Al Mart di Rovereto è iniziato, con Caravaggio, un confronto tra gli antichi e i moderni, in un paradosso del tempo che annulla le distanze e ci fa sentire presenti e vivi i maestri del passato. Il tempo delle opere d’arte è più lungo del nostro.

Così Dante poteva scrivere nel paradiso XVI: «Le vostre cose tutte hanno lor morte, sì come voi; ma celasi in alcuna che dura molto, e le vite son corte». Parafrasando: le cose terrene, così come avviene per voi uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non manifestarsi in alcune cose che durano a lungo, come le città o le schiatte, d’altra parte la vita umana è cosi breve che non permette di vedere la loro fine. Abbiamo iniziato con l’esposizione del più grande e potente dipinto del Caravaggio al museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto. In quel dipinto c’è tutto il sentimento della vita e della morte e la devozione per la santa siracusana che, grazie all’intervento del museo e della provincia di Trento, risanata e posta in sicurezza, sarà riportata nella evocativa sede originaria: il santuario di Santa Lucia alla Borgata di Siracusa.

Intanto si può riflettere su quanto in quel dipinto ci sia di assolutamente “presente” sul piano estetico e sul piano esistenziale. L’opera in mostra dialoga con i dipinti di Alberto Burri in cui si consuma ogni forma. Nella parte inferiore, il corpo martoriato della santa, consunto nella pittura fino a confondersi con la tela, ci fa ripensare al corpo straziato di Pier Paolo Pasolini, la cui empatia con Caravaggio è non solo artistica ma esistenziale.

Per questa importante impresa, fra mille ostacoli, è stato fatto un lavoro straordinario, non solo di ricerca, ma di analisi e di manutenzione dello storico restauro voluto da Cesare Brandi, con l’obiettivo di far sentire tutte le potenzialità di quel Caravaggio rispetto al nostro tempo. È stato faticoso, è stata una guerra fra il bene e il male, fra la ragione e l’oscurantismo, fra l’intelligenza e la superstizione. Ma, con grande forza, il dipinto racconta ora al mondo il suo significato drammatico nel museo di cui io sono il presidente e in cui si apre una nuova èra.

I RETROSCENA DI UN’IMPRESA

Vorrei raccontare i retroscena dell’impresa. Una sedicente associazione “di promozione sociale” di cui non risulta alcuna attività né sociale né culturale, vive solo minacciando e diffondendo menzogne, drammatizzando le regolari procedure per una mostra progettata da un museo di grande tradizione che valorizza potentemente un capolavoro siracusano già prestato dall’ente proprietario in numerose altre occasioni.

Nulla di diverso, in questa circostanza, se non l’impegno a garantire manutenzione e sicurezza per la definitiva collocazione del dipinto. Il progetto della mostra (l’idea, non la cura che ricade su tutti i curatori citati e autori di saggi) è del presidente del museo che ha iniziato il percorso istituzionale più di un anno e mezzo fa. L’esecuzione degli atti è compito degli uffici, secondo procedure collaudate che non hanno alcun mistero, come invece ha insinuato l’associazione. Nessuna forzatura ma semplicemente l’idea di far sentire la contemporaneità di Caravaggio affermata nella stessa terra in cui Burri ha lasciato il suo drammatico “Grande Cretto” nel luogo del terremoto a Gibellina.

Nei ruoli che rappresento ho tenuto rapporti diplomatici, progettuali, non burocratici. E ho trovato ostacoli solo da parte di chi non ha fatto niente, se non inventare una ridicola sceneggiata per impedire un intervento utile e necessario. La pratica è andata avanti per uffici, il suo percorso è limpido, e gli istituti hanno svolto le loro reciproche funzioni, coinvolgendo tutti gli enti responsabili, fino al momento del consiglio decisivo del Fec (Fondo edifici di culto del ministero dell’Interno), ente proprietario del dipinto di Caravaggio, che nella sua autonoma autorità ha convocato il cda, presieduto dal direttore degli Uffizi Eike Schmidt (a garanzia della serietà del progetto, su cui si è già pronunciato favorevolmente) per stabilire, dopo la relazione dell’Istituto centrale del restauro, le condizioni del trasferimento a Rovereto e i tempi dell’operazione. Per parte mia non c’è stata nessuna forzatura ma la condivisione delle condizioni stabilite il 18 Settembre. Nient’altro.

DENUNCE INUTILI E RIDICOLE

Ma i disturbatori non si sono rassegnati e non si rassegnano, con denunce inutili e ridicole (salvo che all’unico ufficio competente, il Tar). Dal canto mio, prima che le pratiche seguissero, ho incontrato, proponendo il progetto culturale: il presidente della regione siciliana Nello Musumeci (parere favorevole), il presidente della provincia di Trento Maurizio Fugatti (parere favorevole), il sottosegretario all’Interno del primo governo Conte (il che fa capire le date, giugno 2019) Stefano Candiani (parere favorevole), la soprintendente Donatella Aprile (parere favorevole).

Alla chiesa di Santa Lucia della Borgata ho incontrato il padre superiore dei Cappuccini che ha entusiasticamente condiviso il progetto per il rientro, a spese del Mart, valutando comunque con grande scetticismo i tempi previsti per l’abitudine all’inerzia delle autorità locali. Con la soprintendente Aprile, supportata dalla brava e operosa Silvia Mazza, si è deciso di coinvolgere, per competenza, l’Istituto centrale per il restauro. E con il presidente Musumeci si è convenuto di chiedere il consenso (ottenuto) del vescovo che ha dichiarato l’intervento «non procrastinabile e non altrimenti finanziabile». Il solo mistero resta, a sede vacante, il mutato parere del vicario vescovile prima del sopralluogo dei tecnici. Con queste premesse la pratica è partita ed è arrivata alla felice conclusione.

Nella fase finale, al di là delle carte, ho stabilito anche rapporti con soggetti non pertinenti come la non competente amministrazione comunale – l’assessore Fabio Granata che ha condiviso il progetto e il sindaco Francesco Italia – che non è l’ente proprietario (per intenderci il sindaco di Firenze non ha alcuna autorità sui prestiti degli Uffizi, che sono di proprietà statale, come il dipinto siracusano di Caravaggio) ma che ho debitamente informato perché attori della comunità siracusana. Nessun mistero. Tutto semplicissimo. Io ho ideato e amorevolmente seguito il progetto. Alla città di Siracusa, e non al comune, ho promesso una mostra di capolavori del Mart, e ho sempre pensato che la sede ideale fosse palazzo Bellomo.

GLI OSTACOLI

Le associazioni “di promozione sociale”, invece di assecondare come altre avvedute il progetto, lo hanno in ogni modo ostacolato, tentando incomprensibilmente di rallentare i tempi tecnici che hanno portato al lieto fine, altrimenti, nella loro inerzia, non raggiungibile. E hanno preferito questo inutile esercizio invece che applicarsi a far luce sui torbidi movimenti di loro compagni di strada che hanno ingannato la Sicilia e la città di Troina con la vendita di un falso dipinto di Tiziano che tutta la comunità scientifica e gli esperti di pittura veneta del Cinquecento respingono.

Uno scandalo che umilia la Sicilia mentre il Caravaggio esposto in dialogo con Burri, al Mart, la esalta e garantisce all’opera le migliori condizioni espositive nella sua sede d’origine, con tutte le conseguenze positive sul culto della santa. Così osserva una valorosa studiosa siciliana, Flavia Zisa: «Grazie mille Vittorio. Non ho fatto nulla per aiutarti ma ho apprezzato molto la tua gentilezza. Abbiamo un sentimento comune che ci lega alla Bellezza. Ho captato in video l’allestimento e francamente mai nessuno aveva visto così quel capolavoro che emerge in tutto il suo spettacolo».

Lasciamole dunque al loro vano agitarsi le sedicenti associazioni “di promozione sociale”. E lavoriamo per la città di Siracusa. E per la sua amatissima santa, come io ho voluto fin dall’inizio. Da vero siracusano elettivo che fa e non perde tempo. Senza il mio intervento il Seppellimento di Santa Lucia sarebbe rimasto, in precarie condizioni, nella insalubre chiesa di Santa Lucia, appoggiato su un capolavoro di Deodato Guinaccia, finalmente liberato. Alle associazioni un dipinto minore non interessava e Caravaggio imprigionato andava sfruttato, non curato e riportato a casa sua, nel santuario della santa.

Altroché “promozione sociale”. Il bene della città ha prevalso sulla proterva volontà di alcuni personaggi in cerca di autore che hanno tentato di far prevalere sul nomos, sulla ragione, sulla cultura, sul sentimento collettivo, le forze di un potere sordo e ambiguo. Un piccolo potere incapace di tutelare e valorizzare lo straordinario e delicato patrimonio storico e artistico della Sicilia, come ha fatto una grande istituzione amica come il Mart. Con piena soddisfazione del Fec e di Italia nostra nazionale, nella difesa dei beni comuni. Per tutti.

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