Prosegue la nostra indagine sulla notifica delle opere d’arte ritenute di particolare interesse culturale da parte dello stato. Dalle opinioni pubblicate la settimana scorsa appare chiaro che, pur lamentando in molti il fatto che la legge non è in linea con i parametri europei, nessuno ritiene che lo stato non debba attivarsi per cercare di far rimanere in Italia delle opere di pregio.

Tuttavia è indubbio che intervenire su un bene privato bloccandone la circolazione e svalutandone di conseguenza il valore non è la migliore delle soluzioni. Un privato che possiede un bene di interesse nazionale, per quanto questo possa essere notificato, può decidere di conservarlo in un caveau e non mostrarlo a nessuno. Che vantaggio ne abbiamo noi tutti se si creano situazioni del genere? 

Nessuno vuol ridurre a puro valore di mercato un’opera d’arte, né la soluzione proposta è la mercificazione selvaggia. Giustamente Elena Pontiggia evidenzia in queste pagine che “sul collezionista che accetta di prestare un’opera incombe, come una ghigliottina, la notifica che ne dimezza – o peggio – il valore. Il risultato è che non riusciamo più a promuovere la nostra arte”.

Come curatore so bene che è pressoché impossibile ottenere il prestito di un’opera non notificata che rischia di esserlo. Del resto, a chi conviene trovarsi con un vincolo su un proprio bene? Come dare torto a chi avverte come un esproprio la notifica di un’opera, o peggio di una intera collezione che viene dichiarata indivisibile?  

Che lo stato non abbia fondi sufficienti per comprare le opere notificate o ponga ostacoli nell’accettare donazioni non è un mistero. Resta il fatto che in uno stato di diritto porre un vincolo su un bene privato, concedendo un breve lasso di tempo al proprietario per inoltrare le sue osservazioni, per poi rimettere la decisione finale allo stesso ufficio che ha avviato il procedimento di notifica, è a dir poco un’anomalia.  

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Andrea Cancellato

PRESIDENTE FEDERCULTURA

Il tema posto da Domani è ricorrente e a fasi alterne. In alcuni momenti prevale il sentimento di trattenere tutto, a fronte di speculazioni evidenti, in altri momenti, come questo, si riconosce che è vitale la circolazione delle opere.

La norma, per quanto appaia restrittiva e conservativa, consente la circolazione delle opere d’arte, soprattutto di quelle più recenti, ma è la sua interpretazione e, soprattutto, la sua applicazione a destare le riserve e a chiedere di trovare i sistemi per aggirarla.

Poiché nessuno vuole eludere le norme o indurre a comportamenti illegali, il rischio più evidente è quello dell’immobilismo. Se a seguito della “notifica” si procedesse nei tempi previsti a sciogliere la riserva tra acquisto e/o liberalizzazione, credo che nessuno obietterebbe a una procedura che permette allo stato di valutare se e cosa e a quali condizioni deve diventare patrimonio culturale dello stato.

I collezionisti, normalmente benemeriti salvo quando una delle attività tipiche (quella dello scambio/vendita/acquisto) diventa più evidente delle altre (tutti amiamo plaudire le bellissime collezioni, salvo non riflettere che sono il frutto anche di interventi economici) come ad esempio quella delle mostre e dei prestiti, potrebbero così contare su una interlocuzione seria e rigorosa.

Oggi, più che mai, è necessario essere seri e rigorosi per invitare tutti a essere corretti e rispettosi. Se per ottenere questo risultato, occorre un atto di discontinuità, come cambiare qualche norma, facciamolo se possibile rapidamente.

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Giulio Manieri Elia

DIRETTORE DELLE GALLERIE DELL’ACCADEMIA DI VENEZIA

Il tema proposto ha una sua complessità e la parola “valorizzare” ha un’ambiguità polisemica; per chi lavora in un museo pubblico essa rimanda alle attività che favoriscono la promozione di conoscenza e fruizione del patrimonio, mentre le questioni poste sembrano alludere a un aumento di valore economico. Nel primo caso le azioni sono indirizzate all’interesse collettivo, nel secondo sono rivolte alla tutela di quello privato. Per cercare di favorire l’equilibrio quando le istanze confliggono il legislatore ha promosso forme compensative quando viene limitata la disponibilità al privato.

Lo stato attua, certamente, iniziative per cercare di assicurare alla proprietà pubblica collezioni o opere singole attraverso donazioni o comodati o mediante la dichiarazione d’interesse che apre la strada alla notifica. Quest’ultima azione, che pone limiti alla disponibilità del bene (esportazione o vendita fuori dai confini nazionali), viene indirizzata esclusivamente a beni provvisti di requisiti di unicità che organi ministeriali attestano.

Requisiti e iter che persino le donazioni devono rispettare poiché l’accettazione comporta comunque oneri, di conservazione o di valorizzazione – nel senso museale –, per il pubblico. Sono stati creati bilanciamenti per i detentori di beni notificati, come detrazioni fiscali o contributi, ad esempio, per la conservazione delle opere. Lo stato, ai valori di mercato, può esercitare il diritto di prelazione.

Più recentemente sono state apportate ulteriori argini alla norma: l’avanzamento da cinquanta a settant’anni come limite per la definizione di “bene culturale”, necessario all’avvio di azioni, o l’introduzione di una soglia di valore di 13.500 euro per l’esportazione con auto dichiarazione, senza il possesso del più complesso Attestato di Libera circolazione.

In questo settore si confrontano istanze di privati, per la gestione libera dei propri beni sul mercato, e quelle del ministero della Cultura per proteggere il patrimonio della Nazione dall’uscita definitiva di opere significative per la collettività; convivono professionisti seri e operatori speculativi, che inquinano anche il pur legittimo dibattito sui limiti posti alla proprietà, e dall’altra, Funzionari della tutela scrupolosi ma anche  taluni non sempre all'altezza del compito che possono produrre distorsioni o lentezze applicative dei dispositivi di legge; per tale motivo è importante un investimento sul personale per qualificare l'esercizio della tutela che rimane essenziale.

Si può fare di più, non diminuendo l’azione statale, ma implementando gli strumenti che facilitano un rapporto sempre più fattivo e sano tra pubblico e privato aprendo canali di comunicazione e agendo su ulteriori forme di detrazioni per investimenti culturali, nel senso aperto dall’Artbonus, o aumentando le dotazioni economiche per favorire l’acquisto di opere d’arte da parte del Ministero o dei suoi Istituti culturali.  

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Gian Enzo Sperone

GALLERISTA E COLLEZIONISTA

I musei stranieri sono pieni di opere italiane importanti, spesso importantissime, se non insostituibili, a seguito di eventi bellici come nei casi di Germania e Francia e secolari transazioni tra privati.  La Francia peraltro è molto attenta al suo patrimonio, ma con norme restrittive solo quando necessario, e anche la Gran Bretagna in casi estremi.

Il lavoro come mediatore di Canova nei primi dell’Ottocento sta a dimostrare meritoriamente quanto si è potuto recuperare tra i capolavori italiani sottratti da Napoleone.

Gli Stati Uniti sono da sempre un caso a parte, essendo una democrazia relativamente giovane e quindi all’avanguardia per l’abbattimento di lacci e lacciuoli all’import (ovvio), ma soprattutto all’export. D’altra parte in Europa, ci sono state per anni vendite scellerate per cui l’Italia ha ragioni da vendere nell’insistere sulla tutela del patrimonio, data l’importanza dei suoi “giacimenti”. Tra l’altro la borghesia italiana, quando si tratta di speculare sull’arte non è seconda a nessuno. Ovviamente ci sono eccezioni clamorose e non rare che testimoniano grande lungimiranza e raffinatezza.

Sarebbe lungo anche solo elencare, in questo contesto, chi e che cosa.

Ciò detto, come collezionista di arte antica io paradossalmente non disdegno di acquistare opere notificate e dunque sprovviste di libera circolazione che non possono circolare all’estero; il loro prezzo è decisamente inferiore e mi favorisce nell’acquisizione.

Esame di coscienza: si compra per passione? O per rivendere (all’estero) con il giusto profitto?

La nota dolente semmai è la burocrazia incistata nel ministero dei Beni Culturali.

Ho tentato anni fa una donazione di sessanta opere alla Reggia Di Venaria (trenta moderne e trenta antiche) e potrei scrivere un trattatello sulle deficienze del sistema e sulla frustrazione conseguente ai privati. Il concetto di “fund raising” che in ogni paese serio si studia a scuola e che in Italia si pratica pochissimo, tronfi come sono i funzionari nell’abuso del loro potere, potrebbe fare la differenza e produrre introiti.

Gli operatori culturali specializzati andrebbero pagati molto meglio (lì sta una parte del problema);  per quel che riguarda la madre di tutti i problemi e cioè il limite dei settant’anni per l’esportazione, oggi è semplicemente ridicolo parlarne. L’arte e la civiltà possono espandersi dove circolano i commerci, se no, a furia di barriere, recinzioni e distinguo fa capolino la soluzione rapida dei cannoni.

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Elena Pontiggia

STORICO DELL’ARTE

Eterogenesi dei fini, dicono i sapienti quando una decisione, nata per giovare, finisce invece per danneggiare. Chi organizza mostre sa com’è difficile realizzare un’antologica di un maestro italiano del Novecento, anche minore, solo un chilometro oltre Chiasso. Sul collezionista che accetta di prestare un’opera incombe, come una ghigliottina, la notifica che ne dimezza – o peggio – il valore. Il risultato è che non riusciamo più a promuovere la nostra arte.

D’altra parte bisogna evitare la dispersione del nostro patrimonio. Come? Forse distinguendo caso per caso e periodo per periodo. Una cosa è un artista, anche grande, conosciuto solo da noi; un’altra è un’opera ben nota o di un’epoca più che storicizzata. Personalmente, oggi come oggi rischierei e lascerei libero tutto il moderno post 1920. In fondo, in tempi di viaggi facili, un Morandi o un Burri al MoMA fanno più gioco all’Italia che fra le mura di casa nostra.  I casi tuttavia, come dicevo, sono molti e diversi. Forse si potrebbe istituire una commissione di studiosi d’arte contemporanea (da tenere in carica al massimo un anno per evitare potentati) che decida volta per volta. E se poi non funzionasse? Se complicasse il problema?

Come sempre, è più facile sollevare una questione che risolverla.

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Sonia Farsetti

PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NAZIONALE CASE D’ASTA

Le norme in materia di tutela del patrimonio artistico vigenti nel nostro ordinamento sono notoriamente tra le più rigide dell’intero pianeta. Tale rigidità, se per un verso indubbiamente è stata dettata dalla necessità dello Stato di dover tutelare e amministrare un immenso patrimonio artistico, risulta dall’altro eccessivamente penalizzante nei confronti di chi, come collezionisti e operatori del mercato, quotidianamente con tali norme debbono confrontarsi.  Lo strumento della notifica, il cui fine dovrebbe essere quello di tutelare il patrimonio artistico e renderlo fruibile ai cittadini, si è rivelato punitivo nei confronti dei collezionisti che si sentono defraudati della proprietà di un bene del quale sostanzialmente non possono più disporre.  Ciò è aggravato dal fatto che il bene notificato non diviene certo di pubblica fruizione, ma resta confinato in ambiente domestico.

La funzione di tutela del patrimonio artistico prevista dall’art. 9 della Costituzione viene purtroppo spesso interpretata come mero protezionismo a danno dell’altro fondamentale assunto previsto in apertura dello stesso articolo, vale a dire quella di promozione e sviluppo della cultura.

Tale interpretazione ha relegato il mercato dell’arte italiana a fanalino di coda nello scenario internazionale (meno dell’1 per cento del valore totale degli scambi), scoraggiando fortemente i collezionisti stranieri che non potendo avere certezza dell’acquisto preferiscono rivolgersi ad altri, più accoglienti, mercati. Ma l’istituto della notifica è solo uno dei numerosi problemi che gravano sul mondo del mercato dei beni culturali.

Per riacquistare posizioni nel sistema dell’arte vanno necessariamente presi, con urgenza, dei provvedimenti, non solo a livello legislativo ma anche amministrativo, semplificando e alleggerendo gli adempimenti burocratici che creano stalli operativi. 

I ripetuti appelli di collezionisti, operatori e addetti, per troppo tempo ignorati, sembra stiano però cominciando a trovare ascolto da parte delle Istituzioni. 

Guardare al mercato dell’arte come a una risorsa e non come a un antagonista della cosa pubblica è il messaggio che è stato lanciato lo scorso 11 novembre a Roma in occasione della presentazione del Rapporto Nomisma sul valore dell’Industry dell’Arte in Italia alla presenza del ministro della Cultura Dario Franceschini. Dalla fattiva accoglienza di questo messaggio da parte delle Istituzioni dipenderà il futuro dell’intero mercato italiano dell’arte e della sua presenza tra i principali protagonisti del mercato internazionale.  Presenza che riteniamo gli spetti.

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Roberto Casamonti

GALLERISTA E COLLEZIONISTA  (TORNABUONI ARTE)

Le leggi attuali sulla circolazione delle opere d’arte sono obsolete e non in linea con quelle del resto d’Europa. Su questo fronte dovremmo tenere presente il modello francese, che a sei mesi dalla notifica delibera per l’acquisto o per la libera circolazione dell’opera. Ha dell’assurdo il fatto che lo Stato eserciti il diritto di prelazione, vincoli l’opera e poi non la compri. Peraltro, un’opera che viene venduta all’estero porta denaro al mercato nazionale dell’arte, denaro che chi fa il mio mestiere investe nell’acquisto di altre opere. Abbiamo donazioni che non trovano spazio e magazzini di musei pieni di opere d’arte. Se lo Stato non è in grado di acquistare opere che ritiene di interesse nazionale, che ci lasci lavorare, in maniera che il mercato dell’arte italiana riprenda l’importanza che ha sempre avuto.

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Massimo Di Carlo

GALLERISTA  (Galleria dello Scudo)

Tra i temi oggetto della nostra discussione, quello della “notifica” è senz’altro uno di quelli di rilievo primario. Un dibattito che, per il momento, si svolge solamente tra chi è al qua del tavolo, cui presto, si spera, possano sedere anche le figure ministeriali.

Tante sono le implicazioni, comprensibili, finalizzate alla tutela delle eccellenze artistiche del patrimonio nazionale. Altrettanto condivisibili, però, quelle che interessano i soggetti proprietari di beni notificati o da notificare, quali gli operatori economici che muovono il mondo dell’arte e i collezionisti, tutte figure fondamentali del sistema.

Alcuni significativi adeguamenti potrebbero contemperare le imprescindibili esigenze di salvaguardia dei beni di alto valore storico-artistico con quelle, altrettanto legittime, di coloro che li possiedono. Infatti, è ormai cosa nota quanto la notifica produca evidenti svantaggi in capo a questi ultimi, a partire dal considerevole deprezzamento e dagli impedimenti che sorgono nella gestione ordinaria di tali patrimoni. Mi riferisco, in particolare, alle disposizioni che ne ingessano la mobilità, con farraginose procedure sia nel caso di prestiti temporanei ad esposizioni sia, più semplicemente, quando si tratti di movimentazione persino all’interno del luogo indicato dall’autorità come sede opportuna.

Senza dire, poi, dei casi in cui si manifesti la volontà di alienare, con le inevitabili conseguenze dovute ai tempi mai certi della burocrazia ministeriale. E ancora, la tassativa impossibilità di esportare.

Ecco sorgere il problema di interpretazione delle cosiddette “linee guida” dettate dal decreto 12.06.2017 sugli “Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione da parte degli uffici di esportazione…”. Scorrendo il testo, ci si imbatte in elementi di giudizio come “la qualità artistica dell’opera” e “la rarità dell’opera in senso qualitativo e/o quantitativo”, così generici, aleatori e soggettivi da lasciare ampio spazio a un dibattito privo di parametri definiti con chiarezza.

Comunque, senza alcuna possibilità di risarcimento economico in capo al soggetto che si vede negata l’esportazione. Lo Stato non acquista, se non in rarissimi casi. E la questione della soglia di valore, fissata in € 13.500,00 per “velocizzare” l’esportazione di opere di autori non più viventi e risalenti a non più di settant’anni? Se si fosse prestata maggiore attenzione alla realtà del mercato, non sarebbe stato difficile rendersi conto dell’irrilevanza di tale importo, per nulla allineato a quanto stabilito in altri Paesi europei.

Altri aspetti che dovrebbero essere oggetto di discussione riguardano l’opportunità di istituire una banca dati dei beni notificati, così da facilitare l’espletamento delle pratiche autorizzative all’esportazione, e la necessità di prevedere termini perentori per il riscontro da parte delle Soprintendenze alle domande e ai ricorsi del privato.

Sempre in tema di notifica e alla sua anticamera chiamata “preavviso di diniego”, perché non provvedere alla modifica dell’iter che limita a soli dieci giorni il termine a favore del privato per presentare la sua motivata opposizione? Qui sta l’assurdità: doversi rivolgere a quello stesso ufficio che ha avviato il procedimento. Nessuna possibilità, quindi, di appello in senso proprio.

Dunque, allo stato dei fatti, prerogativa delle norme in materia di notifica dovrebbe essere la difesa e, perché no, l’arricchimento del patrimonio pubblico, oltre alla messa a disposizione della collettività di beni eccezionali, in sicurezza all’interno dei nostri confini e in perfetta sintonia con quanto stabilito già nel 1939 dalla legge Bottai.

Difficile però conciliare tale situazione con i legittimi interessi dei collezionisti e degli operatori economici, e con le più che comprensibili domande da parte di artisti ed eredi sul destino delle loro opere che, come già oggi accade per quelle di alcuni maestri italiani del primo e secondo Novecento, potrebbero essere soggette ad una legge capace di interdirne nel tempo la circolazione oltre i nostri confini, ovvero l’accesso a quella platea di fruitori internazionali e a quel plauso universale che rappresentano, crediamo, il sogno di ogni cultura libera.

Pur riconoscendo che si tratti di imposizioni in generale meritorie, la materia necessita pertanto di una revisione che non solo garantisca criteri di maggiore certezza, ma soprattutto che ne ammoderni lo spirito, da adeguare al nostro tempo e ai cambiamenti che anche in campo culturale definiscono oggi una società aperta, sempre orgogliosa dei propri valori identitari ma nello stesso tempo in dialogo con i mondi vicini, capace di tutelare le proprie eccellenze ma anche di valorizzarle oltre i confini geografici, almeno quelli europei in cui tutti abbiamo creduto.

E non sembri inutile l’accenno ad una cultura libera quando si parla di vincoli e di notifiche: se non si affronta il problema da un più ampio punto di vista, ogni modifica della legge costituirà solamente un mera pratica notarile e non, come dovrebbe essere, la trasformazione di una mentalità che riconsideri il rapporto tra pubblico e privato in un’ottica di maggiore equità, che valuti quindi il diritto costituzionale del privato cittadino ad essere risarcito da un eventuale danno economico con l’acquisizione da parte dello Stato del bene vincolato, in allineamento con quanto disposto in altri Paesi europei.

C’è molto da fare!

Massimo Minini

GALLERISTA E SCRITTORE

Lo Stato siamo noi. Abbiamo il diritto e il dovere di conservare la memoria storica, noi siamo responsabili dello scempio o della virtù. Nei confronti dei beni artistici abbiamo il dovere di conservarne una parte esaustiva, ma anche di inviare nel mondo un’altra parte, come ambasciatrice della nostra cultura. Ha certamente senso preservare la giusta quantità di arte necessaria ai nostri musei, ma è inutile sequestrare e conservare milioni di vasetti fittili.

Quindi sì alla notifica, a patto che il bene sia esposto, visibile, fruibile. No invece alle notifiche che sottraggono il bene al privato senza motivazioni chiare e destinazioni immediate: non ha senso bloccare all’interno dei confini nazionali opere ove risulti impossibile utilizzarle. Dove questo accade le notifiche si trasformano in sequestri immotivati.

In una nazione come la nostra, dove è difficile donare allo Stato, non abbiamo bisogno di migliaia di fondi oro o di vasetti messi in fila in polverose vetrine, sovente scassate. In riferimento all’arte più nuova, con la velocità del presente, le opere andrebbero acquisite subito. Il futurismo e l’arte Povera sono emigrati da tempo. Settant’anni dopo è troppo tardi. A meno che strutture importanti e capaci non offrano il miracolo di collezioni donate e finalmente accettate. Perché sequestrare manu militari con la notifica opere che sono state a lungo rifiutate?

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