Dove sono le rivoluzioni nella città? dove le dobbiamo cercare? Nell’annale 2023 della Fondazione Feltrinelli La città invisibile. Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli ho sostenuto che le città stanno cambiando così profondamente che la nostra capacità di comprensione è limitata dalla complessità delle molteplici interazioni fra gli elementi in gioco. Alcuni evidenti e visibili, altri più nascosti e invisibili.

L’immagine di organismo compiuto che continuiamo ad associare alla città non corrisponde più a ciò che è diventata, vale a dire un insieme estremamente intricato di reti di connessione e di soggetti umani e non umani che prendono decisioni interdipendenti, tenendo in un equilibrio sempre precario un sistema a crescente complessità.

Per comprendere e intervenire efficacemente sulla vera natura delle città e delle possenti trasformazioni che le stanno attraversando, dal cambiamento climatico alla transizione digitale, occorre dunque scavare nelle dimensioni poco visibili.

Invisibile è quello che non vediamo perché difficile da percepire, ma anche quello che è volutamente non visto od occultato perché affrontarlo richiederebbe scelte difficili e radicali.

Il workshop

Nel workshop che si svolge a Fabrica puntiamo l’attenzione sulle forze che nella città, partendo spesso dai margini, si fanno faticosamente motrici di processi di rigenerazione urbana, ma che continuano ad essere invisibili o poco visibili per le politiche. Si tratta di attori che si auto-organizzano per affrontare problemi di «scarto» indotti dai processi di ristrutturazione urbana e allo stesso tempo rispondere alla domanda di spazi per la realizzazione di iniziative di gestione di aree di incerta utilizzazione, di riattivazione di immobili abbandonati, per la creazione di centri culturali, per spazi di nuovo lavoro, per iniziative di coabitazione. Trovano un terreno fertile nelle difficoltà connesse, soprattutto nelle periferie, alla riutilizzazione di quegli spazi diventati ridondanti e che quindi possono tollerare un riuso temporaneo o una temporanea assegnazione se si tratta di edifici o di aree pubbliche.

Selezionandone alcuni li abbiamo chiamati “interstizi urbani”, spazi più nascosti e poco visibili in cui si reinventa il legame sociale, in cui avviene il cambiamento.

Campi dell’agricoltura perirurbana di Milano da cui prende le mosse Madre Project una scuola del pane e dei luoghi; il recupero a favore della comunità dell’ex edicola di Calle Sechera in Santa Croce a Venezia, destinata alla rimozione; luoghi di culto ‘altri’ negli interstizi della città di Padova; luoghi di incerto uso a Napoli come interstizi ecologici in cui favorire usi collettivi sia da parte di umani che di non umani; un giardino condiviso a Bari con una lunga storia di incontro fra attivismo urbano e riconoscimento da parte della amministrazione locale.

I loro attori assumono definizioni interessanti – “city maker”, costruttori di “community hub”– che permettono di riconoscersi come un movimento dal basso capace di legare singoli episodi di innovazione sociale.

La rigenerazione urbana

Fino a ieri venivano visti come elementi irrilevanti o di disturbo, ma oggi l’atteggiamento delle istituzioni nei loro confronti varia dalla marginalizzazione alla assimilazione fino alla capacità di indurre vere e proprie trasformazioni nella cultura di governo.

Gli stessi developer riconoscono loro un possibile ruolo di volano in contesti difficili.

Alcune nuove forme della pianificazione urbana chiedono addirittura che facciano parte dei partenariati locali per progetti di rigenerazione di aree dismesse, come nel caso del programma “Reinventing cities” promosso dalla rete C40 delle città impegnate in iniziative di contrasto al cambiamento climatico.

Per anni si sono contrapposte visioni dall’alto e dal basso – top-down e bottom-up – per la cura della città.

Siamo forse oggi nelle condizioni di superare questa contrapposizione, non tanto in termini di “partecipazione”, come a lungo si è detto, quanto di riconoscimento delle nuove funzioni che dal basso debbono possono essere svolte nella rigenerazione urbana.

Occorre guardare in basso, dal basso, con profondità, alla capacità di attivazione delle società locali, all’intelligenza con la quale avviene la riscoperta del legame con i luoghi, dei valori di ciascun territorio, dalla moltitudine di iniziative di resistenza e di resilienza che muovono nella città, nelle periferie, nei territori fragili. Occorre guardare alla capacità di auto-organizzazione, ai soggetti ed alle risorse che si mobilitano e potrebbero esprimere ancora maggiori potenzialità se dall’alto vi è il riconoscimento del percorso che singole esperienze di innovazione possono intraprendere, diventando pratiche di rigenerazione di territori capaci di innescare processi di nuovo sviluppo.


Alessandro Balducci è docente di Tecnica e Pianificazione Urbanistica al Politecnico di Milano, autore del 57esimo Annale Le città invisibili edito da Fondazione Feltrinelli

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