«Ma lei l’ha fatto il tampone?». È la domanda tormentone che ricorderò più a lungo di questo Festival di Sanremo. Che qualcosa sarebbe cambiato rispetto agli anni scorsi lo sapevo mentre partivo da Milano, in treno, con un certificato medico appena firmato e che, per l’organizzazione Rai, sarebbe durato al massimo 72 ore. Ma dalla lunghissima coda dei taxi disponibili alla stazione, avrei dovuto capire che la situazione sarebbe stata più incontrollabile del previsto.

Avrei dovuto capirlo meglio il giorno che ho visto il coreografo di Elodie, Thomas Signorelli, in lacrime. In un colpo solo, qui davanti al tendone del Casinò dove si fanno i tamponi, ha perso sei ballerine e un mese di lavoro. Con i Covid manager della Rai non si discute: «Se un elemento del corpo di ballo è positivo, tornano a casa tutti gli altri». E poco importa se lo spettacolo è tra meno di 72 ore.

Benvenuti a Sanremo, la città dei fiori e delle rose, che quest’anno hanno solo spine. Il mugugno ligure qui è all’ennesima potenza, il sindaco Alberto Biancheri, nei bar e nei negozi è il più citato. «Non erano questi gli accordi», tuonano al bar Smile di via Roma. Ristoratori, parrucchieri, tassisti si lamentano che a guadagnarci, in questa edizione, sia solo la Rai. A loro hanno lasciato solo il disagio e neppure una mancia. «Usano i van sanificati con cui arrivano da Roma e Milano, i nostri taxi neppure li guardano», dice un tassista mentre ci passa davanti quello nero coi vetri fumè di Achille Lauro. La parrucchiera è furibonda. Quest’anno gli sponsor non ci sono e il piatto delle feste piange. «Neppure una piega ho fatto negli alberghi», dice bevendo il cappuccino. «L’anno scorso non avevo tempo per respirare, gli eventi erano tanti ogni giorno. Ho pettinato anche Alba Parietti che sedeva in prima fila», racconta orgogliosa.

Intanto una signora con le Hogan bianche entra nel bar per avvertire che i vigili stanno portando via gli scooter parcheggiati davanti all’Hotel Globo. Lì alloggiano Amadeus, Fiorello e tutti i fidati collaboratori del manager Lucio Presta. Si dice sia lui il deus ex machina di tutta la vicenda, è lui che sceglie perfino dove far soggiornare gli ospiti. Dal Globo, appunto, si accede direttamente al Teatro Ariston, senza uscire all’esterno, e sebbene allure e tappezzeria siano gli stessi dagli anni 50, rimane il preferito dai famosi. Che prenotano di anno in anno. «È arrivato un camion e deve scaricare delle attrezzature e chissà che altro», spiega la signora alzando gli occhi al cielo, mentre qualcuno corre fuori a salvare il suo mezzo.

Alberghi e polizia

Davanti all’Ariston, poco distante da qui, quest’anno mancano gli avventori in cerca di foto e autografi. Al loro posto c’è tanta polizia, lì per evitare assembramenti: se ti fermi più di qualche secondo a guardare e a fare la foto di rito, scatta la sanzione. Per ora la multata più celebre è stata Orietta Berti che aveva superato l’orario del coprifuoco. Lei si è difesa spiegando che doveva provare gli abiti di scena ma non c’è stato nulla da fare.

Qualcuno però sostiene che anche la polizia abbia ceduto al fascino del divismo e che tra i loro cellulari giri più di una foto-ricordo coi famosi. La più ambita è stata quella con Elodie e qualcuno, durante le prove, è riuscito a ottenerla. E a proposito di Elodie, il coreografo sembra più rilassato ora. Dopo aver messo in sicurezza la ballerina positiva al Covid e aver rimandato a casa tutte le altre, ha chiesto e avuto in prestito le ballerine del collega romano di lungo corso, Franco Miseria, già lì per i numeri di Fiorello e Amadeus. E poco importa se queste non erano eleganti come le sue. In 72 ore non c’è stato tempo per lamentarsi. E lo spettacolo è andato in scena.

«Quest’anno per noi è stato un disastro», dice il proprietario dell’Hotel Belvedere, in via Roma, seduto nella sua hall. Però, quando gli chiedo se posso fare una diretta Instagram dalla sua rinomata terrazza di 200 metri quadri con vista mozzafiato, dice che è occupata. «L’hanno presa interamente il duo La rappresentante di lista. Fanno qui le prove e i cambi d’abito», spiega.

Anche l’Hotel Londra e l’Hotel Royal, come ogni anno, ospitano le case discografiche e gli artisti. Di questi tempi, l’anno scorso, era impossibile immaginare anche solo una camera libera. Perfino Michelle Hunziker in passato aveva dovuto soggiornare a Ospedaletti perché la sua assistente aveva prenotato troppo tardi. Quest’anno invece anche il Royal, quello in cui alloggiano i più famosi, ha ancora qualche camera in offerta a 450 euro a notte.

Qui è passata Matilda De Angelis, Elodie e Vittoria Ceretti. Ogni anno è ospite anche il maestro Beppe Vessicchio che tra gli orchestrali è una celebrità. È appassionato di karaoke e pare che sia rimasto deluso quando gli hanno fatto sapere che, causa Covid, quest’anno non è un servizio disponibile dell’albergo. La vita mondana è ridotta ai minimi termini, molti artisti hanno affittato delle case per ospitare il team di lavoro. Il calciatore Zlatan Ibrahimović, accompagnato da sua moglie, ha preferito invece dormire sul suo yacht da 26 metri e 20 milioni di euro ormeggiato sul molo principale della Marina di Sanremo e controllato a vista da due bodyguard (e una telecamera).

Anche il direttore di Raiuno Stefano Coletta, prima che Sanremo entrasse in zona arancione, pranzava frugalmente al bar Skipper sul molo. «Un pranzo leggero è quello che serviva», scherza qualche malalingua, sostenendo che sia stata dura per lui digerire i dati degli ascolti in calo rispetto al passato.

Sala stampa

L’anno scorso, complici le cene e le feste notturne, le notizie più piccanti arrivavano verso le due di notte quando l’adrenalina di alcuni artisti era all’apice. Dimenticate ormai le scenate di Morgan, le feste dei Pinguini Tattici Nucleari, i brindisi di Levante, e le notti brave di Ghali e di Francesco Sarcina che era appena tornato single, quest’anno le emozioni si provano in coda, fuori dal tendone del Casinò, per l’esito dei tamponi.

Sembrano lontanissimi i tempi in cui si bevevano Spritz e Negroni per tre euro al bar dell’Ariston e giornalisti bivaccavano lì giorno e notte. Oggi la sala stampa è un mortorio. Sono solo 70 i giornalisti accreditati contro i 500 degli anni precedenti. Gli orari sono prestabiliti e la sera, durante l’esibizione non si può mangiare. Bere è consentito solo se ognuno porta i drink da casa. Non è possibile neppure alzarsi per fumare (sì, i giornalisti ancora lo fanno) perché la security non transige.

Così, se prima erano perfidi, ora i giornalisti sono indemoniati. Come quello che si è inventato di sana pianta il plagio della canzone dei Måneskin. O i più che sostenevano che fosse ingiusto far rientrare in gara Irama – due del suo team sono risultati positivi al Covid – «perché le regole sono regole».

Per non dire del collega, a me sconosciuto, che si è alzato dalla sua postazione venendomi incontro, piccato e a meno di un metro di distanza, per ricordarmi che l’anno scorso avevo difeso un suo nemico giurato su Twitter. La noia qui è difficile da sostenere, ci vuole comprensione. Ne hanno da vendere gli uffici stampa, soprattutto perché stasera i giornalisti potranno votare i cantanti in gara e la (nostra) classifica farà media con quella della giuria demoscopica, dell’orchestra e del pubblico.

Una giornalista, durante la conferenza stampa pubblica, in diretta su RaiPlay, ha fatto passare un brutto quarto d’ora all’organizzazione. Ha fatto presente che le mascherine ffp2 fornite dalla Rai sono tra quelle sotto osservazione dal Cts. E così anche la Covid manager ha capito che è meglio avere più tolleranza con la stampa.

«Troppe “bad vibes” dice la collega di una rivista americana, qui non torno più», dice. Quasi meglio passare quattro ore di fila a Casa Sanremo, a un chilometro da qui, dove l’autore-conduttore Lorenzo Campagnari e Daniela Collu, conducono sull’app di Casa Sanremo uno spettacolo serale parallelo alla kermesse canora. Senza i mezzi economici del Festival ma con gli stessi orari e la stessa severità dei protocolli Covid. Il bar però c’è. E anche se dopo tre giorni dall’inizio non è ancora arrivato il ghiaccio – per i permessi, of course – un vodka tonic te lo fanno persino gratis.

Donne, gonne e testa

Intanto, mentre il governo affronta il tema del maschilismo, e nel paese si parla di no gender e di ritorno delle quote rosa, il Festival di Sanremo è quel luogo dove a decidere tutto, ma proprio tutto, sono ancora gli uomini. Decidono anche quali conduttrici saliranno sul palco. «Chissà se ci sarà mai, un giorno, un direttore artistico donna», sospira Sara Potente, talent scout della Sony, mentre ci accontentiamo di un caffè a distanza nel giardino dell’Hotel Londra.

Lei sì che ne ha fatta di strada. È una di quelle ex ragazzine innamorate della musica che oggi, a 46 anni, decide il destino dei talenti che diventano star. Per capirsi, quando si aggira nei locali di periferia, agli artisti che devono esibirsi tremano le gambe. Quando era ancora alla Universal, è lei che ha sentito per la prima volta la canzone “50 mila” di Maria Chiara Fraschetta e le ha prontamente cambiato il nome in Nina Zilli. È lei che ha creduto nello Stato Sociale ed è sempre lei che ha avuto la pazienza di far maturare Alessandro Mahmood (quando non ci credeva più neppure lui) e fargli vincere il Festival di Sanremo con la canzone Soldi. Oggi qui accompagna Colapesce e Dimartino e La rappresentante di lista. E, considerati i suoi trascorsi, consiglio a tutti di ascoltarli bene perché ne sentiremo parlare.

Tra le donne che muovono le fila di questo Festival c’è anche Carolina Stamerra Grassi, una delle poche registe televisive, neppure quarantenni, in un mondo di dirigenti uomini. Sono pochi a sapere che è la figlia di Stefania Messeni Nemagna, erede dei fondatori del Teatro Petruzzelli di Bari, perché lei vuole fare tutto da sola. Ha iniziato lavorando con Mika a X Factor. Mahmood, dopo essere stato con lei all’Eurovision, chiede sempre i suoi consigli (c’è il suo zampino anche per l’esibizione di lui in questo Festival). Nella lista dei suoi fan si è aggiunta anche Elodie e persino Laura Pausini che, finito lo show sul palco di Sanremo, le ha scritto un messaggio di stima. E non è escluso, prima o poi, che facciano insieme uno spettacolo nello stile di Beyoncé.

Ma, soprattutto, sono pochi a potersi permettere di discutere animatamente col regista Rai Stefano Vicario e poi continuare a farsi stimare. È successo due giorni fa dietro le quinte dell’Ariston, prima dello spettacolo di Elodie, quando lei chiedeva che la coreografia avesse una regia elegante, senza scadere nel solito binomio tette-culi a cui la tv ci ha assuefatto. E lui ha eseguito.

Le dirette Instagram

Intanto, mentre qui a Sanremo ricordiamo le interviste sulla spiaggia, negli alberghi e persino di notte alla discoteca Morgana (anni orsono sono riuscita a rubarne una alle due di notte all’ignaro Kevin Spacey) oggi l’unico modo per conversare con i cantanti è programmare delle dirette Instagram. La guerra con le radio è all’ultimo sangue, l’esperienza è dalla loro parte. Ieri sono rimasta due minuti in diretta, a parlare da sola, in attesa che arrivassero i Måneskin perché una giornalista radiofonica non li lasciava andare. Alcuni uffici stampa hanno rinunciato ad accompagnare gli artisti per la paura di contagiarli e diventare per tutti la lettera scarlatta. «È un attimo che entri nella lista nera», scherza Valentina Ferrara che segue i Måneskin. Quest’anno è assente perfino Elena Tosi della Warner, il segugio di Annalisa (al suo quinto Sanremo): non l’ha fermata il Covid ma l’attesa di un figlio, unico motivo valido, per lei, per non essere qui in trincea.

Sulle dirette Instagram un avvertimento è d’obbligo: qui la rete non prende e il wi-fi non arriva ovunque. E i giornalisti sono tutti a caccia di uno sfondo, se non in stile Miami Vice almeno marino. Una luce in fondo al tunnel è stata per me la proprietaria del Salsadrena, ristorante sulla spiaggia: «Venga pure qui, la ospito. Da oggi siamo in zona arancione e non lavoriamo più», dice sconsolata. Non è un bel momento per chi ha i ristoranti e non riesce a programmare i menù. Ma lei mi ha offerto un posto con vista, senza neppure chiedermi la consumazione. Qualche buon anima esiste.

Addio Sanremo

Chi crede che la parola sfiga non esista più, non è mai stato dietro le quinte di uno spettacolo. E a proposito di amuleti e porta fortuna, guai a fare gli auguri o dire imboccalluppo. La parola da ripetere come un mantra prima di andare in scena è solo: «Merda, merda, merda».

Mentre rifletto su quello che ho visto la sera prima, torno al casinò di Sanremo per la conferenza stampa di mezzogiorno. All’entrata l’addetto alla sicurezza mi guarda con aria inquisitoria. «Mi faccia vedere quando scade il suo pass. Lo sa che deve usare la mascherina che le abbiamo fornito noi?». Striscia il mio badge sotto uno scanner. Intanto dall’altro lato della strada passa il van imponente del rapper Random. La sua canzone più famosa, Chiasso, è stata scaricata 90 milioni di volte, ma nella classifica generale oggi è tra gli ultimi. Sul palco di Sanremo le regole non sono le stesse per tutti. Qui in sala stampa invece sì. «Le scade il permesso tra un’ora poi dovrà fare un altro tampone», dice l’addetto alla sicurezza. «Siamo in zona arancione, i malati di Covid aumentano e sta arrivando la terza ondata. Non so se è il caso di farla passare». Qui, dal fronte del Festival di Sanremo, è tutto. Domani torno a casa. © Riproduzione riservata

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