Oggi è morta Jane Birkin e con lei un pezzo di storia del Novecento – di bellezza, di anticoformismo, di libertà – se n’è andato. Jane Birkin era attrice, cantante, regista e scrittrice, ma soprattutto era conosciuta e ricordata per essere stata la musa ispiratrice e la compagna storica del cantautore francese Serge Gainsbourg, al quale è stata legata da un sodalizio umano e professionale per oltre mezzo secolo.

Aveva 76 anni, ne avrebbe compiuti 77 il 14 dicembre di quest’anno, è stata ritrovata alcune ore fa nel suo piccolo appartamento a Montparnasse, sulla Rive Gauche parigina. Una piccola bomboniera fatta di arazzi, coperte Patchword, ricordi, dischi, in cui viveva con la sua cagnolina a non troppa distanza dallo splendido appartamento signorile in rue dell’Université dove dimora invece la figlia Charlotte – nata dall’unione con Gainsbourg – compagna del regista Yvan Attal e madre di tre figli, proprio come Jane.

Le origini

Era nata a Londra nel 1946 da una famiglia borghese: la madre era attrice di teatro di repertorio shakespeariano e il padre un rigoroso ufficiale della Royal Navy. Lei da ragazzina si sente un maschiaccio, si vede brutta, ma si interessa al teatro dove conosce ancora minorenne un uomo assai più grande di lei. È appunto John Barry, compositore inglese insignito per ben cinque volte del premio Oscar per le sue colonne sonore, tra cui il mitico tema musicale dei film di James Bond. Barry la sposa subito, con speciale concessione legale dei genitori, appena qualche mese e lei è già in dolce attesa, ma lui non è interessato alla vita domestica e se ne va in giro per il mondo senza nemmeno darle sue notizie. Jane si trova da sola con una neonata e a un certo punto non ce la fa più.

Chiama i genitori da una cabina telefonica e chiude quel capitolo della sua vita. Cerca allora di buttarsi anima e corpo sul lavoro e riesce a farsi scritturare per un piccolo ruolo che diventerà iconico: vestita solo con delle calze colorate è in Blow Up di Michelangelo Antonioni. Poi un giorno, siamo nel 1968, la chiamano per un casting. Si tratta di Pierre Grimblat, un regista francese di origine ebraico-polacca, famoso per spot pubblicitari di automobili e rally che vuole fare un film, Slogan, la storia di un pubblicitario di mezza età, sposato, che incontra Evelyne, una turista inglese per la quale perde la testa e molla la famiglia, ma rimane un narcisista egoista e alla fine perde anche lei. Il soggetto della pellicola è ispirato al regista da un fatto personale realmente accaduto che non riusciva a superare.

Quella mattina Jane si mette una minigonna cortissima, come tutte le ragazze della sua età (ha poco più di 21 anni...) e d’altra parte è Londra negli anni Sessanta a dettare tendenza in fatto di moda con lo stile Swinging London. Grimblat fa una battutaccia infelice sulle sue gambe e lei, a dispetto degli occhioni da cerbiatta e la voce angelica, risponde a tono: il regista ha trovato la protagonista.

L’incontro con Gainsbourg

Lei vola a Parigi con la bimba di nemmeno un anno, una tata e il fratello Andrew, di un anno più grande, fotografo e aiuto regista che in quel periodo sta collaborando con Kubrik per un film che non vedrà mai la luce. In un appartamento a Pigalle di musicisti russi ebrei, scappati ai Progom antisemiti di Odessa negli anni 10/20, avviene l’incontro traumatico con il protagonista maschile del film, il quarantenne Serge Gainsbourg.

È antipatico, saccente, polemico e arrogante. Ha le orecchie a sventola, grandi occhi rotondi e al contempo qualcosa di terribilmente attraente. Gainsbourg è arrabbiato perché è ferito: è stato da poco abbondonato dalla divina Brigitte Bardot con cui aveva avuto liaison, breve ma intensa. L’inizio delle riprese è disastroso, Grimblat però ha un’intuizione geniale: conosce bene il suo amico e trova il modo di farlo stare da solo con Birkin, organizzando un venerdì sera una cena a cui non si presenterà mai, proprio mentre Parigi è messa a ferro e fuoco dalle rivolte del ’68.

La serata è memorabile. Scappano dal retro e iniziano a vagare da un locale all’altro per tutta la notte. Jane, nonostante la giovane età, si rende conto che dietro quella corazza di supponenza c’è un uomo alluvionato nell’anima dall’erudizione rara e dalla sensibilità straordinaria. All’alba, lui, da autentico gentiluomo, chiede al tassista di riaccompagnare in hotel Jane che pernotta all’Esmeralda, di fronte al Louvre, ma la ragazza vuole restare con lui. Serge è basito, ma lo è molto di più la giovane Jane che fino allora era stata con un solo uomo, il suo ex marito. Gainsbourg in quel periodo risiede dai genitori, perché la casa appena acquistata era in ristrutturazione, così la porta in un celebre albergo cinque stelle della capitale dove il concierge fa un commento imperdonabile, chiedendo «La solita stanza, monsieur Gainsbourg?».

Lei pensa di essere finita tra le grinfie del solito sciupafemmine e vorrebbe andare via, ma resiste. In camera ha troppo imbarazzo e va in bagno per mettersi a posto, ma tarda troppo volutamente: Serge intanto si è addormenta. Lei scende, compra un disco di una band inglese, glielo lascia tra le dita dei piedi e torna in taxi dalla sua bimba. Il lunedì mattina sul set arrivano mano nella mano, il resto è storia. Dodici anni di convivenza, una figlia, centinaia di canzoni, film, spot, libri.

Coppia mitica

Lei si trasferisce definitivamente a Parigi, impara il francese e canta in duo con lui la scandalosa Je t’aime... moi non plus, la prima canzone orgasmica della storia della musica, milioni di copie vendute in poche settimane, in testa alle classifiche di tutto il mondo (paesi anglofoni compresi), vietata in mezzo globo, venduta al mercato nero, osannata, ricercata, amata: è il simbolo della libertà. Lei e Serge diventano la “coppia mitica di Francia”, col primato di essere anche la coppia più fotografata del XX secolo. Poi la separazione nel 1980: lui è in balìa dei suoi demoni, alcolizzato e iroso, lei non sa come salvarlo e deve tutelare le sue due bambine.

Ma l’amore è più forte di tutto, perché per i dieci anni successivi continuano a telefonarsi tutti i giorni anche se hanno nuovi partner e a lavorare insieme con commovente tenerezza, al punto che spesso le troupe televisive piangono dietro le quinte mentre li ospitano in studio. Nel 1991, con la morte di lui, Jane si consacra definitivamente alla sua memoria, dedicandosi a raccogliere e diffondere la sua eredità immateriale e dimostrando che all’amore della morte non gliene frega proprio niente.

Ancora altri dolori la attenderanno: la primogenita Kate, fotografa professionista, muore tragicamente l’11 dicembre del 2013, tre giorni prima del compleanno della madre. 

Gli anni successivi sono complicati, ma le altre due figlie (c’è anche Lou Doillon), i nipoti e la memoria di Gainsbourg danno a Birkin  l’energia per tirare avanti. Scrive un testo teatrale, pubblica i suoi diari che sono di fatto la biografia intima di Gainsbourg e organizza spettacoli su spettacoli per far conoscere la sua musica (oltre 1.200 canzoni in attivo) anche ai giovani, in primis l’epocale sinfonia rock Melody Nelson, l’ “album degli intellettuali”.

E poi Le Symphonique, la versione classica sinfonica dei brani più celebri del genio gainsbouriano cantati nel 2017 da Jane e suonati da un’orchestra sinfonica, ridando agli spartiti la loro versione originale perché Serge, prima di un autore di musica leggera, era un pianista classico che suonava a 4 anni appena Rachmaninov a memoria. Pensare che proprio a settembre ci sarà, dopo anni di blocchi e imprevisti, la grande inaugurazione del Museo parigino dedicato a Gainsbourg, allestito nella sua casa storica, un hôtel particulier sulla Rive Gauche, al 5 bis di rue de Verneuil che ha le pareti interne nere ed è di proprietà di Charlotte, la quale per 28 anni non ha avuto il coraggio di rimettervi piede.

Catch me if you can 

In quella casa piena di opere d’arte, all’interno della quale Serge si è spento in solitudine il 2 marzo del 1991, Jane Birkin ha vissuto oltre dieci anni, diventando un’icona di stile con i jeans a zampa e la canottiera bianca e soprattutto la costosissima borsa dedicatale dalla maison Hermès, nata su suo disegno fatto in aereo su un tovagliolo. Il suo ultimo disco è uscito durante la pandemia, Oh ! Pardon tu dormais... realizzato nel 2020 insieme a Étienne Daho, famoso cantante francese degli anni Ottanta.

In questo album, omonimo del testo teatrale di alcuni anni prima, la cantante dedica un intero pezzo alla figlia Kate e poi inserisce una canzone in inglese, la sua lingua madre. È Catch Me If You Can dove saluta tutti gli amori morti della sua vita: padre, madre, figlia, mariti, uomini, nipote, cani e gatti, li cita tutti ma non fa mai il nome di Gainsbourg. Quello lo faceva nei concerti live, quando si fermava all’improvviso e con le lacrime agli occhi alzava lo sguardo al cielo, ricordando l’uomo che le ha insegnato che l’amore sopravvive a tutto, anche se da lontano, anche se separati, anche con i problemi della vita. Anche con la morte.

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