- Prima di Rumore bianco, la narrativa di DeLillo era quasi materia da estimatori. Pagine aliene, negli anni Settanta, che si aggiravano sottotraccia a spezzare la quieta anima sovversiva del nuovo canone letterario statunitense.
- Dopo sarebbero saltati fuori gli altri postmodernisti, da David Foster Wallace a Paul Auster, seguiti dai “romanzieri al neon” come Bret Easton Ellis e Chuck Palahniuk.
- Ora che la profezia si è avverata e che Noah Baumbach ha in effetti adattato il suo romanzo “infilmabile”, (su Netflix) i commenti ricordano quelli riservati ad Anderson.
Il volto di Don DeLillo è una maschera di pietra. Non è scortese, non è scorbutico, è molto galante, ma non tradisce mai un’emozione. Rumore bianco, pubblicato per la prima volta nel 1985 (e ripubblicato ora da Einaudi aggiornato nella nuova traduzione di Federica Aceto) e considerato il primo grande romanzo postmoderno americano, è probabilmente la sua opera che più gli assomiglia. Perché su quella spianata di roccia inscalfibile che è la sua fronte, se si presta bene attenzione, si può notare



