In principio era Striscia la Berisha. Correva l’anno 1997 e, al picco della seconda ondata migratoria albanese verso l’Italia, Striscia la Notizia pensò bene di imbastire una parodia stracciona della televisione italiana ambientata proprio in Albania e intitolata all’allora presidente Sali Berisha. Il programma, come ricorda Gabriele Ferraresi nel suo Mad in Italy. Manuale del trash italiano 1980-2020, giocava sulla fascinazione che il nostro paese esercita all’estero e sui tentativi di emulazione fallita che talvolta suscita.

Al posto delle veline, due anziane signore sgraziate. E alla conduzione, due spettinatissimi Gene Gnocchi e Tullio Solenghi disposti davanti a un gommone: icona di quelle navi che attraversavano il canale d’Otranto, una delle quali nel marzo dello stesso anno naufragò facendo 108 vittime. Erano altri tempi e le proteste per razzismo, che pure ci furono, non ebbero molto effetto. Antonio Ricci si difese affermando che il programma non prendeva in giro gli albanesi bensì gli italiani, ma evidentemente una cosa non esclude l’altra.

La parodia stigmatizzava sia i difetti del popolo di cui si imitava un’imitazione, noi, che quelli del popolo imitato nell’atto di imitarci, loro. Non sappiamo se fosse vero, come sosteneva l’autore, che Striscia la Berisha era molto seguito anche in Albania; quel che è certo che agli italiani piace immaginare come li guardano gli altri.

Se nel caso di Striscia la Berisha lo sguardo degli altri era immaginato dagli italiani stessi, chi volesse provare l’ebbrezza di una vera parodia della nostra televisione troverà su YouTube quel che fa a caso suo: la puntata di fine anno dello show russo del comico Ivan Urgant, intitolata Ciao 2020, che mette in scena un finto festival canoro interamente in italiano (con pronuncia russa e sottotitoli in cirillico).

Dopo essere stato trending topic in Russia, il programma è ormai diventato oggetto di adorazione anche qui da noi. E per una buona ragione: si tratta di un prodotto geniale, curato nei minimi dettagli, che coglie bene i tic della nostra televisione ma le tributa anche un sincero omaggio nostalgico.

E quindi le donne sono tutte affascinanti, relegate al ruolo di vallette sotto lo sguardo predatore del conduttore e delle telecamere; l’abbigliamento e i tagli di capelli ricercati ai limiti dell’eccesso; i siparietti comici sempre artificiosi e telefonati, con una predilezione per le battute a sfondo campanilistico e le discussioni sui tipi di pasta; i giochi televisivi truccati e le telefonate da casa; infine i riferimenti al sesso onnipresenti, pur temperati dalla religione cattolica, incarnata dal sacerdote Pippo il Secondo che chiude il programma con uno strano rituale di accensione dell’albero di Natale.
I nomi degli ospiti sono tutti plausibili ma vagamente assurdi, come Niletto Niletti, Julia Ziverti, Gerolomo Paffuto e Ornella Buzzi, e altrettanto surreali sono i nomi dei gruppi, da “Arti e Asti” a “Crema della Soda”, passando da “La Soldinetta”. L'effetto è simile a quello ottenuto ormai una decina di anni fa dalla webserie Italian Spiderman, parodia australiana dei nostri film d'azione degli anni Settanta.

Il soft power della tv italiana

Di tutta evidenza la televisione è stata uno degli elementi essenziali della costruzione di un immaginario dell’Italia all’estero. In alcuni paesi africani o dell’Est Europeo, l’Italia non è soltanto la cucina, l’arte del Rinascimento e ahinoi la Mafia, ma anche Rai International e il festival di Sanremo. Se ci resta una solida fonte di soft power oggi — quello stesso che, si diceva vent’anni fa, attirava in Italia tanti albanesi — passa dal teatro Ariston.

Nel proporne una parodia, Ivan Urgant (nel ruolo di “Giovanni Urganti”) crea una vera e propria opera d’avanguardia. Il punto di forza di Ciao 2020 sono proprio le canzoni e le loro coreografie, vere hit musicali russe eseguite dai loro stessi interpreti in italiano maccheronico. Il risultato sono versi inquietanti come: «Io non sono un amico, non sono un nemico, io sono un maniaco. Io strozzo a te». 

I momenti più alti sono probabilmente il crossover tra lirica e trap del duo Nicola Bascha con Danielle Milocchi in “La baldoria” e il balletto che accompagna la struggente “Piango al tecno”, che vede in formazione una guardia svizzera, due carabinieri, un giocatore della Juve, una donna vestita da Papa e un gladiatore romano.

Il programma merita una visione integrale e prolungata assieme ai suoi numerosi intermezzi, dalla finta pubblicità per un prodotto di pulizia che libera la donna dalla prigione della monogamia («Detersivo Buono: tanto tempo per amore!») e l’intervista al cast della serie “Quattro puttane”. Tutto culmina nella cover pestatissima di “Mamma Maria” eseguita dalla band Little Big (qui “Piccolo Grandi”). Ed è ascoltando questa versione rave rap dei Ricchi e Poveri eseguita da cantanti tatuati e ballerini in tuta che si capisce che Ciao 2020 non è soltanto una parodia della televisione italiana degli anni Ottanta, ma una rilettura moderna di quell’immaginario, attraverso i codici estetici del new ugly, della vaporwave, del trash consapevole alla Vice magazine o delle serate al Plastic, un’operazione molto meno ingenua di quanto possa sembrare da principio. Il tutto sponsorizzato dal marchio Martini, simbolo della way of life italiana.

I nostri fantasmi

Il fatto che un programma del genere abbia ottenuto tanto interesse in Russia ci dice dell’Italia due cose: che se il nostro immaginario continua ad avere un insospettabile irradiamento internazionale, quell’immaginario è irrimediabilmente ancorato a una stagione storica dalla quale (come ricorda anche Gabriele Ferraresi) non siamo mai riusciti a uscire: i riferimenti sono Celentano, Al Bano, Tozzi. Nel frattempo, sul primo canale russo va in onda un esperimento molto più contemporaneo rispetto a gran parte di quello che ci offre oggi la televisione italiana.

All’epoca di Striscia la Berisha, Antonio Ricci diceva: «Gli albanesi sono come noi: solo che vestono un po' peggio». Dopo aver visto Ciao 2020, dobbiamo ammettere: «I russi sono come noi: solo che vestono un po’ meglio». Ho chiesto a Ferraresi, da esperto di trash, cosa significhi per lui e per noi questo strano programma: «Per usare un eufemismo, si tratta di una ectofania: l’apparizione del nostro fantasma».

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