Si diceva di Cristina Campo: «Una storia della sua vita dovrebbe essere prima di tutto una storia delle sue letture». A poche altre persone questa frase può aderire meglio che a Roberto Calasso, storico presidente di Adelphi, che il 30 maggio compie ottant’anni. Calasso è l’ultimo di una stirpe magica di editori protagonisti, secondo la definizione dello storico Gian Carlo Ferretti. Quella che ha reso l’editoria del Novecento un’editoria fatta di nomi e, soprattutto, cognomi: Mondadori, Einaudi, Garzanti, Feltrinelli, Rizzoli, Bompiani, Sellerio, Rusconi, Laterza, Boringhieri. Il cognome di Calasso, in questa genealogia, non c’è. Ma è lì, segreto.

Possiamo considerare Calasso come l’ultimo discendente di un’immaginaria aristocrazia intellettuale, che leggeva i libri in ogni lingua, conosceva direttamente i migliori scrittori del secolo, viaggiava il mondo per parlare dei libri da fare e da non fare. L’ultimo dei grandi lettori. Un protagonista nascosto della storia culturale europea dell’ultimo secolo. Nato all’interno di una famiglia di professori ed editori, è forte la tentazione di vedere in lui un destino legato ai libri: il nonno paterno, Francesco Calasso, fu giurista e accademico dei Lincei; il nonno materno, Ernesto Codignola, fu tra i fondatori de La Nuova Italia. Da bambino, studiava in una sala sormontata da una grande libreria, dove i misteriosi libri del padre lo guardavano con soggezione. Precocissimo, frequenta i migliori salotti letterari poco più che adolescente, incontrando nel cenacolo di Elémire Zolla e Cristina Campo i migliori intellettuali dell’epoca: il consulente editoriale Bobi Bazlen, Guido Ceronetti, Rodolfo Wilcock, Pietro Citati.

A casa di Elena Croce, figlia del filosofo, incontrò anche Theodor Adorno, che alla fine della serata disse: «Questo giovane è incredibile. Conosce tutti i miei libri, anche quelli che non ho ancora scritto». Tutti quanti, tranne proprio Adorno, finiranno pubblicati da Adelphi. Fu il giorno del suo ventunesimo compleanno, il trenta maggio 1962, che Bazlen parlò a Calasso per la prima volta del progetto della una nuova casa editrice. L’idea originale era di pubblicare l’opera omnia di Nietzsche, per la prima volta nel mondo, in edizione critica. Il resto del progetto si sarebbe sviluppato organicamente da lì: sarebbe cresciuto attorno a quel “pensiero impuro”, come una perla cresce nell’ostrica.

Oltre a Nietzsche, il principio doveva essere quello di pubblicare libri unici, cioè quei libri «dove subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto». Il libro doveva essere solo una traccia di un avvenimento, la cicatrice di una battaglia, il residuo di un sacrificio invisibile. L’obiettivo doveva essere sempre quello di «spostare più in alto la soglia del pubblicabile». Bazlen e Luciano Foà furono i fondatori, e Calasso si imbarcò subito nell’impresa. Chiamatelo Ishmael.

Bazlen morì improvvisamente pochi anni dopo, nel 1965, avendo appena il tempo di veder pubblicare i primi numeri. Lasciò il suo discepolo senza maestro, e nessun libro degno di nota: solo, preziosissima, una quantità enorme di idee, spunti, titoli da pubblicare. E un’influenza fortissima sopra un giovane che lo ricorderà sempre. Sotto la guida di Luciano Foà, Calasso crebbe in fretta, diventando direttore editoriale nel 1971, a soli trent’anni. Oggi, dopo quasi sessant’anni di lavoro, è ormai impossibile discernere: Adelphi è la storia di Calasso, e Calasso è la storia di Adelphi.

Si può dunque affermare senza esagerazione che Adelphi sia la storia delle letture di Calasso, un’espressione di quello che lui pensa debba essere un libro: e si può anche aggiungere che in Italia – e forse in Europa – nessuno possa vantare come lui un triplice ruolo di editore, scrittore e lettore, un tale impatto nella vita culturale di un paese. Calasso è il ragno nero al centro della tela Adelphi, che tesse la sua tela fatta di corrispondenze, rimandi, analogie.

L’editore

Seguendo l’eredità di Bazlen, Calasso ha condotto Adelphi puntando sempre alla stella polare della letteratura assoluta: una visione senza compromessi che ha sempre generato molte polemiche soprattutto nell’ambiente culturale e politico degli anni sessanta e settanta. In aperta contrapposizione con Einaudi, non c’è mai stato nessun intento didattico o pedagogico. Lo scopo era pubblicare quella «vasta parte dell’essenziale» che rimaneva fuori dall’editoria impegnata e politicamente connotata del dopoguerra. La scelta esplicita era quella dell’inattualità: un voler essere fuori dal tempo, fuori dalla storia, pubblicando tutti i libri che è giusto pubblicare. A prescindere dall’epoca, dalla lingua, dal paese dell’autore. Furono quindi pubblicati testi di ogni genere, spesso all’interno della Biblioteca Adelphi, la collana ammiraglia che è sempre stata senza tema, nel duplice senso di “senza un forma precisa”, ma anche “senza paura”. Forse la più vasta e bella dell’intera editoria italiana, con oltre settecento fra romanzi, trattati, resoconti, reportage, sogni e deliri, diari, poemi, visioni mistiche, racconti, antologie, epistolari e carteggi, traduzioni bibliche, classici di tutte le letterature.

Ovviamente, questa politica editoriale che non è stata senza controversie: Adelphi ha ricevuto per decenni critiche da destra e da sinistra, dalle Brigate Rosse ai cattolici tradizionalisti, venendo accusata via via di essere snob, aristocratica, reazionaria, esoterica, gnostica. In una particolare occasione, come la pubblicazione del pamphlet di Leon Bloy Dagli ebrei la salvezza, portò anche a un conflitto interno alla casa editrice, che spinse la traduttrice Renata Colorni al licenziarsi per protesta.

Lo scrittore

Calasso si afferma come autore già nel 1974, con L’impuro folle. Il libro è un anticipo di quella monumentale “opera in corso” costituita da ben undici volumi che Calasso ha scritto in quarant’anni, e che è ancora incompleta. Tutti i libri, a partire da La rovina di Kasch del 1983, sono pubblicati nella Biblioteca Adelphi, e tutti girano attorno ai grandi temi calassiani: il mito, la mente, il linguaggio, la modernità, la società, il sacrificio, comprendendo personaggi a volte reali a volte inventati, ma sempre trasfigurati: Talleyrand, Baudelaire, i Veda, i miti babilonesi, Sinbad il marinaio, Kafka, Tiepolo, Kraus, il cancelliere Schreber. L’opera in corso è un genere a sé stante, ed è stata studiata recentemente dalla ricercatrice Elena Sbrojavacca nella prima monografia dedicata e intitolata Letteratura assoluta: i libri di Calasso sono dei flussi, delle grandi narrazioni in equilibrio precario fra il saggio, il romanzo, la mitografia. In lui è centrale l’analogia, la capacità di trovare corrispondenze. Per Calasso, la verità su può rivelare solo per lampi, in maniera incompleta - per speculum, in enigmate. Solitamente, si rivela attraverso le storie, che Calasso continuamente rumina: crede anzi che siano le stesse storie a chiedere di essere ruminate, che il nostro destino sia di raccontarle all’infinito.

Per lui è la letteratura stessa a essere sacra, connaturata alla nostra specie come il pollice opponibile, la posizione eretta, il linguaggio. La letteratura «divora ogni sapere», ogni disciplina, rielaborando incessantemente ogni forma di conoscenza. Il suo ruolo di scrittore è di tessere questi fili fra personaggi, temi e tempi diversissimi, legarli insieme nella stessa trama, con la stessa leggerezza di chi guarda ai miti antichi e alla contemporaneità come fossero racconti di uno stesso libro.

Il lettore

Non si può capire Roberto Calasso – quindi, Adelphi; quindi, oltre mezzo secolo di cultura italiana – senza capire questo. Il mondo non si può altro che leggere. Come per Borges, come per Bazlen, è la lettura l’origine di tutto. Macedonio Fernandez sta a Borges come Bazlen sta a Calasso. Scrivere è solo una conseguenza, a volte trascurabile: e infatti Bazlen non scrisse. È il Calasso lettore la forma primigenia, quella dalla quale le altre due si propagano, procedono come ipostasi, generati e non creati dalla stessa sostanza. Il Calasso lettore che ha letto, in settant’anni, libri di ogni epoca e cultura: e spesso in lingua originale. In italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, latino, greco antico, persino sanscrito. Dato che il mondo è una foresta di simboli, abbiamo la libertà e la responsabilità di trovare relazioni fra questi simboli. L’analogia è questa libertà, questo potere.

Come insegna il Borges di Altre inquisizioni, leggere consiste nel creare analogie. Come insegna Baudelaire, le corrispondenze sono il fondamento della poesia. Come insegna il web, l’intero immaginario dell’uomo può essere rappresentato attraverso i link.

Come insegnano i Veda, i bandhu sono la materia su cui tutto si basa. L’opera di Calasso dovrebbe quindi essere guardata in toto: gli autori, le idee, le storie che lo interessano si rincorrono continuamente e dialogano a distanza di decenni fra libri scritti (da lui) e libri pubblicati (da Adelphi), senza quasi soluzione di continuità, senza una membrana che li separi.

Non è dunque un caso se la forma dove Calasso ha davvero eccelso siano i risvolti di copertina. Il risvolto è una «lettera a uno sconosciuto»: un testo in cui presentare brevemente un libro a un possibile lettore, rubargli pochi secondi d’attenzione inviolata, quel tanto che basta per invogliarlo a tenere il libro in mano e portarselo a casa. Allo stesso tempo, è il luogo dove sottolineare il posto di quel preciso libro fra gli altri – sodali, fratelli, adelphi – della casa editrice. Nella sua vita, Calasso ha scritto più di mille risvolti, dando vita a quello che è un nuovo genere letterario, dove è maestro indiscusso: dove, finalmente, lettore scrittore editore insieme, per poche righe.

Il riccio e la volpe

Isaiah Berlin amava ricordare un verso di Archiloco: «La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande». Berlin usa quest’immagine potentissima per indagare due tipi di pensiero: il riccio vede il mondo attraverso una grande visione centrale, in profondità, mentre la volpe si muove in orizzontale, attinge velocemente a una vasta gamma di esperienze, è abile a integrare prospettive differenti. In questo gioco, René Girard potrebbe essere un riccio, Vladimir Nabokov una volpe. Alla mia domanda su cosa fosse Calasso, Sbrojavacca ha dato una risposta salomonica: Calasso è un riccio nel pensare al mondo come un libro, è una volpe nell’utilizzare mille argomenti diversi, senza apparentemente un legame fra di loro.

C’è un movimento centripeto, che tutto riporta alle stesse immagini. E c’è un movimento centrifugo, che non mantiene mai l’attenzione sulla stessa immagine, sullo stesso pezzo di realtà senza collegarne altri. Ogni lettore costruisce il proprio universo letterario, in maniera personale, slegata dal tempo e dallo spazio. Leggere è costruirsi il proprio pantheon, generare una rete di corrispondenze. Ogni romanzo ne ricorderà ogni altro, ogni personaggio specchierà ogni altro.

Leggere è, in sostanza, mitopoiesi: ogni lettore crea il proprio universo. L’universo, che altri chiamano la biblioteca.

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