi seni sul suo ombelico
e il mio respiro
ululava nei suoi ingressi
da polmoni di dolore.
Ingorda come gabbiani reali
o un bambino
dondolo sulla terra
avanti e indietro
di nuovo


Litania per la sopravvivenza

(da The Black Unicorn, 1978)


Per quelle di noi che vivono sul margine ritte sull’orlo costante della decisione cruciali e sole per quelle di noi che non possono lasciarsi andare ai sogni passeggeri della scelta che amano sulle soglie mentre vanno e vengono nelle ore fra un’alba e l’altra guardando dentro e fuori e prima e poi allo stesso tempo cercando un adesso che dia vita a futuri come pane nelle bocche dei nostri figli perché i loro sogni non riflettano la fine dei nostri;
Per quelle di noi che sono state marchiate dalla paura come una ruga leggera al centro delle nostre fronti imparando ad aver paura con il latte di nostra madre perché con questa arma questa illusione di poter essere al sicuro quelli dai piedi pesanti speravano di zittirci Per tutte noi questo istante e questo trionfo Non era previsto che noi sopravvivessimo.
E quando il sole sorge abbiamo paura che forse non resterà quando il sole tramonta abbiamo paura che forse non sorgerà domattina quando abbiamo la pancia piena abbiamo paura dell’indigestione quando abbiamo la pancia vuota abbiamo paura di non poter mai più mangiare quando siamo amate abbiamo paura che l’amore svanirà quando siamo sole abbiamo paura che l’amore non tornerà e quando parliamo abbiamo paura che le nostre parole non verranno udite
o ben accolte ma quando stiamo zitte anche allora abbiamo paura
Perciò è meglio parlare ricordando non era previsto che sopravvivessimo.

Potere

(da The Black Unicorn, 1978)


La differenza tra poesia e retorica
sta nell’essere
pronta a uccidere
te stessa
al posto dei tuoi figli.
Sono intrappolata in un deserto di crude ferite da arma [da fuoco
e un bambino morto che trascina la sua nera
faccia spappolata fuori dai confini del mio sonno
il sangue delle sue guance e gambe crivellate
è il solo liquido d’intorno e il mio stomaco
si rivolta al gusto immaginato mentre
la mia bocca si spacca in labbra aride
senza coerenza o ragione
assetata dell’umidore del suo sangue
che gocciola nel biancore
del deserto in cui mi sono persa
senza immagini o magia
cercando di ricavare forza da odio e distruzione
cercando di guarire coi baci mio figlio che muore
soltanto il sole sbiancherà più in fretta le sue ossa.
Il poliziotto che sparò a un ragazzino di dieci anni nel [Queens
era ritto su di lui con le scarpe da sbirro nel suo sangue [di bambino
e una voce disse “Crepa piccolo figlio di puttana” e
ci sono registrazioni a provarlo. Al processo
il poliziotto sostenne in sua difesa “Non avevo notato né la statura né altro
solo il colore”. E
ci sono registrazioni a provare anche questo.
Oggi quel bianco di 37 anni da 13 anni in polizia
è stato rimesso in libertà
da 11 bianchi che hanno affermato d’essere soddisfatti
giustizia è stata fatta
e una Donna Nera che ha detto
“Mi hanno convinta” intendendo
hanno trascinato il suo metro e cinquanta di donna nera
sopra i carboni ardenti
di quattro secoli di collusione fra maschi bianchi
finché lei ha ceduto il primo vero potere che avesse mai avuto
e cementato il suo utero
per dare sepoltura ai nostri figli.
Non sono stata capace di toccare la distruzione
dentro di me.
Ma se non imparo a utilizzare
la differenza tra poesia e retorica
anche il mio potere scorrerà corrotto come muffa velenosa
o giacerà molle e inutile come un cavo scollegato
e un giorno prenderò la mia spinta adolescente
e la collegherò alla presa più vicina
stuprando una bianca di 85 anni
che è la madre di qualcuno
e mentre la colpisco fino a farla svenire e do fuoco al letto
un coro greco canterà in un tempo di ¾
“Poveretta. Non aveva mai fatto male a una mosca. Che [bestie che sono”.

Ottobre

(da Chosen Poems: Old and New, 1982)


Gli spiriti
degli anormalmente nati
continuano a vivere nell’acqua
degli eroicamente morti
nelle viscere del serpente.
Ora attraversano i miei giorni come un ponte selvaggio
ondeggiante
presa tra poesie come in una morsa
sto finendo la mia parte in questa faccenda
e come ritornerò?
Seboulisa, madre di potere,
guardiana degli uccelli
grassa e bella
dammi la forza dei tuoi occhi
per ricordare
quel che ho imparato
aiutami a dedicarmi con passione
ai compiti che sono nelle mie mani.
Porta il mio cuore a qualche sponda
che non vada in frantumi sotto i miei piedi
non lasciare che io me ne vada
prima di avere un nome
per quest’albero
sotto cui giaccio.
Non lasciare che io muoia
dovendo ancora
essere straniera.

Fonti: A. Lorde, Sorella outsider, Il Dito e la Luna, 2014; A. Lorde, D’amore e di lotta. Poesie scelte, Le Lettere, 2018


*NOTA – POETA O POETESSA? 

In generale, spiega Vera Gheno in “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole”, i linguisti consigliano di non utilizzare il suffisso -essa, in quanto storicamente usato per designare “la moglie di”, oppure per conferire una connotazione dispregiativa. È anche vero che è rischioso intervenire sui termini che sono già pacificamente nell’uso, come poetessa, appunto. In ultimo, tra poeta o poetessa, Alba Sabatini consiglia di utilizzare poeta (accompagnato dall'articolo femminile), in quanto foneticamente legato al genere femminile sin dalla sua origine latina, e in quanto associabile per analogia ad altri nomi femminili o epiceni (es: atleta). Si veda Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, estratto da “Il sessismo nella lingua italiana” a cura di Alma Sabatini per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987. La questione non ha una risposta univoca, importante è utilizzare queste parole consapevolmente.

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