Figure ieratiche, una luce fredda e una rigorosa geometria compositiva. Nella pittura di Felice Casorati (Novara 1883 – Torino 1963) domina un silenzio contemplativo, una sospensione del tempo che, pur condividendo alcune affinità con altri esponenti del Realismo magico, si distingue per un’esplorazione più intima e personale della malinconia.

Questa qualità evocativa, fatta di spazi metafisici e personaggi immersi in una quiete assorta, costituisce il filo conduttore della mostra milanese, che dopo 35 anni ripercorre l’intera parabola creativa dell’artista e il suo legame con la città.

Negli anni Venti 

Nel 1921, su invito di Ugo Ojetti, Casorati partecipa alla mostra collettiva Arte italiana contemporanea alla Galleria Pesaro di Milano. Porta con sé tre dipinti che segnano una svolta nella sua ricerca: Le due sorelle, un’opera dalla spazialità complessa, dove le figure femminili appaiono già immerse in quella dimensione straniante che diverrà sua cifra distintiva, Giovanetta addormentata e Nudo di giovanetta, in cui l’apparente pacatezza compositiva nasconde un’inquietudine latente.

L’anno successivo Casorati torna a Milano per un’altra collettiva, questa volta alla galleria Bottega di Poesia. Espone alcuni dei suoi dipinti più significativi del periodo, come Piantine o Le uova sul cassettone, nature morte dall’apparente umile quotidianità eppure intrise di sostanza metafisica. In queste opere, gli oggetti comuni appaiono come cristallizzati in un tempo indefinito, creando quel sentimento di immobilità pensosa che pervade tutta la sua produzione. C’è anche La donna e l’armatura, un’allegoria delle relazioni tra i sessi giocata sul contrasto tra la rigidità del metallo e la viva sensualità della carne, un’opera che nasconde, sotto l’apparente freddezza compositiva, una tensione emotiva trattenuta.

Nel 1926, alla Prima mostra del Novecento Italiano, curata da Margherita Sarfatti alla Permanente di Milano, Casorati suscita scalpore con Conversazione platonica, in cui un uomo completamente vestito siede accanto a una donna nuda distesa. Al di là delle interpretazioni sociali, ciò che colpisce è quell’atmosfera di intima astrazione che avvolge i due personaggi, come congelati in un dialogo silenzioso che trascende la dimensione fisica.

Meditativa intensità 

L’opera di Felice Casorati negli anni Trenta raggiunge l’apice di quella meditativa intensità che caratterizza tutta la sua ricerca. Le figure femminili da lui raffigurate sembrano abitare una dimensione parallela, dove il tempo si è fermato. Vestite o nude, appaiono immerse in uno stato di attesa e smarrimento, oscillanti tra sensibilità psicologica e distacco compositivo. I loro sguardi, spesso persi nel vuoto o rivolti verso un punto indefinito fuori dalla tela, comunicano un senso di solitudine esistenziale che riecheggia le inquietudini del secolo.

L’opera di Casorati in questi anni si sviluppa quindi lungo un doppio binario: da un lato, la ricerca di una composizione rigorosa e misurata; dall’altro, l’esplorazione di una dimensione emotiva profonda, capace di restituire un senso di silenziosa introspezione.

Negli anni Quaranta, il linguaggio pittorico di Casorati evolve ulteriormente, mantenendo la sua caratteristica attenzione per la costruzione dello spazio e la ricerca di una figurazione misurata. In questo periodo, si accentua una maggiore essenzialità delle forme e una semplificazione dei volumi, ma persiste quella qualità contemplativa e quella peculiare atmosfera di attesa.

Forme e sobrietà 

Negli ultimi anni, l’artista si orienta verso una semplificazione ancora più marcata delle forme e una gamma cromatica più sobria. Le sue opere mantengono un forte impianto compositivo ma è come se cercasse di distillare l’essenza stessa di quella quiete malinconica che ha permeato tutta la sua ricerca.

Tra pareti color carta da zucchero e il gioco di rimandi fra gli specchi – non mancano capolavori come Silvana Cenni o il Ritratto di Renato Gualino, opere in cui la solitudine esistenziale dei soggetti si esprime attraverso posture rigide e sguardi persi nel vuoto.

In mostra c’è spazio anche per la ricostruzione dell’importante attività di Casorati come scenografo e costumista per il Teatro alla Scala tra gli anni Quaranta e Cinquanta, altro capitolo significativo del suo rapporto con il capoluogo lombardo a cui è dedicata l’ultima sala con disegni e bozzetti.

Casorati, attraverso composizioni rigorose, nature morte stranianti e ritratti dall’intenso spessore psicologico, ha saputo raccontare quella particolare condizione di sospensione emotiva che caratterizza l’esistenza moderna. Le sue figure, immerse in un tempo indefinito, continuano a parlarci con la loro quieta intensità interiore, testimoni silenziosi di un’attesa che trascende le contingenze storiche.

© Riproduzione riservata