Dimmi che prodotti boicotti e ti dirò chi sei: la tavola diventa una piazza

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è cucina abitabile. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Verona – Negli ultimi anni, la cucina italiana ha smesso di essere solo il regno del gusto e dell’orgoglio nazionale per diventare anche un luogo di riflessione civile, persino di battaglia politica. Dai ristoranti stellati alla cucina di casa nostra, ciò che mettiamo nel piatto racconta chi siamo, come viviamo e soprattutto ciò in cui crediamo. La cucina come piazza politica non è un’esagerazione retorica, quanto il segnale di un fenomeno che ridefinisce la sociologia del cibo: crisi umanitarie, tensioni politiche e conflitti di interesse ne sono l’esempio più evidente. A Kypseli l’inclusione sociale e lavorativa si fa a tavola I dati italiani Secondo il report Censis Cibo e Libertà, il 95,8 per cento degli italiani ritiene importante poter scegliere i prodotti alimentari in base ai propri gusti e valori. In particolare, il 42 per cento dichiara di aver modificato le proprie abitudini alimentari negli ultimi cinque anni non solo per motivi di salute o di gusto, ma anche per ragioni etiche o politiche. «La parola libertà», recita il rapporto, «resta molto cara perché evoca il meccanismo migliore per consentire alle persone di ottenere ciò che realmente vogliono, e alla società di raggiungere l’assetto migliore con il più diffuso benessere». La scelta di prodotti biologici, a km zero o certificati fair trade diventa così un atto di resistenza: l’acquisto di un prodotto testimonia il sostegno della sua storia, dei valori e delle pratiche di chi lo produce. A Taipei casa non è focolare: perché gli appartamenti non hanno le cucine Il professor Michele Filippo Fontefrancesco, sociologo del cibo, spiega: «C’è una differenza fondamentale tra ciò che facciamo per noi stessi e ciò che facciamo contro qualcun altro. Non mangiare carne di maiale per motivi religiosi riguarda la propria comunità. Non comprare un prodotto multinazionale è un segnale politico: un modo per esprimere opinioni e costruire alternative. Il boicottaggio è rifiuto e costruzione di nuovi modelli di partecipazione civile». In Italia, il consumo consapevole si intreccia storicamente con identità territoriale e responsabilità etica. Movimenti come Slow Food, nato nel 1986, e campagne internazionali di boicottaggio, come il Bds (Boycott, Divestment, Sanctions) a cui ha aderito anche Ultima Generazione, hanno trovato nelle cucine domestiche uno spazio privilegiato di mobilitazione. Giorgia Gusciglio, European Campaigns Co-Coordinator di Bds, osserva: «Ogni prodotto, dall’olio al caffè, riflette relazioni di potere e solidarietà. Rifiutare aziende complici di pratiche ingiuste trasforma la vita quotidiana in un atto di resistenza». Shir Hever, economista israeliano e teorico del movimento, così rifletteva in un’intervista del 2022: «Ogni boicottaggio, soprattutto culturale, ricorda agli israeliani che la loro situazione non è normale. La normalità sarà possibile quando tutti avranno diritto di partecipare al processo economico e politico». La cucina è luogo di rifugio per la comunità trans I boicottaggi nel mondo Il fenomeno, dunque, non è solo italiano. Dal 2024 app come Boycat e No Thanks aiutano a orientare gli acquisti, identificando prodotti legati all’economia israeliana e suggerendo alternative. In Francia, in risposta ai dazi introdotti da Donald Trump, è nata No, merci, un’app ideata dall’ex deputato Bertrand Pancher che consente di boicottare i prodotti made in Usa semplicemente scansionando il codice a barre. «Vista l’incapacità dei politici, tocca ai cittadini agire», spiega Pancher. Casi simili includono anche Boycott the Occupiers, che aiuta gli ucraini a evitare prodotti provenienti dalla Russia. In Repubblica Ceca, nazione che ha vissuto la Primavera di Praga del 1968, il comunismo e la dissoluzione pacifica della Cecoslovacchia nel 1993, la politicizzazione dei consumi ha radici profonde. La memoria storica, la costruzione della democrazia e l’irrompere di nuove élite economico-politiche rendono i cittadini sensibili ai conflitti di interesse. Qui il boicottaggio dei prodotti dell’holding Agrofert, controllata tuttora da Andrej Babiš, imprenditore, politico, ex primo ministro e uno degli uomini più ricchi del Paese, è diventato una forma di protesta civica. Sebbene il suo movimento ANO (“Sì”) abbia vinto le elezioni parlamentari di ottobre con quasi il 35 per cento dei voti, molti cittadini vedono in Babiš il simbolo dei conflitti di interesse e della concentrazione del potere. Tra il 2012 e il 2017, Babiš ha rivoluzionato la politica ceca, ma non ha mai reciso del tutto i legami con il suo impero economico, oggetto di varie inchieste per frodi e conflitti d’interesse ancora in corso. Le cucine aristocratiche: officine del gusto e teatri di sangue Così, i marchi alimentari del gruppo sono divenuti bersaglio di campagne digitali: app come Bez Andreje e Bez holdingu aiutano i consumatori a evitare i suoi prodotti. «Negli ultimi anni non sono stato del tutto rigoroso», racconta Tomáš Hroch, giovane imprenditore di Brno. «Ma ora voglio stare più attento». In Italia, la polarizzazione del cibo affonda le radici nell’identità regionale come veicolo di orgoglio e resistenza culturale. «Il cibo non è mai neutro», sottolinea Fontefrancesco, «è parte del nostro corpo, degli oggetti quotidiani e del tessuto sociale. Diventa spazio di emancipazione: da pratiche ingiuste, da dinamiche di potere globali, ma anche da noi stessi, perché ci trasforma». Secondo i dati di Ixè, tre italiani su quattro ritengono che quanto stia accadendo nella Striscia di Gaza sia un genocidio. Food influencer e attivisti riflettono questa percezione ogni giorno intrecciando ricette e storytelling politico, valorizzando prodotti e ristoranti segnalati tramite hashtag come #CucinaEtica o #RistorantiResponsabili. «Singolarmente può sembrare poco, ma insieme costruiscono relazioni, capitale politico e alternative reali. È la riforma quotidiana, non la rivoluzione episodica», riflette Fontefrancesco. Che si tratti di supermercati cechi, catene italiane o cucine domestiche, il messaggio è chiaro: ogni scelta alimentare può essere un atto politico. Ogni piatto e ogni ingrediente può così diventare una dichiarazione di valori condivisi, trasformando la tavola in un luogo di militanza civica. [Missing Caption][Missing Credit]