Sessant’anni dopo davanti all’Atalanta che battendo la Roma la riportava in Champions League, Bologna si sarebbe ricordata di quel remoto pomeriggio di giugno in cui accadde per la prima volta. Allora la città non aveva ancora avuto un sindaco non comunista e nemmeno di centro-centro-sinistra, Giorgio Guazzaloca – the butcher –, e persino Francesco Guccini non aveva rinnegato tre volte il PCI, che solo i discorsi di Beniamino Andreatta avrebbero poi messo in crisi in consiglio comunale e Romano Prodi – suo allievo – non immaginava di andare in Europa da protagonista prima della sua squadra. E prima che arrivasse Joshua Zirkzee il fuoriclasse in città era Edmondo Berselli, suoi i dribbling serpigni e i gol da guardare e riguardare, ripensando ad Harald Nielsen capocannoniere del Bologna del passato, in una trasposizione da campo a pagina.

Nel 1964 Lucio Dalla era un ragazzo come noi, vent’anni e poche canzoni, che oggi sarebbe per strada a festeggiare con Gianni Morandi che già era andato a cento all’ora (1962) e già le aveva chiesto di farsi mandare dalla mamma a prendere il latte (sempre 1962), che c’ha messo la faccia quando non c’era Joey Saputo: il presidente venuto dall’altra parte dell’oceano per realizzare il sogno. L’allenatore era Fulvio Bernardini – centrocampista come Thiago Motta – che diceva: «Prima si insegna il calcio vincente ai giocatori, poi semmai si pensa alle strategie e alle tattiche», una frase che l’allenatore italo-brasiliano potrebbe sottoscrivere, in comune anche l’aver giocato con l’Inter.

Certo il Bologna del 1964 vincendo lo spareggio con l’Inter si era cucito lo scudetto sulla maglia e poi era andato in Coppa Campioni, la mamma della Champions League, ma oggi è tutto più complicato e meno facile da decifrare: il campo e il mondo non sono semplici, ma questo a Bologna lo sanno da prima di tutti, da quando Achille Occhetto provò a cambiare nome e modulo tattico alla Bolognina del 1991. Dove ieri c’era Giacomo Bulgarelli – che Pier Paolo Pasolini, altro tifoso del Bologna che vide quello scudetto, voleva nel suo film I racconti di Canterbury senza riuscire a schierarlo, per poi averlo come punta nei Comizi d’amore – oggi c’è lo scozzese Lewis Ferguson, dove c’era Helmut Haller c’è Riccardo Orsolini, dove c’era Mirko Pavato c’è Stefan Posch e via così, volendo fare un giochino di carambola e rimando calcistico tra l’Europa di ieri e la Champions di domani.

Ma chi ha messo insieme tutti questi ragazzi, portato Motta sulla panchina e cucendo le mire di Saputo con le partite del Bologna? Un ex calciatore che ha scelto di diventare il direttore dell’area tecnica perché suo padre lo portava a vedere il Bologna degli anni Sessanta, che poi gli è rimasto negli occhi e nella mente, e ora gli sta sul petto: stemma e sentimento. Perché il bel calcio di ieri entra in te molto prima che si ripeta – volendo adattare le idee di Rainer Maria Rilke – e si serve dei bambini che sanno rimanere tali anche quando ormai sono uomini, quelli che non dimenticano il sogno e per questo ripetono l’impresa.

Quel bambino che guardava stupito la squadra di Bernardini si chiama Giovanni Sartori: è stato un calciatore silenzioso con la faccia da est Europa anche se è nato a Lodi, e che prima di inventarsi il Bologna in Champions si era inventato il Chievo e l’Atalanta in Europa. Uno che sembra un personaggio di Pupi Avati, che potrebbe avere come intercalare «nel mio piccolo». Un timido che alla conferenza stampa di presentazione si è scritto un discorso, per dire che ci sarebbero voluti due anni per assestarsi e poi sarebbero arrivati i risultati, invece si è anticipato: finendo terzo (per ora), se la Juventus non lo supera in curva nelle ultime due giornate.

Una classifica impensabile quel giorno, eppure. Perché Giovanni Sartori è un nonostante, un dirigente che è capace di vedere tante partite di un calciatore, dal vivo non su uno schermo, e poi rivederle ancora, di prendere gli aerei di notte e di farsi viaggi impensabili in auto quando piove e l’Europa oltre che lontana parla difficile. È con questa perseveranza e attraversando notti e partite impensabili che è arrivato a Joshua Zirkzee che adesso tutti gli chiedono come gli chiedono Motta e gli altri. Ma l’elenco dei calciatori scoperti e delle imprese fatte è lungo, lunghissimo, quasi come i sessant’anni di tempo tondo che separavano Bologna dalla Champions League. Adesso che Cesare Cremonini ne suona l’inno e chissà se lo immaginava quando andava su e giù per i colli bolognesi con una Vespa Special.

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