Togliere, togliere, togliere. Il credo di Marco Colzani è questo: se hai un’ottima materia prima non c’è bisogno di aggiungere altro. È un ragionamento che vale per il caffè, per il cioccolato, per i succhi di frutta e le confetture. Tutti prodotti che l’ex enologo, oggi ribattezzato juice maker, fa in Brianza, a Casatenovo, in provincia di Lecco. Il minimo comune denominatore è la frutta che vuol dire anche fave di cacao, i frutti della pianta del caffè, l’uva stessa. Gli studi di enologia e la professione che ha scelto di intraprendere sono uniti da una traccia coerente, quella di portare il frutto alla giusta maturazione.

Il cognome Colzani in Brianza è sinonimo di ottima pasticceria. A Cassago Brianza la famiglia opera dal 1977. È nel laboratorio che Marco prende confidenza con le materie prime e la loro trasformazione, ma è anche il posto dove si accorge dei troppi passaggi di lavorazione e dell’uso dei semilavorati: «Gli studi di enologia», racconta l’imprenditore, «mi hanno fatto capire che i processi sono simili: bisogna tener conto dell’origine del prodotto, del terroir, delle fermentazioni, delle acidità, degli zuccheri, dei tannini e delle ossidazioni. Solo che fare succhi è più divertente che fare vino». Uno dei motivi per cui Colzani nelle bottiglie preferisce mettere un nettare di albicocca anziché un Nebbiolo è il suo iperattivismo: occuparsi della frutta è come fare tante vendemmie in un anno.

Conoscere

Il contatto con i coltivatori è diretto. Sono tanti e in tutta Italia, tant’è che tra i prossimi progetti c’è quello di una geolocalizzazione dei fornitori: «In Sicilia prendo il mango da Papa Mango di Vincenzo Amata», spiega Marco, «in Piemonte le nocciole di Terra delle Nocciole a Cravanzana, in Valtellina le mele biologiche di Daniele Franchetti. Tra nettari, succhi e confetture ho una sessantina di referenze e spesso la frutta si compra in pianta perché sono io, da tecnico, che decido la giusta curva di maturazione e questa cambia da frutto in frutto, ma anche da territorio in territorio».

Complici anche i cambiamenti climatici, succede che i fornitori di uno stesso frutto debbano essere diversi. Così se la pesca piacentina ha preso una gelata primaverile, viene in soccorso quella di Volpedo. Sul fine estate poi c’è la settembrina di Leonforte che aiuta in caso di raccolta non generosa. La filiera deve essere la più corta possibile e il pagamento avviene subito: «E non dopo un anno e mezzo come avviene spesso nel mondo delle cooperative», aggiunge Colzani. «Un esempio? Le mele valtellinesi sono pagate in media dai 28 ai 30 centesimi al chilo, noi non scendiamo sotto i 70, perché questo è il prezzo giusto da riconoscere a chi non fa decine di trattamenti l’anno e che ha scelto un regime biologico serio».

Succhi al posto del vino 

La crescita aziendale è lenta ma programmata. L’obiettivo è quello di mettere via più succo possibile per arrivare all’anno successivo. Intanto il marchio è sempre più diffuso e lo si trova nelle migliori bakery, come nelle caffetterie specialty coffee e anche nei ristoranti fine dining, grazie a qualche proposta no alcol pensata in alternativa al vino: «Si può servire un semplice strizzato di mela rossa che sostiene i piatti grazie all’acido malico oppure Otro, una bevanda che è una combinazione di frutta, botaniche e aceto di vino che ho creato insieme a un gruppo di amici addetti al settore». Tra un prodotto e l’altro il vino torna sempre ed è naturale chiedere a Colzani se intende, prima o poi, avere un’etichetta sua. La risposta, però, lascia pochi dubbi: «Non scherziamo, il futuro del vino non lo vedo roseo come quelli dei succhi!».

L’importanza di comunicare 

Il laboratorio di Casatenovo ha appena un anno e ha all’interno due linee di produzione, quella del cioccolato e quella della frutta. Anche nel primo caso si lavora per sottrazione: no lecitina, vaniglia e aromi, sì all’uso delle fave di cacao fermentate all’85 per cento (di media la fermentazione quotata in borsa si aggira intorno al 50 per cento). Il costo è altissimo, perché il cacao è ai massimi storici: «Siamo riusciti ad abbandonare i trader di cacao e andare direttamente dai produttori, ma si resta comunque intorno ai dodici euro al chilo. Vuol dire vendere la nostra pasta di cacao a pasticceri e gelatieri almeno a 27-28 euro al chilo. È un prezzo che mi imbarazza e così ho fermato la vendita».

Colzani si chiede fino a che punto il cliente è disposto a spendere. E in merito torna a parlare di vino: «Nel vino c’è stato un lavoro di comunicazione importante. Oggi anche la casalinga che prende una bottiglia al supermercato conosce la differenza tra uno chardonnay e un sauvignon blanc. Non è così per il caffè e il cioccolato, i cui gusti sono ancora molto legati a una lavorazione industriale. Sulla frutta poi c’è una grande malinteso, perché non viene coltivata per la trasformazione ma per il commercio e messa in vendita con almeno due settimane di anticipo rispetto alla maturazione ideale. Per capire che sapore deve avere un frutto buono basterebbe coglierlo maturo dall’albero e mangiarlo».

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