In Italia il genere della fantascienza, almeno per gli autori più rappresentativi del Novecento, non ha trovato un’applicazione continua, sia per i gusti del pubblico sia per alcune considerazioni critiche che assimilavano la fantascienza più all’intrattenimento che alla letteratura di valore, e anche per questo si tratta spesso di libri che rappresentano un unicum all’interno dell’opera di uno scrittore.

Pur nella peculiarità della situazione, e per quanto spesso non si possa parlare di fantascienza in senso stretto quanto piuttosto di un futuro immaginato, i libri che utilizzano questo filtro finiscono per essere accomunati dalla scelta delle tematiche, in particolare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, il prossimo dominio della tecnica o foschi presagi sul futuro di un’industria sempre più fuori scala.

Rileggerli oggi fa uno strano effetto perché alcune deformazioni del passato aderiscono molto bene ai contorni del presente e queste storie hanno saputo anticipare le forme dell’alienazione contemporanea o la foga distruttrice nei confronti del pianeta. Si può pensare per esempio ai racconti vagamente fantascientifici di Primo Levi raccolti in Vizio di forma (1971), allo straordinario romanzo di ambientazione post apocalittica di Guido Morselli Dissipatio H.G. o a Paolo Volponi che, dopo la critica radicale al sistema capitalistico e industriale nell’Italia del boom economico di Memoriale, decide con Il pianeta irritabile (1978) di scrivere un romanzo ambientato nel 2293 dopo un’esplosione atomica, con protagonisti un’oca, un nano, una scimmia e un elefante in cerca di salvezza in un nuovo universo.

È evidente nel libro di Volponi l’aspetto fiabesco della narrazione, e da una simile architettura è segnato anche il romanzo di Giuseppe Berto Oh, Serafina! (ripubblicato adesso da Neri Pozza con una postfazione di Bruno Arpaia), che presenta discrete assonanze con le narrazioni di Volponi e degli altri autori citati, per il periodo di composizione e per i temi trattati, seppure la fantascienza qui si trasformi in una sorta di realismo che anticipa le forme a venire della società.

L’accoglienza

Nato come progetto per un film, la storia di Berto non riscosse però molto entusiasmo tra registi e produttori (anche se dopo, nel 1976, lo portò sullo schermo Alberto Lattuada con Renato Pozzetto e Dalila Di Lazzaro protagonisti), e così nel 1973 lo scrittore di Mogliano Veneto decise di trarne un romanzo, Oh, Serafina!, fiaba di ecologia, di manicomio e di amore che si distacca per ambientazione e stile da capolavori plumbei come Il cielo è rosso e Il male oscuro e ha la capacità di trasformare un apologo in grande letteratura, quella che intuisce gli orizzonti futuri e trova anche un modo originale di raccontarli.

Protagonista del romanzo è Augusto Secondo Valle, che dopo la morte del padre prende in mano il controllo di un’importante e fiorente fabbrica di bottoni nei dintorni di Milano, in una zona già circondata solo «da fabbriche e case», ma che poco si cura degli affari perché preferisce trascorrere il suo tempo ad accudire e dare da mangiare agli uccelli, a parlare con loro che trovano nei dintorni del bottonificio un’oasi dalle «ciminiere eruttanti fumi di colore cupo».

Assorbito totalmente, e in anticipo, dai problemi che costellano i nostri tempi, l’umanità sommersa dalla plastica e la necessità di muoversi in bicicletta, Augusto Secondo finisce raggirato da una dipendente della fabbrica che riesce a sposarlo: dopo una sua cospicua donazione a Italia Nostra, una delle prime associazioni per la salvaguardia dell’ambiente, la moglie riesce anche a farlo internare in un manicomio.

Lì però Augusto troverà una giovane donna, Serafina, capace come lui di comunicare con gli uccelli con il suo “piffero” magico: tra i due nascerà un amore che grazie ad alcuni compromessi, che portano la nuova coppia a ignorare denaro e possedimenti, si concluderà con il rifiuto della società della produzione e uno spettacolare ritiro in una terra promessa, fedeli a un ideale di resistenza all’industrializzazione selvaggia e all’inseguimento cieco del profitto.

L’Italia anni Settanta

Il romanzo quindi si pone sulla scia delle opere che nel Dopoguerra italiano hanno testimoniato il clima di incertezza che seguiva il boom economico: Oh, Serafina! si concentra infatti sulla fabbrica come centro nevralgico di uno sviluppo incontrollato e dell’alienazione dell’individuo, su come l’uomo alteri sempre di più i cicli della natura e l’ambiente che lo circonda, e sugli apparati coercitivi dei manicomi negli anni che ancora precedono la legge Basaglia.

Ciò che distingue lo sguardo di Berto da quello, per esempio, del Volponi del romanzo di fabbrica o dal Calvino dall’animato spirito civile di La speculazione edilizia o La giornata d’uno scrutatore, libri con i quali comunque dialoga, è il tono favolistico e sognante, forse figlio del desiderio, come scrive Arpaia, di «sottrarsi definitivamente all’etichetta di neorealista che gli avevano suo malgrado affibbiato».

Non siamo nei territori già ristretti della fantascienza italiana degli anni Settanta, ma è indubbio che questo libro di Berto comunichi da vicino con quelle narrazioni che si interrogano sulle conseguenze del progresso tecnico e finiscono poi per immaginare mondi futuri inabitabili.

Un altro grande scrittore a metà tra la letteratura e il cinema come Berto, Mario Soldati, si è cimentato nel genere distopico, scrivendo forse il libro più importante di tutta quella stagione, Lo smeraldo, ambientato in un mondo ricostruito dopo un disastro e diviso in due grandi blocchi in guerra, uno avanzato e militarizzato, ricco ma infelice, dove vige dittatura e tortura, l’altro, arretrato e povero, ma più sereno.

C’è un’unità tra la visionarietà di questi due libri, perché quello di Berto, con tono sognante e ingenuo, come lo sguardo del tenero protagonista Alberto Secondo, prefigura la distruzione, il “male oscuro” della modernità, che Soldati nello Smeraldo descriverà in tutte le sue declinazioni più tenebrose.

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