Il suo premio Nobel, arrivato nell’anno peggiore del Covid, aveva sorpreso molti appassionati della letteratura. Perché la poetessa Louise Glück – morta venerdì a 80 anni – era un nome che si incontrava allora più spesso nei libri d’accademia che negli scaffali delle librerie casalinghe. Ai tempi solo due dei suoi libri erano disponibili nella traduzione italiana.

Ma proprio il Nobel aveva contribuito ad una nuova fama per la sua poetica, fatta di versi semplici e allo stesso tempo così intensi. L’accademia l’aveva premiata «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale».

L’eternità della poesia

Le sue sono poesie brevi, che stanno in genere in una pagina. Aveva fatto della limatura dei versi un’arte. Diceva di amare quelle poesie che in pagina sembrano così limitate e che poi invece spalancano infiniti universi nella mente.

Credeva anche che la poesia avesse un vantaggio rispetto alla vita: la possibilità di durare oltre i limiti di un’esistenza che, per sua natura, non è eterna. E che per lei ha significato una sessantina d’anni di poesie e un riconoscimento, forse tardivo, che continuerà a sopravviverle.

La sua vita

Nata a New York nel 1943, da una famiglia di immigrati ebrei ungheresi, è stata la prima poetessa americana premiata dopo T.S. Eliot nel 1948, se si esclude il Nobel a Bob Dylan nel 2016.

L’istruzione, l’amore per i classici e soprattutto per la poesia, le derivava dalla madre Beatrice, laureata in francese, in tempi in cui l’istruzione accademica femminile era ancora una rarità.

Glück ha avuto anche la particolarità di capire il potere della mente, partendo dalle sue fragilità. Con la psicoanalisi era riuscita a sconfiggere l’anoressia nervosa dell’adolescenza, con una trauma, finalmente risolto, che lascerà comunque le sue tracce nelle poesie.

Appunto, l’esperienza individuale che diventa universale, come si legge nella motivazione per il Nobel. Il suo esordio risale agli anni Sessanta, con le prime poesie e la pubblicazione della raccolta Firstborn nel 1968.

Superato un blocco creativo, ha ottenuto i primi successi nazionali negli anni Settanta e poi soprattutto negli anni Ottanta, con The triumph of Achilles (1985). Fra i suoi libri più noti ci sono L’iris selvatico (1992), con il quale ha vinto il Pulitzer, e Notte fedele e virtuosa (2014), vincitore del National Book Award.

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