Cos’è una cena senza colonna sonora?

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è cucina abitabile. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Vi prego, spegnete la musica di sottofondo». La provocazione — più meditata che aggressiva — arriva dal compositore Nicola Piovani, premio Oscar per le musiche de La vita è bella, in un’intervento che a settembre ha acceso il dibattito: secondo il musicista il “tappeto sonoro” nei ristoranti ha invaso spazi che dovrebbero restare dedicati alla parola, al gusto e al silenzio attento. La sua proposta, persino quella di bollini che segnalino i locali “senza musica”, ha creato divisione tra chi difende il diritto al silenzio a tavola e chi sostiene che la musica d’ambiente sia un elemento importante dell’esperienza gastronomica. Il tema non è solo estetico: è anche culturale e commerciale. Molti operatori dell’Horeca vedono nella colonna sonora uno strumento di branding, controllo del ritmo del servizio e persino di incremento del giro d’affari. La musica modulata con criterio può rilassare, aumentare la permanenza dei clienti e rafforzare l’identità del locale. Una ricerca scientifica israeliana pubblicata su MDPI (Multidisciplinary Digital Publishing Institute) nel 2024, ha rilevato come una musica lenta comporti un tempo di permanenza più lungo nel locale e mance più alte; al contrario l’uso di una musica più veloce coincide con un’uscita più rapida, con un turnover maggiore ma anche con una riduzione dello scontrino medio. Un altro esperimento fatto a Wuhan, in Cina, qualche anno prima ha evidenziato come i clienti ricordino più facilmente il locale se la musica è coerente con l’ambiente visivo. Musica contro le autocrazie, la storia di Martello, pianista giramondo per la libertà Progettare comfort sonoro «La sfida non è tanto l’assenza o la presenza della musica, quanto il suo dosaggio». Con il comfort sonoro Davide Broccardo, responsabile commerciale di Marvin Acustica, ha a che fare ogni giorno. Tra i clienti di questa azienda veneta, specializzata in isolamento acustico, ci sono anche ristoranti, bar e hotel. «Il comfort acustico sta diventando importante quanto luce e temperatura nei locali», spiega Broccardo, «e il miglioramento dell’acustica permette di trattenere i clienti più a lungo, con benefici economici. I locali riverberanti causano confusione e stress, soprattutto in spazi con superfici lisce o arredamenti moderni privi di tessuti fonoassorbenti. Il ristoratore, per mascherare i rumori, tende a ricorrere alla musica di sottofondo, ma coprire non significa risolvere». I tecnici della Marvin misurano il tempo di riverbero del locale e valutano come parlato e musica si diffondono nello spazio, intervenendo poi con pannelli fonoassorbenti o materiali integrati nell’arredo. Spesso insonorizzano anche macchinari rumorosi – dalle cucine a vista ai forni o alle macchine da caffè. «Molti progettisti non ci pensano – conclude Broccardo – ma l’evoluzione del design verso superfici lisce e materiali facili da pulire ha aggravato il problema acustico. A quel punto, l’intervento post-costruzione diventa inevitabile». La lezione di Polifonia, la musica è lo spazio dell’integrazione Playlist e music designer Il sottofondo può non essere neutro, ma diventare un “elemento di arredo” uditivo che comunica. Ovviamente esiste una soglia normata oltre la quale scatta la sanzione secondo il Decreto Legislativo 81/2008 che fissa il limite massimo di esposizione giornaliera a 87 decibel (valore valido per i dipendenti). E sempre in fatto di leggi, anche il semplice tappeto sonoro richiede licenze Siae e Scf, che tutelano autori, interpreti e produttori. Secondo Rodolfo Citterio, delegato della Fipe, la Federazione italiana Pubblici Esercizi, la quasi totalità degli associati rispetta la legge «ma le vere difficoltà, da qualche tempo», spiega Citterio, «sono l’utilizzo di piattaforme di streaming digitali che rendono difficile il controllo o la musica generata dall’intelligenza artificiale che non ha un autore, un cantautore né un cantante e di conseguenza è difficile individuare la natura di quella musica. Anche i piccoli dispositivi mobili rendono difficile intercettare le eventuali violazioni». Chi critica apertamente app come Spotify è Paolo Scarpellini, music designer e sound sommelier, che da quindici anni crea playlist personalizzate per ristoranti fine dining e hotel. L’esperto definisce il suo lavoro come un mestiere “sartoriale”, fondato sull’ascolto e sull’osservazione diretta dei luoghi: «Le playlist nascono sempre da sopralluoghi», spiega Scarpellini, «durante i quali provo l’esperienza del cliente – mangiando, bevendo, dormendo – per capire i ritmi, i suoni, i colori, le stagionalità e perfino i profumi del posto. Nessuna app potrà mai sostituire un’attenzione così artigianale». Quando i camionisti erano i veri critici gastronomici La sua lista di clienti annovera nomi importanti, come quello di Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana: «Bottura», continua il music designer, «ha contribuito attivamente alla costruzione della colonna sonora, perché la sua attenzione al dettaglio si estende anche alla musica». Anche a Motelombroso la musica non è un semplice sottofondo, ma è parte di una “scenografia immersiva”. Dietro la cura puntigliosa di questo ristorante milanese sul Naviglio Pavese ci sono Alessandra Straccamore e Matteo Mazza, una gioventù passata ballando musica elettronica e facendo tanto clubbing: «Anche per questo nel ristorante non c’è mai stato spazio né per il silenzio né per la musica casuale – racconta Straccamore. Qualche mese fa, l’insegna ha portato all’estremo il rapporto tra musica e cucina con l’esperimento “No Background Music Now”, ideato dal collettivo Gelinaz: una cena in silenzio con concerto elettronico dal vivo e un menù pensato per seguire i tempi dettati dal musicista. «Esperienza estrema e volutamente disturbante – non nasconde l’imprenditrice – ma è stato il nostro modo di raccontare il dialogo che può esserci tra gusto e suono». Forse, come suggerisce Piovani, la vera questione non è il volume, ma la capacità di ascoltare: la musica, il cibo e, soprattutto, chi ci siede accanto. [Missing Caption][Missing Credit]