Due occhi verdi che brillano, per quanto stanchi, dietro la mascherina verde di una giovane infermiera, sono un lampo di futuro.

Così intenso non lo vedevo da tempo.

In compagnia di moltissimi colleghi insegnanti, i giorni scorsi ho sperimentato il girone AstraZeneca, il vaccino che, nell’arco di poche ore, ci ha fatto provare tutte le tonalità possibili dalla promessa alla paura.

Eppure, dopo essere stata tra coloro che sono sospesi per alcuni giorni, venerdì scorso, non appena diffusa la notizia che sarebbe ripresa la campagna vaccinale, mi sono precipitata direttamente al mio centro vaccinale di riferimento.

Non sapevo perché stessi andando lì di persona, impaziente.

Testimonianza

Forse volevo semplicemente testimoniare una presenza, il mio, il nostro dire «non siamo scappati, siamo ancora pronti a iniziare la nostra parte di ripresa. Diteci quando».

Immagino che lo sguardo sia andato oltre le parole se Katia, l’infermiera dagli occhi verdi a cui ho chiesto il nome perché sapevo che avrei voluto ricordarlo, mi ha detto che se avessi voluto mi avrebbero vaccinata subito.

Eravamo a fine giornata e c’erano ancora dosi di vaccino disponibili.

In clima di Dantedì, il 25 marzo, giornata che ora ha un posto d’onore nei nostri calendari e nel nostro desiderio di leggere e rileggere Dante a settecento anni dalla sua morte (sempre con occhi nuovi) quell’infermiera mi ha fatto venire in mente la parola infuturare.

Dante l’ha inventata come ha creato la nostra lingua traghettandola a partire dal latino volgare parlato nel Medioevo e regalandoci parole di rara intensità.

L’Accademia della Crusca ci sta accompagnando in ogni giorno dell’anno con la pubblicazione della Parola di Dante fresca di giornata, una scoperta continua, un dizionario di quello che siamo.

Infuturarsi

Tra le parole di Dante, infuturarsi, cioè prolungarsi nel futuro, spicca per la sua capacità di catturare un sentimento altrimenti ineffabile, impossibile da raccontare con altrettanta pregnanza.

Nella Divina Commedia è Cacciaguida, il trisavolo di Dante, a dire nel XVII canto del Paradiso (vv. 98): «Poscia che s’infutura la tua vita», «giacché durerà la tua vita», grazie alla sua fama, cosa di cui noi siamo testimoni diretti.

Lontano da casa

Ma Dante che ascolta le parole di Cacciaguida non è solo uno scrittore, è soprattutto un uomo che trascorre gli ultimi diciannove anni della sua vita lontano dalla casa, come Ulisse.

La sostanziale differenza è che Dante non potrà più rivedere la sua Itaca e morirà a Ravenna.

Anche lui con una donna nel cuore, Beatrice, ma senza mai aver più messo piede nella sua Firenze.

È con Beatrice quando incontra il suo antenato, amore e radici, l’una vicino all’altro a sostenerlo nel momento in cui Cacciaguida profetizza la dura prova dell’esilio che Dante dovrà avere la forza di sopportare.

Uscendo dall’allegoria del viaggio di Dante fatto in sette giorni, a piedi, attraverso i tre regni dell’Inferno, del Paradiso e del Purgatorio, è quel consiglio di proiettarsi nel futuro che resta impresso.

Il suo viaggio, iniziato in una selva oscura, nel momento in cui sentiva la sua vita smarrita, o sospesa, tra la solitudine e la paura di aver perso i punti di riferimento, si arricchisce subito di un dettaglio da non tralasciare: la selva, scrive Dante nel I canto dell’Inferno, è difficile da affrontare e piena di angoscia (chi più di noi ora può comprendere appieno il significato di questo stato d’animo paralizzante) ma nonostante ciò ci racconterà «tutto il bene ch’io vi trovai» (v.8).

La nostra selva oscura

A noi cittadini che stiamo vivendo nella nostra selva oscura, la quota di pandemia che la storia ci ha riservato, occorre tenere saldi i segnali che ci infuturano e scommettere su di loro.

A partire dallo sguardo di fiducia con cui medici e infermieri inoculano i vaccini. Non ci avevo mai pensato prima, nell’azione di inoculare è compresa la parola latina oculus, occhio, come il temporaneo, minuscolo foro che un’iniezione produce nel nostro braccio per accogliere ciò che ci farà tornare a vivere insieme agli altri. Pregustando il momento in cui torneremo a toccare tutte le persone che in questi mesi abbiamo dovuto amare da lontano.

In modo doloroso ma forse più profondo.

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