E se la libertà venisse proprio dai legami? Mai come ora lo abbiamo desiderato, e ce lo direbbe anche Omero. In realtà per pochi istanti, in pochi versi dell’Odissea, Omero ci presenta un vero nodo ed è quando (nell’ottavo libro) Arete, madre di Nausicaa e regina dei Feaci, regala a Ulisse, prima del suo ultimo viaggio verso Itaca, uno scrigno pieno di tesori e lo prega di legarlo saldamente con un nodo. Si tratta del nodo che, molti anni prima, quando Ulisse ha vissuto per un anno intero nell’isola di Eea, gli ha insegnato la maga Circe. C’è quindi da scommettere che si tratti di un nodo magico. Non è un nodo qualsiasi, è femminile, perché si scioglierà grazie alle donne incontrate, e poikilos, complesso, come è la vita, variopinto, come sa renderlo la maga.

Questo dettaglio curioso, probabilmente frutto della stratificazione dei racconti su cui è intessuta l’Odissea, ha scatenato la mia fantasia sin da quando ero studentessa, portandomi a pensare che a Omero, come a noi del resto, piacesse immaginare la vita come un’incessante sequenza di nodi. Veniamo al mondo attraverso un legame e la nostra vita è un sentiero di nodi fatti e disfatti, e quello più importante, quello magico, impossibile da sciogliere, racchiude i nostri tesori più preziosi.

I legami di Ulisse

Il Nodo magico è un viaggio nell’Odissea e parla di Ulisse e dei suoi legami.  In quest’ottica l’Odissea non è solo il faticoso ritorno del protagonista alla sua Itaca, ma è anche un continuo e incessante formarsi e disfarsi di incontri, legami, avventure e amori di cui in qualche modo abbiamo bisogno per raccontare agli altri (oltre che a noi stessi) perché siamo quello che siamo.

Nei vent’anni del ritorno, Ulisse è un uomo vittorioso ma solo. Non è più un eroe ma un naufrago. Naviga per mare con i pochi amici rimasti ma ha perso la bussola della sua vita. Il senso e la direzione non sa più dove siano. Il ritorno di Ulisse è costruito sui nodi dell’amore, dell’amicizia e dell’ospitalità ma anche del dolore e della nostalgia, fondamenta indispensabili per la ricostruzione della memoria di chi è stato e di chi diventerà.

Saranno le donne che incontra a fargli ritrovare una forza che non è scritta in nessuna guerra. Circe, Nausicaa, Calypso, Penelope, Anticlea e tutte le altre figure femminili che Ulisse incontra disegnano la mappa della sua affettività ma anche della loro, della nostra, abitando saldamente una terra dell’interiorità dove chiunque la attraversi deve prima ricordare chi è per poter crescere. 

Donne e sfide senza tempo

E sono le donne le vere protagoniste dell’Odissea. Un’enciclopedia della nostra femminilità. Quando leggiamo le donne di Omero, cieco per tradizione chiunque egli fosse, noi ci sentiamo lette dalla sua vista introspettiva, come sapesse che ognuna di noi esiste prima di tutto all’interno di se stessa. Donne che sicuramente rispecchiano il modo in cui Omero vedeva l’altra metà del suo mondo ma anche espressione di una femminilità senza tempo. Come senza tempo è la conquista della femminilità, scommessa e lotta intima di ognuna di noi.

La sfida senza tempo è riuscire ad affermarci senza trasformarci in uomini ma facendo piuttosto valere la nostra natura, il nostro modo di essere e sentire al femminile, per poter competere alla pari senza essere lacerate dai sensi di colpa, e costruire un equilibrio tra tutte le donne di cui siamo fatte, senza soffocarne nessuna. Senza tradirne nessuna. In ciascuna di noi vivono Nausicaa, Circe, Calypso e Penelope a cui dare spazio quando ci inducono ad aprirci e ad accogliere, oppure a essere un po’ maghe, autonome e sempre aperte al cambiamento e quando serve essere capaci di mettere in campo risolutezza e intelligenza.

La vita è l’arte dell’incontro, a partire da quello con noi stessi e con la nostra libertà di diventare quello che abbiamo dentro.

Libertà è appartenenza

Come spesso accade sono le parole a venirci in soccorso. Quando diciamo libertà usiamo una parola che ha nella sua radice linguistica il senso di appartenenza, come dicono in latino libertas e liberi, i figli, perché fanno parte di una rete di affetti e parentele. E liberi siamo noi quando sentiamo di appartenere con il cuore a qualcuno o a qualcosa che ha scommesso su di noi, compreso un posto dove valga la pena stare o tornare.

La stessa radice di libertà si completa anche del significato di crescere e svilupparsi e sboccia nelle parole love e Liebe, l’amore in inglese e tedesco, un amore che lascia crescere e che lascia liberi. Amore, figli e libertà prendono così la forma di una gassa d’amante, il nodo tanto caro ai marinai perché salda senza stringere. E in una catena che sembra non avere fine, la parola libertà in latino ha anche la stessa radice di avverbi o vocaboli che indicano il piacere come libenter, volentieri e libido, la passione. Solo chi è libero fa ciò che gli piace, oppure fare ciò che ci appassiona ci rende davvero liberi.

La storia di Ulisse ha il suo lieto fine a Itaca dopo molti nodi fatti e disfatti, però mi ha sempre colpita, quasi intenerita, come poeti, scrittori e mitografi di ogni epoca, orfani di un racconto che non vorrebbero mai finito, abbiano sentito il bisogno di immaginare altri nodi, altri legami e altre avventure dopo l’agognato ritorno. E noi con loro. Perché per Ulisse, come per tutti noi, arriva il momento in cui, naufraghi e soli, abbiamo bisogno di scoprire e affrontare i nostri nodi per poter ripartire in nuovi viaggi, perché il greco non è mai finito. Per ricordare che la nostra libertà è riposta nei legami, ancora più importanti oggi che sono così difficili da stabilire ma forse, proprio per questo, più profondi.


Cristina Dell’Acqua è autrice del libro Il nodo magico. Ulisse, Circe e i legami che rendono liberi, edito da Mondadori

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