«Vediamoci qui a Roma da Dagnino, un bar da fantasmi che ricorda l’atmosfera del film».

Elisa Fuksas è così. Diretta, senza fronzoli, decisa. Ironica senza volerlo. Come la regia del suo documentario Senza fine con Ornella Vanoni, in uscita nelle sale dal 24 febbraio e di cui oggi c’è l’anteprima a Milano. Ironica come quando dice «fatico a definirlo, più che un film è un’anomalia. A volte sembra un documentario, a volte un horror. Ma non lo farei diverso. Di sicuro non saprei rifarlo uguale».

Un’opera che non ti aspetti, in cui l’estetica guida il film più delle parole, ma che poi, davanti alle volontà della protagonista – che in alcune occasioni si è chiusa in camera e non voleva collaborare – sembra soccombere. Ma solo per poco. Fino a quando Fuksas decide che arriverà in fondo, anche senza Vanoni.

«Per la prima settimana i posti nei cinema sono andati esauriti, mi stupisce ma dà speranza. Vuol dire che il pubblico non cerca sempre le stesse cose», commenta mentre chiede un tè verde al cameriere in livrea bianca. «Hai visto com’era usurata?», chiede mentre lui è già di spalle. Osserva tutto, anche quando sembra guardare altrove. A fare la regista ha iniziato nel 2007, dopo la laurea in architettura che a casa Fuksas era un passaggio naturale «ma non obbligato», sottolinea.

Sono arrivati prima i cortometraggi, poi il primo film, Nina, con Luca Marinelli, e a seguire un lungometraggio per Netflix che rinnega («hanno tagliato 40 minuti senza chiedere permesso, era incomprensibile, non lo volevo firmare»). Nel 2020, durante la prima ondata di pandemia, scopre di avere un tumore alla tiroide e dà vita al documentario iSola. «Non volevo farne un film, era una sorta di diario. Un racconto da condividere solo con la mia famiglia che per ovvi motivi si era trasferita in campagna, mentre io ero rimasta sola a Roma. Poi, nello stesso periodo, diagnosticano un linfoma anche alla mia migliore amica. A quel punto le mie attenzioni sono state tutte per lei, e quel girato è diventato un progetto più ampio».

L’amica oggi sta bene?

Sì, siamo state fortunate.

Invece come è nata la pellicola con Ornella Vanoni?

Non è stata una mia idea, ma di Malcom Pagani, tra i tanti produttori di questo film.

E l’approccio con lei?

Mi apre la porta e mi invita a fare la pipì insieme, come è suo costume.

E tu?

Non mi scompongo. Ero lì per spiegarle l’idea. “Non sono una giornalista, non voglio fare un requiem. Voglio raccontare chi sei oggi, più di ciò che sei stata”. E lei: “Sì certo amore” (la imita, ndr). Sembrava facile.

All’inizio c’era anche una sceneggiatrice. Che fine ha fatto?

Ornella non l’ha più voluta.

Come mai?

Diceva che aveva gli occhi troppo vicini, non le trasmetteva buone vibrazioni. Per fortuna che non aveva ancora scritto niente.

Partenza col botto.

L’idea era fare un road movie, qualcosa tra Il sorpasso e Thelma e Louise, con delle tappe per incontrare i suoi amici. Avrei voluto coinvolgere i nipoti ma non è stato possibile. Poi a un certo punto Ornella va alle Terme di Castrocaro e mi invita.

E tu vai.

Non subito. Una sera guardo il sito dell’hotel: mostruoso. Tanto che poi ho consigliato ai proprietari di cambiarlo, non rende giustizia al posto.

Insomma vai.

Sì. E mi innamoro della struttura. Che diventa centrale per il film. La prospettiva cambia, penso a un documentario fantastico, un film tra 8 e mezzo e La forma dell’acqua.

Ambiziosa.

L’idea era che io e Ornella alloggiassimo in questa località termale e lei, alla fine, diventava una sirena.

Lei era d’accordo?

Non ha mai voluto leggere nulla, non chiedeva.

Vanoni non sempre è stata collaborativa. Come hai fatto ad arrivare in fondo?

Quando per l’ennesima volta Ornella non è scesa dalla sua camera, ho sentito proprio un clic del mio cervello. Ho cambiato prospettiva. Sono diventata manipolatrice, in senso buono.

Entri nella scena più volte, non usuale per una regista.

C’erano tante persone che dipendevano dai suoi umori. E ho usato le sue assenze per costruire il film.

Ma perché lei non collaborava?

Ornella ha varie regole: la mattina prima di mezzogiorno non si può disturbare. La sera, in teoria, doveva andare meglio ma poi no: faceva caldo, beveva gin tonic a digiuno, fumava canne e si sentiva stanca. Io al suo posto sarei morta.

Ha anche 87 anni.

È anche abituata a sentirsi dire sempre sì. La celebrità ha due facce: la fortuna del successo e poi la sfortuna, perché sei spesso solo, nessuno ti dice la verità, hai tutti i leccaculo intorno, non sai chi davvero ti stima e chi invece ti usa. Io con lei invece sono stata molto leale.

Anche perché, figlia di due archistar come Massimiliano e Doriana Fuksas, alla celebrità ci sei allenata.

Se vuoi sopravvivere in una famiglia come la mia, la personalità te la devi creare. Solo quando ci sarai riuscita, ci saranno confini solo tuoi, e nessuno li potrà prevaricare.

Ti ferisce quando ti definiscono raccomandata?

Io mi sono dovuta battezzare a 37 anni per staccarmi dal mio nucleo familiare. Il battesimo è stato l’inizio di un’identità. Che non vuol dire rinnegare, io amo la mia famiglia.

Che cosa ami di loro?

Che siamo tutti esuli, non apparteniamo a niente e a nessuno. Mia sorella Lavinia è una donna indipendente, i miei genitori sono una sorta di città stato in cui non può entrare nessuno. Una città dell’amore di cui siamo testimoni ma non partecipi.

Voli sul jet privato di tuo padre?

Nessuno va con lui. Mia madre ha paura di volare, per raggiungerlo a Pantelleria ci impiega tre giorni col traghetto. Io non prendo un aereo da quando è iniziata la pandemia, non so neppure se saprei più salirci.

Torniamo a Vanoni. Raccontami la scena della piscina, con cui il film inizia e finisce.

Era l’ultima da fare, la più costosa. Prevedeva una controfigura. Alle otto di sera mi dicono che l’attrice scelta non sa nuotare.

Bene.

Con la tranquillità di un monaco dico a Ornella: “Ora mangi, non troppo, e poi fai tu la scena”. E lei accetta. Nel frattempo mangia tantissimo: pasta, pizza e dolce. E poi si veste. Indossa un abito di scena pesantissimo, lei in piscina doveva sembrare una creatura fantastica, una Madonna delle conchiglie. A quel punto si immerge in acqua. Era l’unica sera fredda di tutta l’estate. E inizia a dire improperi.

C’era anche il rischio che si sentisse male. C’erano i bagnini?

Sì, ma si dovevano allontanare per non entrare nell’inquadratura.

Quanto è durata la scena?

Non lo so. Come quando vedi qualcuno che soffoca, ti sembra che quel momento duri un’ora e invece è un minuto. Io avevo paura, mi aggiravo sul set con la salvia bianca (serve per allontanare le energie negative, ndr) e dicevo le preghiere, mentre il produttore rileggeva l’assicurazione. Quando l’hanno portata fuori io e Ornella ci siamo abbracciate.

E ha voluto vedere le immagini.

Ti ha poi chiesto di cambiare qualcosa nel film?

È partita subito per la Sardegna, mi telefonava continuamente, ma non per il film. Solo per fare le sue strane domande. Chiamava anche Pagani. “Ti disturbo, stai scopando?”. Era il suo incipit.

Anche Pagani l’hai portato dentro al film.

Eravamo tutti esausti, una sera la chiama per farla ragionare. E mentre parlava dico al direttore della fotografia di inquadrarlo. Lì ho avuto la sensazione di aver trovato la chiave del film. E ho capito che dovevo guidare io.

Usi due direttori della fotografia.

Sì, perché così si dissimula l’ego di tutti.

In questo caso l’ego che ha avuto la meglio è stato il tuo.

Chiamala identità. L’ho imparato da Ornella. Tutti i suoi discorsi sul talento e il coraggio li ho messi in atto. Una volta, tra rivelazione e sfida, mi ha detto: “Tu puoi avere un grandissimo talento ma se hai poco coraggio non vai da nessuna parte. Viceversa, se hai un talento così e così, e tanto coraggio, vedrai che arrivi”. E io allora quel coraggio l’ho trovato. Per il talento vedremo.

La tua soddisfazione maggiore?

Quando sono riuscita a non subire l’effetto Vanoni. Io il documentario lo volevo chiamare Effetto Vanoni, dal titolo Effetto Notte. Ornella ha una capacità quasi elettromagnetica, cambia tutto ciò che accade intorno a lei. È una magia, in pochi ce l’hanno.

A chi sei grata per essere arrivata fino a qui?

Ai produttori di Indiana. La prima volta li ho contattati anni fa per fare un film sul libro di Teresa Ciabatti I giorni felici.

E com’è finita?

Non se n’è fatto niente. Col tempo abbiamo fatto altro.

Hai scritto un libro Ama e fai quel che vuoi, da una frase di Sant’Agostino.

Farò un film su quel libro, non so ancora come. È la storia di una ragazza che tradisce il fidanzato con un uomo che le propone subito di sposarla. E lì lei realizza di non essere battezzata.

Storia autobiografica?

Sì, ma il libro mi è servito ad aprire un dibattito sulla religione. È stato un percorso. Affrontando incontri mancati, quesiti e paure, sono arrivata a battezzarmi tre anni dopo a Santa Maria del Fiore, a Firenze, la notte di Pasqua.

La storia d’amore poi com’è finita?

Ho lasciato il fidanzato e mi sono messa con l’altro. Ma poi non ci siamo sposati più.

 

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