Ora di pranzo, scolo la pasta mentre il mio ragazzo stende il bucato sul soppalco. Gli dico: «Hai sentito la nuova di Ernia?», e aggiungo: «Parla di aborto». Non specifico che è autobiografica. Non la conosce, dice, chiedo ad Alexa di riprodurla.

«Alexa», ripeto, «volume dieci», e il monologo in barre di Matteo Professione in arte Ernia, un po’ ninna nanna un po’ taccuino ad alto tasso di impressionismo emotivo, si impossessa del nostro monolocale: «C'era silenzio in auto mentre guidavo per l'ospedale, era la terza volta che accompagnavo tua madre, era giugno, clima mite, visite di controllo e a quel punto dell'iter non c'era rimasto molto da commentare».

Il tono è distaccato, è lo stesso tono finto-spaccone con cui spesso il ragazzo di QT8, che ha appena pubblicato il suo quarto album Io non ho paura, in apparizioni e interviste protegge la timidezza che i dischi di platino non hanno del tutto sconfitto. A metà brano mi dileguo in bagno ad asciugarmi la faccia: è la seconda volta che ascolto Buonanotte, e per la seconda volta sto piangendo.

Testimone

Non c’è nulla sulla carta che dovrebbe riguardarmi in questa canzone: sono omosessuale, non ho figli, non ho mai rischiato di averne, non so neanche se mai ne avrò. Non ho mai avuto una compagna che ha abortito. Non sono una donna: nessuno, in pubblico o in privato, ha mai preteso di immischiarsi sulle sorti riproduttive del mio corpo. Eppure ogni volta che l’ascolto in me succede qualcosa.

Ogni volta io sono con questo giovane uomo, questa giovane donna e il bambino che hanno deciso di non avere quel giorno di giugno – «Vedi, io stavo fuori già dall'arrivo, aveva un che di punitivo, tipo messo in castigo, ma nelle sale d'attesa ho capito temono che l'uomo possa fare pressione di qualche tipo» –, ogni volta prendo parte come testimone ravvicinato a questa storia specifica e senza morale, sento (e non solo «comprendo») questa decisione al di là delle semplificazioni partigiane e autopromozionali con cui ormai ci siamo abituati a maneggiare ogni cosa.

Con Buonanotte Ernia ci ricorda infatti cosa può fare la scrittura, l’arte, e perché oggi più che mai ne abbiamo bisogno: gli artisti di talento ci aiutano a non sacrificare l’ampiezza della vita ai colpi incrociati del dibattito mediatico, la prospettiva espressiva e poetica è un antidoto contro la (spesso necessaria) superficialità della politica e dell’attivismo, specie se digitale.

La vita fuori strategia

La politica infatti – con cui oggi modelliamo tutto, opere di finzione comprese – ha precise regole del gioco: individua un obiettivo, un traguardo, e produce narrazioni funzionali a quei traguardi concreti. Che si sia pro o contro qualcosa o qualcuno, è tanta la vita concreta che non entra in quelle narrazioni strategiche, e viene dunque occultata, rimossa (se voglio difendere il diritto all’aborto non racconterò il dolore di chi abortisce). «L’aborto è un diritto» contro «l’aborto è abominio»: niente di tutto questo nella canzone che non smette di commuovermi.

Per Ernia l’aborto è un fatto singolare della storia sua e della sua compagna, e come spesso i fatti della vita, oscillante, contraddittorio, invischiante, impossibile da inventariare una volta per tutta su un singolo scaffale assiologico. Non c’è insegnamento, giudizio in questo pezzo doloroso e insieme tenerissimo, solo una delicatezza disarmata che ci conduce fino alle motivazioni più intime e precarie della scelta di una coppia: «Non fraintendermi, non voglio finir solo ma nemmeno trovarmi a un certo punto dire, "Amo perché devo", mi hai dato un bel mal di testa, la paura di sbagliare sai, paralizza la scelta, perdonami davvero, ma se abbiamo preso questa, è stato anche per non doverci ritrovare ostaggi della stessa».

Una scelta dopo la quale l’amore continua, e la sofferenza riflessa nell’altro arriva a far mettere tutto in discussione: «Certe notti invento storie da dire per distrarla, perché mamma ha certi crolli d'umore, se dovessi ritrovarmi a prendere una decisione lo terrei perché non vorrei rivederla soffrire».

La grandezza del brano – diventato subito virale su TikTok – sta nel fatto che la scelta dei due protagonisti è ammessa senza che questo sminuisca il valore della nuova vita che avrebbe potuto essere: Buonanotte è un racconto che non cede nulla alle orride calate di scure dei pro-vita ma che neppure ricalca lo sbrigativo orgoglio abortista. È qualcosa di più piccolo e sfuggente, fragile e spudoratamente reale.

La precisione dell’analisi emotiva è l’arma con cui Ernia zittisce chi sputa sentenze ideologiche: «L'altra sera c'era un vecchio a un programma serale, inveiva contro casi come il nostro, indi per cui avrei stretto la mia mano sulla sua giugulare per dirgli: È facile ingrassare, facendo la morale alla morale altrui».

Dolore in bilico

Il dolore che permea il brano è specifico, individuale, mai retorico: risulta sorgivo, originale, perché tiene insieme molte cose diverse, procede in bilico tra valori e categorie, come spesso fa la nostra esperienza. Il bambino che non è mai arrivato non viene liquidato come un mero grumo di cellule senza significato, eppure questo non conduce a nessun moralismo né precetto universale.

Anche se l’embrione/feto è davvero vita potenziale questo non basta, può non bastare: nell’accettazione di un nodo irrisolvibile entra in campo l’immaginazione che sposta i confini, e senza negare diritti e autodeterminazione, rivendica comunque uno spazio struggente per il figlio mai nato: «Comunque ti ho sognato, ma non ti ho dato un volto preciso, perché non ti ho conosciuto, giusto questo preciso, eppure ti ho immaginato, eri bello nel mio pensiero, qualcosa di leggero, libellule sul sentiero».

In un mondo come il nostro, in cui sembra ormai impossibile non schierarsi, irreggimentarsi, saltare compulsivamente sulla difensiva per ribadire all’infinito una contrapposizione, Ernia ha deciso di correre il rischio di avvicinarsi alla materia della vita fino a vederne la trama non univoca di sensazioni e reazioni. Il fatto che il brano stia avendo il successo che merita anche tra i giovanissimi colpisce, perché con questo lavoro l’artista ha scelto di coltivare un approccio che oggi non va certo per la maggiore: se nel binarismo cognitivo social tutto deve essere pro o contro, se certi temi non possono essere toccati senza entrare in battaglia, Ernia invece mantiene vivo il sentimento della differenza tra i registri e il potere liberatorio, amplificatore, dello sguardo che sa reggere la contraddizione: «Ma quando dormo puoi parlarmi dei sogni, chiedermi di noi se hai dei dubbi irrisolti, ti dirò di ciò che è stato e che sarà, ora fai la buonanotte, dormi nei pensieri di papà».

Perché, anche se sempre più spesso il rigido sistema culturale in cui fluttuiamo cerca di farci credere il contrario, sono tantissime le circostanze della nostra esistenza in cui non sappiamo cosa sia meglio fare, in cui compiamo scelte che ci proteggono e insieme amputano parti di ciò che siamo o avremmo potuto essere. Sono tanti i casi in cui semplicemente improvvisiamo, abbozziamo, stringiamo i denti e tentiamo quello che ci sembra essere il male minore, senza garanzie né certezza alcuna.

Nonostante slogan e decaloghi formato Instagram, sono tanti i casi in cui, per nulla esemplari o virtuosi, ci frammentiamo sotto il peso di un conflitto irrisolvibile o di esigenze inconciliabili, e certi bei libri, film e canzoni ci aiutano quantomeno a ricordarcelo.

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