Se volessimo scegliere un’icona del sud e della sinistra del Secondo Novecento, probabilmente dopo Antonio Gramsci, seguirebbe il volto di Rocco Scotellaro, il “poeta della libertà contadina”, secondo l’amico-maestro-allievo Carlo Levi, il prototipo del “poeta del sud”, secondo una continua e ripetuta definizione di studiosi di due generazioni.

Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 - Portici, 15 dicembre 1953), di cui quest’anno cade il centenario della nascita e il settantesimo della morte, fu innanzitutto un meridionale meridionalista, gramsciano, che seppe comprendere fino in fondo e descrivere il Mezzogiorno interno in quegli anni cruciali, che segnarono la fine del fascismo e l’inizio della repubblica, anni drammatici ed epici, in cui fu deciso il destino dell’Italia e del sud.

Il dibattito

Fortunato nella sua sfortuna, Rocco Scotellaro morì a trent’anni di aneurisma (così il neurochirurgo Francesco Troisi), in uno stato di indigenza economica, nonostante il sostegno encomiabile di Manlio Rossi-Doria, che lo volle a Portici, sotto la sua “ala protettiva”, a continuare gli studi di natura sociologico-economica presso l’Osservatorio di economia agraria di Portici e la Svimez. Fortunato, perché grazie a Manlio Rossi-Doria e a Carlo Levi, le sue opere di prosa e di poesia furono conosciute dal grande pubblico e divennero da subito un caso letterario.

Sfortunato, perché, dopo i numerosi premi letterari subito dopo la morte o poco prima, tra cui il “Viareggio” per la poesia (1954), la sua figura fu oggetto di polemiche tra comunisti e socialisti (cui parteciparono tra gli altri Manlio Rossi-Doria, Carlo Levi, Mario Alicata, Carlo Salinari, Giorgio Napolitano, Carlo Muscetta, Alberto Asor Rosa, e tanti altri), che si contendevano il ruolo di ispiratori e corifei del meridionalismo. Fortunato, perché, dopo gli anni Settanta, mitigatesi le polemiche ideologiche, si arrivò ad uno studio oggettivo e filologico dell’opera di Scotellaro, culminato nei saggi e nelle edizioni di Franco Vitelli, di Giulia Dell’Aquila e di Sebastiano Martelli, che ne hanno curato l’edizione mondadoriana negli Oscar (Tutte le opere, Milano, 2019).

Per tutte queste ragioni Rocco Scotellaro non poteva non essere ricordato e preso a modello del presente nel corso di uno degli appuntamenti artistico-culturali più importanti dell’estate, l’XI edizione dello “Sponz Fest 2023 – Come li pacci”, ideato e diretto da un artista visionario e lungimirante, Vinicio Capossela. La giornata scotellariana si svolgerà ad Aquilonia (AV), il 22 agosto, a partire dalle ore 19.00, con il seguente programma: «La scuola per il popolo secondo Rocco Scotellaro: manco li pacci! Nel Centenario della nascita di Rocco Scotellaro», con Nichi Vendola, Franco Fiordellisi, Paolo Saggese, Vinicio Capossela. Seguirà lo spettacolo di e con Ulderico Pesce “Il sindaco Contadino: Rocco Scotellaro”.

Il dibattito trarrà spunto da un’opera poco nota e studiata di Rocco Scotellaro, e che ancora oggi, a distanza di più di settant’anni, assume un significato simbolico e attuale: Scuole di Basilicata, edita postuma in Nord e sud I (1954) e Nord e sud II (1955), poi in Scuole di Basilicata, postfazione di Pancrazio Toscano, RCE, Napoli - Brienza, 1999 (e da chi scrive studiata di recente in La Scuola e la questione meridionale, Il Terebinto, 2023).

L’indagine

L’indagine compiuta con acribia e rigore fu commissionata da Manlio Rossi-Doria nell’ambito degli studi promossi dalla Svimez per l’elaborazione di un Piano regionale per la Basilicata. Qui Rocco non solo dimostra una conoscenza dettagliata della situazione della scuola soprattutto elementare in Lucania, ma dimostra di avere anche gli strumenti tecnici, a partire dal linguaggio delle scienze dell’educazione e della scuola, propri di un esperto piuttosto che di un giovane studioso estraneo al mondo dell’istruzione.

Occorre ricordare che la Lucania, insieme alla Calabria, sin dall’Unità nazionale deteneva il triste primato dell’analfabetismo (la Basilicata faceva registrare percentuali intorno all’88 per cento ancora in base al censimento del 1871), fenomeno triste e doloroso, che si era in parte attenuato, come dimostra lo stesso Scotellaro sulla scorta delle opere epocali di Umberto Zanotti-Bianco e di Giuseppe Stolfi. Tuttavia, in base al censimento del 1931 la Basilicata faceva ancora registrare un analfabetismo al 46 per cento contro la media nazionale al 21, nonostante i proclami retorici del fascismo.

L’indagine di Rocco Scotellaro assume un’importanza storica considerevole. Infatti, egli dimostra ciò che era ovvio: carenza di aule, carenza di strumentazioni, aule affollatissime (in media 45 alunni) e fatiscenti, assenza di insegnanti preparati, lontananza delle scuole dalle abitazioni nelle zone rurali, povertà endemica delle famiglie, costrette ad avviare al lavoro minorile presto i bambini e le bambine, mortalità infantile, denutrizione, assenza di libri, quaderni, penne, ostilità della classe dirigente, che non favoriva l’istruzione tra le classi popolari, poca attenzione dei genitori nei confronti dell’istruzione dei propri figli, assenza dello stato, rendevano nei primi anni successivi alla nascita della Repubblica gli sforzi spesso vani. La povertà economica alimentava la “povertà educativa”.

Investimenti mancanti

Drammaticamente, mutate le circostanze, il divario tra nord e sud, che tutte le rilevazioni nazionali e internazionali ci dimostrano (Invalsi, Pisa, Pirls, ad esempio), sembra rimasto immutato ieri come oggi.

Scotellaro richiama le autorità al dovere di investire di più nella scuola (Le riviste di cultura e il nostro tempo, Il Nuovo Corriere, 26 agosto 1951). Ammoniva ricordando che «una scuola povera è sempre il segno di una povera democrazia».

Sapeva che le classi dominanti non volevano il passaggio dal suddito al cittadino, come avrebbero denunciato in quegli anni anche Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Anna Lorenzetto, don Milani, Maria Giacobbe, Leonardo Sciascia, Domenico Rea, tra gli altri. Sapeva che un popolo di analfabeti non era degno di uno Stato che si dichiarava civile e democratico.

La fine

Ripensando ancora al suo destino, Rocco fu sfortunato e incompreso, perché da sindaco socialista di Tricarico fu osteggiato a tal punto da dimettersi, dopo l’accusa infamante e infondata di concussione per la quale fu arrestato (8 febbraio 1950) e poi totalmente scagionato.

Ritornò a Tricarico cadavere. I poveri braccianti, che avevano creduto in lui, in un ragazzo, che avrebbe potuto essere loro figlio, restarono increduli. Pretesero che la bara fosse aperta, volevano vedere il loro “eroe” lì, muto e freddo di morte. Loro furono i primi ad alimentare il mito. La sua tomba, che, come un monumento voluto da Carlo e Manlio, guarda la vallata, i calanchi, l’infinito leopardiano, sembra ancora evocare quei giorni epici di lotta per l’occupazione delle terre, la sua Marsigliese contadina sarà stata cantata su quelle ceneri centinaia di volte come lo ha fatto il poeta irpino Giuseppe Iuliano, alcuni avranno evocato il ritorno di Scotellaro e a Scotellaro. E così avverrà in Irpinia, ad Aquilonia, il 22 agosto, durante lo Sponz Fest.


La decima edizione dello Sponz Festival intitolata “Come li pacci” si terrà tra il 20 e il 27 agosto in Alta Irpinia

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