Dove sono (e cosa fanno) gli uomini online: cosa ci dice l’indice della manosfera

Passano oltre un’ora al giorno su YouTube, sono preoccupati per la propria condizione economica e lavorativa, e in molti casi la fede guida le loro decisioni. È la fotografia che emerge dal Manosphere Index, l’indice della “manosfera”, uno dei più ampi studi realizzati finora per capire come social media e piattaforme digitali plasmino l’identità degli uomini e dei ragazzi negli Stati Uniti. Proteggere gli spazi femministi: i sette segnali per dire no agli uomini I sistemi algoritmici Crisi di identità, mascolinità fragile, uomini sempre più radicalizzati online: negli ultimi anni abbiamo assistito alla proliferazione di analisi, libri e articoli per capire la complessità della manosfera e delle dinamiche sociali maschili online. Non un blocco monolitico, ma «un universo è molto più articolato e sfuggente di quanto sembri», come ben descritto dal sociologo Manolo Farci nel suo Quel che resta degli uomini (Nottetempo). Dal report emerge che sebbene alcune forme di contenuti radicali siano esistite fin dai primi spazi sociali su Internet, tra chat, spazio commenti e forum, quello che cambia oggi «è l'introduzione e l'evoluzione dei sistemi algoritmici, che ora prendono quei contenuti problematici un tempo confinati e li amplificano su larga scala attraverso linee razziali, etniche, generazionali e di classe». Lo studio è stato realizzato da due società con competenze e sensibilità politiche diverse, la Precision Strategies, fondata dalla consulente democratica Stephanie Cutter (già direttrice della comunicazione di Barack Obama), e la Tunnl, guidata dalla stratega repubblicana Sara Fagen, ex consigliera del presidente George W. Bush. La ricerca si è svolta in due fasi: prima con un sondaggio su circa 1.000 uomini sotto i 60 anni, e poi una seconda parte che ha coinvolto 3.000 uomini e 3.000 donne, creando un dataset che rispecchia l’intera popolazione adulta statunitense, per età, razza, genere e area geografica. Educare al maschile: capire la manosfera per salvare una generazione Dove sono gli uomini online? Secondo i dati del Manosphere Index è YouTube il luogo dove gli uomini trascorrono più tempo online ed esplorano idee sulla mascolinità e sulla politica: l’86 per cento degli uomini lo usa ogni settimana e quasi il 60 per cento si considera un utente intensivo, trascorrendo sei o più ore a settimana sul sito. Oltre un terzo degli uomini passa sei o più ore alla settimana sui social o sulle piattaforme di streaming, sei uomini su dieci (60 per cento) ascoltano podcast durante la settimana e il 12 per cento trascorre più di 6 ore con contenuti audio longform. Una piazza virtuale molto affollata, che però non fa davvero incontrare le persone: non sono gli influencer che pubblicano contenuti “brevi” i più apprezzati, ma i creator di longform che agiscono come «mentori informali», fornendo visioni del mondo, interpretazioni, codici culturali, figure come Andrew Tate, ex kickboxer e influencer accusato di stupro e traffico di esseri umani, o Jordan Peterson, psicologo canadese e star conservatrice del web. Questo cambia radicalmente la costruzione dell’identità maschile: non più basata su figure istituzionali, ma su persone carismatiche accessibili 24/7, tramite algoritmi che amplificano le loro narrazioni. E se il 57 per cento degli uomini conferma che il feed sta diventando più controverso, tra chi passa più tempo online l’esposizione aumenta. Avanguardia reazionaria, se la manosfera è diventata un modello Fragilità economiche Nelle risposte al sondaggio emerge anche una preoccupazione condivisa tra uomini e donne che il mercato del lavoro sia diventato «imprevedibile e spietato». Gli uomini però, contrariamente alle donne, descrivono l’economia come un punto di pressione determinante, qualcosa che influisce direttamente su quanto si sentono “maschili”. Il 41 per cento degli intervistati dice che è difficile trovare un buon lavoro e tra gli uomini neri della Gen Z e Millennial, quasi il 70 per cento considera «essere capofamiglia» come centrale nella propria identità maschile. Non stupisce che da un’analisi del Guardian sulle trascrizioni dei contenuti video di Andrew Tate emerga che l’argomento più discusso non siano le donne, ma i soldi e il successo. «Per questi uomini, il ruolo di provider non è solo una funzione economica, è un’aspettativa culturale radicata in leadership, responsabilità e resilienza. Il che rende la tensione economica più acuta e personale», si legge ancora nel report. In tutto questo, più del 53 per cento degli uomini afferma che la fede dà significato alla propria vita e guida le loro decisioni. Tra di loro il 48 per cento ha maggiori probabilità di descriversi come «molto maschili» (contro il 29 per cento degli uomini non religiosi), sono più propensi ad aver votato per Donald Trump (58 per cento contro 36 per cento) e a considerare affidabili figure controverse, ma di riferimento per il pubblico maschile, come Joe Rogan: il 67 per cento degli uomini religiosi ritiene credibile il podcaster, seguito da milioni di persone ogni settimana e spesso criticato per aver dato spazio a contenuti fuorvianti su clima e vaccini, rispetto al 49 per cento degli uomini non religiosi. È ora di romperci il silenzio addosso, la violenza degli uomini non è un fatto privato