Davo i soldi all’edicolante e mi nascondevo il giornaletto sotto la camicia per godermelo a casa in santa pace. Il giornaletto si chiamava Kake e consisteva di poche tavole disegnate in bianco e nero, con tratto inconfondibile: ragazzi super-muscolosi, dotati di falli sovradimensionati fino all’irrealtà, si spiavano e si dedicavano a pirotecnici amplessi. Era il 1968, fuori ferveva il movimento studentesco ma quei disegni mi emozionavano di più.

Il loro autore era un misterioso Tom of Finland, che evidentemente condivideva la mia ossessione e anzi un poco la orientava. Motociclisti, boscaioli, marinai, autostoppisti discinti. Avrei ritrovato quei corpi, e quel tratto, nei manifesti dei locali gay di Amburgo una decina di anni dopo; ricordo soprattutto una sauna con piscina, il Club Uhlenhorst, dove un’intera parete era decorata dai personaggi di Tom, in un enorme affresco monocromo con figure life size – la composizione sfondava il muro e l’illusione prospettica consentiva di sperare che le scene rappresentate si incarnassero in incontri reali.

Sembrano passati secoli; in mezzo è intervenuto il terremoto dell’Aids (per non parlare dell’odierna pandemia), gli affreschi di Amburgo sono stati cancellati dall’umidità e dalle ristrutturazioni, le opere di Tom of Finland sono onorate da mostre in tutte le gallerie del mondo e perfino al Moma di New York o al Moca di Los Angeles; lui stesso è celebrato come «il più influente artista finlandese del ventesimo secolo» e le Poste finlandesi hanno emesso un francobollo con la sua effigie.

Un piccolo mito per la cultura omosessuale

Il suo vero nome era Touko Laaksonen ed era nato nel 1920 in un paesino vicino a Turku; il soprannome glielo diedero i redattori di Physique Pictorial (una sedicente rivista di fitness e ‘cultura fisica’ che ammiccava ai desideri omosessuali) quando pubblicarono nel 1957 i suoi primi lavori. Proveniva da una scuola di disegno pubblicitario e ha lavorato fino al 1973 (prima di trovare il coraggio di mantenersi come artista freelance) per la McCann Erickson.

Era un uomo timido e introverso, la sua fortuna dal punto di vista pratico sono state le amicizie: prima con Gerd Pohl, un fotografo tedesco ricco di famiglia che gli mise a disposizione i suoi molti contatti e gli fece da ponte per gli Stati Uniti; poi con Harald Tangermann e Peter Daun, i maggiori imprenditori della nuova scena gay di Amburgo dopo la liberalizzazione degli anni Settanta.

Grazie a loro divenne un piccolo mito per la cultura omosessuale, ammirato da gente come Rainer Werner Fassbinder, Robert Mapplethorpe e Bruce Weber, pur mantenendo un tenore di vita riservato e tranquillo: con un primo compagno, un ballerino finlandese, fino ai sessant’anni e poi, rimasto vedovo, con un secondo compagno americano che gli è stato a fianco fino alla morte, avvenuta nel 1991.

Wikimedia

Il catalogo Skira

Ora uno splendido catalogo Skira, dal titolo Tom of Finland. Made in Germany, ci permette di ripercorrere la sua carriera, con centinaia di riproduzioni, interventi critici, interviste, foto e preziosi documenti personali. Che gran disegnatore era! Per me, che avevo in mente soprattutto i suoi “dirty little drawings” (i suoi disegnetti sporchi, come li chiamava) è stata una sorpresa scoprire i fogli di piccolo formato con delicate e quasi liriche scene a inchiostro di china (una, con cinque nudi in cerchio, ha la grazia dei danzatori di Matisse), o i disegni preparatori a matita e ad acquerello, di straordinaria morbidezza.

C’è una grafite su carta che restituisce attributi adeguati al David di Michelangelo e ce n’è un’altra visionaria intitolata Fucking the World, dove un soprannaturale Demiurgo penetra la Terra in un firmamento che potrebbe essere di William Blake. Non è difficile ricostruire una genealogia di influenze: le torsioni michelangiolesche, appunto, ma poi tutta la tradizione grafica che passa dalle giapponeserie liberty, da Aubrey Beardsley e dal déco, fino a David Hockney e ai fumetti gigantografati di Roy Lichtenstein.

Mostrando in ordine cronologico le raccolte dei vari collezionisti, il catalogo consente di periodizzare il lavoro di Tom. Si parte dalle scene outdoors, cruising vissuto principalmente nei boschi tra allusivi tronchi d’albero, con un impianto narrativo che trasforma lo spettatore in un voyeur interessato a fantasticare le premesse e le conseguenze di ciò che vede; si passa a una seconda fase più centrata su interni urbani e già intrinseca ai codici della comunità gay, coi simboli dei fazzoletti e delle chiavi per classificare preferenze e ruoli; si arriva infine ai ‘solo’ o ai gruppi più monumentali, su sfondo neutro, dove il segno si inspessisce ed esibisce la sicurezza di un brand. Senza dimenticare (il catalogo ne fornisce qualche esempio) che Tom è stato anche un discreto ritrattista.

Molti artisti novecenteschi, si sa, devono il loro successo al fatto di essersi chiusi in una sigla ricorsiva e facilmente riconoscibile; in Tom la cosa è spinta quasi al parossismo, è come se il medesimo corpo si moltiplicasse per mille e la novità fosse affidata a minime variazioni. Si aggiunga che la sua tecnica (bianco e nero, sfondi neutri, assenza di realismo) lo rende riproducibile con poca spesa, da qui deriva la commercializzazione, anzi il suo essere decollato dal commerciale per arrivare soltanto in seguito al doppio binario pornografia/arte erotica.

Nella foto: Touko Laaksonen (Wikimedia)

Immaginario ossessivo e rivoluzione culturale

Negli anni Ottanta si era creato tutto un merchandising legato al look “Tom of Finland”, soprattutto nella versione leather: pantaloni attillati come una seconda pelle, giacche di cuoio nero, stivali a tutto polpaccio, cinturoni, perfino le basette e i baffi dovevano essere quelli, era il periodo dei “Castro clones” (dal nome del famoso quartiere gay di san Francisco) e dei Village People. Qui il discorso smette di riguardare la critica d’arte per diventare sociologico e politico. Solo negli anni recenti (e dopo la morte), con la Fondazione che porta il suo nome, il lavoro di Tom è tornato a essere faccenda di galleristi e di musei.

La diffusione del suo immaginario ossessivo è stata insieme effetto e causa della maggior rivoluzione culturale (almeno apparente) avvenuta nell’ambiente omosessuale del secolo scorso; accanto al cliché tradizionale della ‘checca’ effeminata si affermava un ideale di gay virile, muscoloso, consapevole della propria autostima e intenzionato a sfidare gli etero sul loro terreno. Agli urletti e alle imitazioni delle dive celebri si sostituivano le palestre, il bodybuilding, la maschia camerateria. Un processo d’emancipazione di cui ho beneficiato e che ringrazio.

Ma proprio rivedendole ora, così ben raccolte e impaginate, dalle opere di Tom ricevo ulteriore conferma: a uno stereotipo si è sostituito un altro stereotipo, molto più ambiguo di quel che potrebbe sembrare. Intanto, nei disegni non compare mai una donna, nemmeno da lontano, ma le rotondità di quei corpi maschili tutti pettorali e glutei (e girovita strettissimo) richiamano visivamente, senza nemmeno doverci pensare, le analoghe rotondità delle pin up disegnate per finire nelle cabine dei camionisti; quelle di Mel Ramos in America, da noi quelle di Milo Manara (entrambi destinati alla promozione nei musei).

Poi, c’è qualcosa di più sottile e inquietante: il desiderio di Tom, quando era ancora Touko, fu stimolato negli anni Quaranta dai soldati tedeschi di stanza in Finlandia e dalle loro divise; giunto negli States, i loro profili acquisteranno la mascella squadrata dei surfisti californiani, la postura nazista e il liberalismo yankee stretti in un unico orgasmo.

Nelle sue storie di amore trasgressivo, rigorosamente interrazziali, il poliziotto e il delinquente depongono le ostilità e si buttano nell’orgia; il bene e il male amalgamati nella fedeltà alla propria ispirazione (così fanno gli artisti); ma anche, in termini di politica culturale, un luogo comune machista e misogino, contraddittorio e confusamente violento, da cui gli omosessuali di oggi si stanno lentamente svincolando.

© Riproduzione riservata