La beffa dei rapper scozzesi all’industria discografica

«Uno dei più fantastici, adrenalinici, edonistici racconti morali dei nostri tempi», diceva Irvin Welsh del memoir autobiografico California Schemin’(poi rititolato Straight Outta Scotland) in cui Gavin Bain ricostruiva in prima persona il più esilarante abbaglio della discografia hip hop degli anni Duemila. Irvin Welsh è quello di Trainspotting, il guru delle sottoculture e del realismo proletario scozzese. Il libro, uscito nel 2010, raccontava l’epopea truffaldina di un duo rapper di Dundee, provincia profonda, i Silibil N’Brains, che nel 2003 riuscirono a gabbare a lungo e lucrosamente la Sony UK e a salire agli onori di MTV spacciandosi per californiani. Il primo film da regista e produttore di James McAvoy – splendido attore nativo di Glasgow che predilige le metamorfosi estreme (Split, Glass, Speak No Evil) ma quando vuole sprigiona sensualità (Becoming Jane, Espiazione) – camuffa la vera etichetta sotto un nome di fantasia – Neotone Records – ma conserva l’adrenalina ad alto tasso di decibel del racconto. California Schemin’, alla Festa del Cinema di Roma, è una ghiottoneria per millennial patiti di Hip Hop ma ha anche l’impatto comico di un film «basato su una storia vera basata su una storia falsa». Smascherare gli “scozzeisti” Gavin “Brains” e Billy “Silibil” sono due underdog dei sobborghi operai che sognano la gloria delle classifiche dalle loro postazioni contigue in un call-center. Sogni che archivierebbero subito, dopo essere stati crudelmente burlati per il loro plebeo accento scozzese a un’audizione promossa dal “grande capo” della Neotone (McAvoy in versione viperina). Resterebbero losers a vita se non scattasse l’idea geniale: «Smascheriamo quei razzisti!» «Si può essere razzisti tra bianchi?» obietta Mary, loro collega e ragazza di Billy. «Scozzeisti, allora!». Per vendicarsi, bisogna “vendersi” come californiani DOC appena sbarcati in Europa – i prossimi Eminem e D12 ruspanti che sono il miraggio dei discografici – e sul più bello gettare la maschera. È il loro stesso lavoro a fornire l’ispirazione, che è poi verità di Vangelo nel business: bisogna dare ai clienti quello che vogliono. Pesano due frustrazioni sommate: la sudditanza dei discografici inglesi all’imperialismo Hip Hop Usa (che riproduce la sudditanza politica di Downing Street alla Casa Bianca) e la discriminazione storica – economica e culturale – degli isolani britannici del Nord. L’esilarante training casalingo dei Nostri, che provano a rimasticare le battute iconiche di Forrest Gump, Taxi Driver, Friends e Die Hard, il Pantheon della pop-culture in dvd – assume spessore per questo. Due adorabili coatti allo sbaraglio che si confezionano un’identità spulciando la Tourist Map di Los Angeles e che da sprovveduti ignorano il tasso di cambio: «Ci offrite 30mila sterline? Non facciamo un passo per meno di 35mila dollari!». Ma dal vivo, anche col loro americano posticcio, sono tutt’altro che male, e galvanizzano il pubblico. Perciò i discografici schizzinosi abboccano all’amo: possiedono «l’autenticità della strada» losangelina. Nella stanza di Springsteen, “Liberami dal nulla” è un doc Le bugie giuste Il film ruba alla musica (che è quella vera del repertorio dei Silibil N’ Brains) energia e good vibrations. E gioca sull’autoironia dei graffiti paesani: It’s Shite to Be Scottish, che merda essere scozzesi. Al repertorio iperbolico di balle spaziali che snocciolano si aggiungono party vip con Bublé, Madonna e quant’altri. Billy comincia a tremare: «Dovremo dirgli che ci siamo scopati Kermit la rana?». Il precipizio è in agguato, ma l’escalation è vera: la Sony ha portato davvero la coppia al Barrowlands di Glasgow come gruppo-spalla dei D12, e in diretta a The Hook, nel tempio di MTV. Il guaio è che il successo dà alla testa, attici in prestito, party e coca irretiscono, e quando arriva il momento Gavin “tradisce”: per rivelare in diretta che il re è nudo, che era tutta una beffa, è meglio aspettare. In coda si affacciano, coi loro filmini in Super 8, i veri Silibil N’Brains. E un gran bel viaggio nell’aria fritta dei commercianti industriali di musica, che smerciano latta per oro, basta la bugia giusta. E Seamus McLean Ross (Gavin), Samuel Bottomley (Billy) e Lucy Hallyday (Mary) s ono la carta vincente del film. Hanno facce vere, per strada neanche ti giri a guardarli. Da noi le “nuove promesse” di cinema e fiction sembrano selezionate in lab oratorio, calibro standard e buccia perfetta come le mele Melinda. Il mondo reale è pieno di ragazzi brutti, di brufoli e di ragazze con la taglia sbagliata. Come il cinema inglese, da sempre. Anche per questo è tanto più bello del nostro. Povero Bob Dylan senza sugo: un film da guardare con gli occhi chiusi