Era il lontano autunno del 2018 quando gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana pubblicavano un video di scuse da diffondere in mondovisione. Scenografia simmetrica, parete damascata oro e bordeaux, prossemica composta, due maglioncini neri coordinati per esprimere sobrietà, inquadratura fissa: praticamente un cortometraggio di Wes Anderson senza Jason Schwartzman e con i sottotitoli in cinese. La causa di questo mea culpa, uno spot per il mercato asiatico in cui una donna prova a mangiare del cibo italiano con le bacchette, senza riuscirci. Niente di strano, finché non arriva il pezzo forte, un enorme cannolo che proprio non si riesce a mandare giù, mentre una voce fuori campo domanda alla ragazza di origini cinesi, vestita con abiti tradizionali, «è troppo grande per te, vero?». Se l’epilogo è stato diretto da Wes Anderson, il prologo sembra opera di Nando Cicero.

Chiedere scusa non è mai facile, soprattutto quando di mezzo ci sono tanti soldi, come nel caso del mercato asiatico per gli stilisti Dolce&Gabbana, o come nell’ultimo affaire che ha coinvolto Chiara Ferragni, che nel fine settimana prima di Natale, quello in cui dovremmo essere tutti impegnati a intasare le code della Feltrinelli per comprare regali a parenti di cui non ci interessa nulla, ci ha incollati in un nuovo capitolo dei Ferragnez, senza passare da Prime però.

Come sempre, i contenuti migliori della coppia più spiata d’Italia sono quelli di rimbalzo, i fuori onda, i video rubati durante una festa di compleanno passata a lanciare lattughe che si trasforma in caso nazionale, non i documentari, non le serie e nemmeno la televisione, quella che Ferragni e Fedez bazzicano con modalità diverse, intensive nel caso di lei, estensive nel caso di lui. Lo hanno capito anche loro, e difatti con il carrozzone di Sanremo, tra litigi nel backstage e baci a sorpresa sul palco dell’Ariston, ci hanno fatto uno speciale intero dedicato a tutto ciò che avevamo ipotizzato fosse successo in quella settimana di fuoco e che non avevamo mai osato chiedere.

La faccenda però si è complicata. Non era la prima volta che Chiara Ferragni faceva uno scivolone, anche perché nell’era della sovraesposizione è davvero difficile esimersi da questo impegno di cui si nutre l’algoritmo. Le gaffes e gli errori, del resto, sono il nostro pane quotidiano, sia che si tratti della presentatrice di un talent che fa intendere di aver dimenticato la morte di un cantautore, sia che si tratti del giudice del suddetto talent che non perde occasione per ritirare fuori questo faux pas e fare un po’ di show: tutto, in nome dello spettacolo e del trending topic.

Stavolta però Chiara Ferragni si è ritrovata tra le mani una patata particolarmente bollente, tanto da farla chiamare in causa dalla Presidente del consiglio in un comizio durante la manifestazione di Atreju, il Woodstock della destra italiana fondato da Giorgia Meloni in persona, la sua personalissima versione del Lucca Comics ma con le fiamme tricolore ed Elon Musk al posto dei manga e Zerocalcare.

Il caso è quello di Balocco e della multa dell’antitrust per il suo Pandoro Pink Christmas, le conseguenze sono state prevedibilmente una cascata di opinioni, da quelle di suo marito che su Instagram chiede a Giorgia Meloni se non abbia niente di meglio da fare piuttosto che preoccuparsi delle faccende di una influencer – giusto – a quelle di chi invece chiede conto e ragione di un errore simile – giusto anche questo.

Dopo quarantotto ore circa di caos, Chiara Ferragni decide di andare in onda sulla sua rete ammiraglia, il suo profilo Instagram, e di farlo senza filtri, letteralmente. Non c’è traccia di una ring light, né di qualche artificio digitale, sembrerebbe. L’imprenditrice digitale si mostra in tutta la sua struccatura, capelli raccolti, voce spezzata, maglioncino grigio che fa pendant con le ceneri con cui si accinge a cospargersi il capo.

Non c’è un modo corretto di uscirne puliti, nell’era di internet e dell’ipercomunicazione – “comunicazione” è una parola che Ferragni usa molto, infatti, durante il suo monologo di scuse – qualsiasi tassello aggiunto a una tempesta di commenti, detta anche shitstorm, è benzina sul fuoco. Un fuoco che, chiaramente, può anche servire a far riaccendere la miccia della rilevanza quando ci si avvicina in modo pericoloso al dimenticatoio. Non è il caso di Chiara Ferragni, ma l’algoritmo in fondo funziona per tutti allo stesso modo. Qualcuno dirà che è una toppa peggio del buco, un effetto Barbra Streisand moltiplicato per trenta milioni di follower, qualcun altro dirà che ci vuole coraggio a chiedere scusa, qualcun altro ancora potrebbe far notare che non si tratta proprio di un “errore di comunicazione” ma di una truffa, altri ancora invece potrebbero commuoversi di fronte a un gesto di sincerità.

Travis Scott, all’indomani della tragedia avvenuta al suo festival Astroworld nel 2021, dove morirono dieci persone schiacciate dalla folla, ha optato per una regia in bianco e nero. Fa le condoglianze alle famiglie delle vittime in una storia su Instagram e diventa immediatamente un meme. La youtuber Colleen Ballinger, dopo essere stata accusata di comportamenti inappropriati nei confronti dei suoi fan, ha risposto con un video di scuse cantate con l’ukulele. Mila Kunis e Ashton Kutcher si sono scusati di aver supportato un collega accusato di stupro da qualche parte nel retro del giardino, abiti dismessi, facce gonfie da sonno, stesso look di Drew Barrymore: più l’aspetto è naturale, più le scuse sembrano sincere.

Nessuno di questi video ha prodotto il risultato desiderato, ossia quello di ricevere il perdono all’unanimità da un pubblico che si sente tradito per una qualsivoglia ragione, grave o mediamente grave che sia. E non c’è niente di strano, è la regola di internet, il motore che lo tiene in vita giorno per giorno, polemica dopo polemica: per ricevere perdoni e assoluzioni esistono i tribunali e le chiese. Il punto semmai è che nel momento in cui il tuo nome diventa un marchio, che sia Ferragni o D&G, è difficile distinguere dove finisca la paura di intaccare la propria “brand reputation”, per usare un’espressione cara alla nostra ministra del turismo Daniela Santanchè, e dove inizia la persona.

Ma anche per questo, internet non avrà mai una sentenza definitiva, visto che ce ne saranno milioni e dureranno tutte poco più di quarantotto ore, più o meno come un pandoro a Natale.

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