Social, dubbi esistenziali e psicologia pop, se il consiglio per le donne è «deludere tutti»

Mi appare su Instagram un classico video motivazionale. Una coach, o se volete psicologa pop, si rivolge esplicitamente a un pubblico femminile e propone questa strategia: «Da oggi in poi, deludili tutti». Cioè: deludi il tuo capo, il tuo compagno, i tuoi genitori. Smettila di essere la versione di te che compiace gli altri, perché questo ti impedisce di diventare chi sei veramente. In sé, il messaggio non è neanche brutto: conosciamo l’oppressione femminile, conosciamo il peso (storico e culturale) del “fare le cose per accontentare gli altri”, e i danni che causa. Eppure, nel guardare quel video, ho provato un fastidio a più strati. Anzitutto perché in fondo non mi fido di chi, per lavoro, fa discorsi motivazionali: non riesco a non pensare al fatto che, più che offrire strumenti, vendano metodi. L’inevitabile effetto “fanghi d’alga” o se preferite “bacche di Goji”. Quel piazzare rimedi (ed è semplicemente come va il mondo oggi, non è una critica a questa persona in particolare). Il mio Diario: scrivere per sentirsi meno soli Strategia negativa Poi c’è qualcosa di più sottile, una questione linguistica e concettuale: la strategia del “deludere” è una strategia negativa. Nel senso che si costruisce intorno a un gesto che ha il suono della disfatta, non della conquista. È una formulazione modesta, quasi aggressiva, e soprattutto, in verità, ancora incentrata sugli altri. Come se le donne potessero vivere solo dentro lo sguardo altrui, anche quando tentano di liberarsene. Ho la sensazione che, se questo messaggio fosse rivolto agli uomini, non sarebbe espresso così. Più probabilmente si parlerebbe di “portare avanti la propria visione”, o al massimo di “restare fedeli a sé stessi a costo di andare controcorrente”. È, in fondo, lo stesso concetto (rifiutare le zavorre), ma espresso in positivo: non “deludere qualcuno”, ma “inseguire qualcosa a prescindere”. Un progetto, una conquista. È limitante l’idea che per rispettare la propria natura si debba, come prima mossa strategica, scontentare gli altri. Anche il concetto di “fedeltà a sé stesse” mi lascia perplessa: non è una categoria utile per costruire l’esistenza. È l’ennesima variante delle ossessioni sull’identità. E io non ne posso più dell’identità (come non ne posso più dei fascisti dell’Illinois). Ma accettando per un momento questo linguaggio, “deludere” significa appunto tenere gli altri al centro del discorso: come termine di paragone, come pubblico da colpire, come sistema di reazioni da provocare. “Portare avanti la propria visione”, invece, non pretende approvazione. Non pretende di coinvolgere tutti. Forse è persino un messaggio paradossalmente più umile. L’abuso dei social negli adolescenti è una questione di sanità pubblica Il sistema di vincoli E poi: perché dovremmo “voler deludere”? Tirarci la zappa sui piedi: può accadere. Ma volutamente? Noi umani facciamo ciò che riteniamo giusto o necessario, e lo facciamo sempre dentro un sistema di vincoli (anche volendo, è impossibile altrimenti). I vincoli sono economici, temporali, relazionali (pure se ti isoli da tutti, resti comunque figlio di qualcuno). Possiamo scegliere di fare come ci pare e vedere cosa succede, certamente. Ad alcuni piaceremo, ad altri no. Alcuni impiegheranno molto tempo a capirci. Ad altri non importerà affatto di noi. La delusione non è un obiettivo, è semmai un effetto collaterale. E non è neppure sempre così rilevante, in verità. Il discorso si fa ancora più fragile quando la coach aggiunge che dobbiamo fregarcene se, deludendo gli altri, questi smetteranno di amarci. Ecco: l’idea che l’amore coincida con l’approvazione per me è fuorviante. Le persone che ci amano, in verità, spesso continuano ad amarci anche quando non ci approvano. Un genitore, per esempio, può disapprovare le scelte di un figlio, può prendere le distanze da lui. Ma difficilmente smetterà di volergli bene. L’amore per i figli è pieno di contraddizioni. Non è per forza morale. Ci sono genitori che arrivano a coprire figli colpevoli di crimini: non perché approvino ciò che hanno fatto, ma perché l’amore non è un sentimento che ci porta automaticamente a fare le scelte giuste. Gli algoritmi di Zuckerberg si ciberanno di noi. Come già fanno tutti i giorni, da anni La psicologia pop si è ormai infilata nel tessuto della realtà quotidiana: siamo imbevuti di consigli esistenziali come fossero tramonti e gattini. La psicologia che troviamo lì, come molto altro, propone una versione binaria dell’amore e della vita, ed è un binarismo raffazzonato: o sei approvato o non sei amato, o segui te stesso o sei schiacciato dagli altri. Chi ha ideato queste dicotomie storte? È una semplificazione che non solo impoverisce il pensiero (magari a pochi importa), ma che ci impoverisce totalmente. Ed è forse questa la cosa più fastidiosa: non l’ingenuità teorica, ma la banalizzazione della vita.