Le isole dei Caraibi sono, in massima parte, vulcaniche. Disseminati dalla Florida meridionale alla costa settentrionale di Cuba ci sono però interi arcipelaghi con migliaia di piccole isole coralline, piatte e circondate da mangrovie, chiamate in spagnolo cayos e in inglese keys. Dopo aver offerto rifugio ai bucanieri del passato, questi fazzoletti sabbiosi sono oggi diventati le basi dei terroristi dello sviluppo non sostenibile e i covi dei pirati del turismo di massa.

Ecomostri

Quelli che un tempo erano deserti e isolati lembi di terra sparsi nell’oceano pullulano infatti ormai di resort all inclusive per i patiti delle spiagge esotiche, e sono collegati alla terra ferma da squallide “grandi opere”. Il primo di questi ecomostri fu una ferrovia su pilastri e ponti, il più lungo dei quali di dodici chilometri, completata nel 1912 ed estendentesi per 206 chilometri, dal sud della Florida fino a Key West: fortunatamente spazzata via da un devastante uragano nel 1935, la ferrovia fu sfortunatamente rimpiazzata dall’autostrada tronfiamente esibita agli inizi del film Key Largo (1948), che ancora attende una simile degna e giusta fine. Gli ultimi obbrobri sono invece le autostrade su terrapieni che negli ultimi anni hanno collegato in vari punti la costa a vari arcipelaghi cubani, con lunghezze che arrivano ai 48 chilometri di Cayo Santa Maria.

La penosa agonia turistico-capitalista di quella che fu in vita la gloriosa rivoluzione cubana antimperialista prelude forse al colpo di grazia di un futuro collegamento terrestre sui 170 chilometri che separano Key West da L’Avana. E all’archiviazione delle traversate in barca rese popolari da Ernest Hemingway nel romanzo Avere e non avere (1937), adattato per il cinema più volte: la prima nel 1944, con Humphrey Bogart nei panni del protagonista Harry Morgan, contrabbandiere di alcol e trasportatore di immigrati clandestini e rivoluzionari cubani.

Tra Key West e L’Avana

Hemingway era solito fare egli stesso la traversata sulla sua barca da pesca, chiamata Pilar dal soprannome della seconda moglie Pauline Pfeiffer. Nel 1928 i due decisero di lasciare la Parigi di Festa mobile (1964), dove si erano incontrati e sposati, e si trasferirono a Key West su suggerimento di John Dos Passos. Dopo tre anni uno zio di lei regalò loro la bella casa di 907 Whitehead Street, che oggi è diventata meta di pellegrinaggi da parte dei fan dello scrittore.

Nei suoi giardini tropicali circola una quantità spropositata di gatti, molti dei quali polidattili (a sei dita) discendenti dalla famosa Biancaneve che venne regalata a Hemingway, e che lui descrisse in vari racconti. Benché sui muri di questa e altre sue case facciano brutta mostra di sé i trofei di caccia grossa e le foto di pesca d’altura, il sadico autore di Morte nel pomeriggio (1932) e Verdi colline d’Africa (1935) era infatti un tenero amante dei gatti, come una qualunque signora impellicciata, tanto da ispirare a Carlene Fredericka Brenner un intero libro su I gatti di Hemingway (2006).

Fin dal 1928 Ernest e Pauline avevano visitato in crociera L’Avana, fermandosi per tre giorni al rosato hotel Ambos Mundos, nel cuore della città vecchia. E dal 1932 lui affittò permanentemente la camera 511 al quinto piano, che tenne come base per i suoi spostamenti nell’isola fino al 1939. Oggi le sue foto coprono le pareti della hall dell’hotel, e vi si può visitare la camera nella quale lo scrittore iniziò la stesura di Per chi suona la campana (1940).

A parte il nome, che ricordava a Hemingway la sua doppia residenza a Key West e L’Avana, l’Ambos Mundos aveva il vantaggio di trovarsi a breve distanza da due bar che oggi costituiscono tappe turistiche obbligate, almeno per gli yankees (di nome o di fatto) che si ispirano allo scrittore più per le sguaiatezze etiliche che per le raffinatezze letterarie. Hemingway era infatti un alcolizzato che passava la mattina a scrivere e il pomeriggio a ubriacarsi, e ha reso notori sia lo Sloppy Joe’s di Key West, sia El Floridita e La Bodeguita di L’Avana. Tutti, ovviamente, ben lieti di esibire come trofei sue foto alle pareti e sue statue al bancone, e a gloriarsi dell’unica sua frase che molti avventori abbiano mai letto: my mojito in La Bodeguita, my daiquiri in El Floridita.

Fu proprio allo Sloppy Joe’s che, a Natale del 1936, Hemingway incontrò la famosa corrispondente di guerra Martha Gellhorn, con la quale partì per seguire la guerra civile spagnola. La seconda moglie rimase con i figli a Key West, dove visse fino al 1951: morì di un colpo apoplettico dopo aver saputo, da una furiosa telefonata dell’ex marito, che il loro secondo figlio Gregory era stato arrestato in un gabinetto per signore e soffriva di disturbi di identità di genere, che dopo quattro matrimoni e otto figli lo condussero a un cambiamento di sesso e alla morte in un carcere femminile.

La Finca Vigia

Nel 1939 la Gellhorn arrivò a Cuba per vivere con Hemingway, ma rifiutò di stare nell’angusta camera dell’Ambos Mundos. A San Francisco da Paula, sulle colline vicino a L’Avana, la nuova coppia comprò la Finca Vigia, una comoda villa di fine Ottocento in cui lo scrittore finì Per chi suona la campana. I due si sposarono nel 1940 e divorziarono nel 1945, e la loro vita è romanzata nel film Hemingway & Gellhorn di Philip Kaufman (2012).

Mentre la casa di Key West viene sguaiatamente invasa dalle orde, e persino affittata per i matrimoni, alla Finca Vigia i visitatori possono solo guardare silenziosamente dalle finestre aperte i locali arredati, le cui pareti sono ricoperte di libri e di trofei di caccia. Sul muro del bagno Hemingway registrava ossessivamente a matita le variazioni del suo peso. E nel giardino seppellì religiosamente i suoi quattro cani preferiti, con tanto di lapidi: Black, Negrita, Linda e Neron.

Vicino alla piscina, nella quale si bagnò nuda Ava Gardner, sta in secca la barca Pilar, che veniva ancorata nel villaggio di Cojimar in cui è ambientato Il vecchio e il mare (1952). La memoria dei tempi in cui lo scrittore si mescolava ai pescatori e ascoltava le loro storie, compresa quella che rielaborò nel suo famoso racconto, è ancora viva. Il ristorante La Terraza, dov’è girata una parte del film-intervista Comandante (2003) di Oliver Stone a Castro, preserva intatto il tavolo apparecchiato al quale Hemingway mangiava. E il tempietto a bianche colonne neoclassiche di fronte alla fortezza spagnola, immortalato nel film Il vecchio e il mare (1958) con Spencer Tracy, ospita un suo busto in ottone, ottenuto fondendo accessori delle barche dei pescatori.

Lasciare Cuba

Con la barca lo scrittore andava a pesca, insieme a pescatori simili al vecchio Santiago del suo racconto, e in luoghi come Bimini, in cui è ambientata la prima parte di Isole nella corrente (1970). E tra il 1942 e il 1943 si divertì a giocare alla guerra cacciando sottomarini tedeschi, come nella seconda parte del romanzo. Non trovandone di reali, si accontentò di inventare quello della terza parte del libro e di sterminarne l’equipaggio nelle acque attorno a Cayo Guillermo, allora deserto e oggi invaso dai turisti, che si assiepano sulla spiaggia di sabbia bianca ribattezzata anch’essa Pilar.

Quanto alla Finca Vigia, Hemingway ci rimase anche con la sua quarta e ultima moglie, Mary Welsh, che sposò nel 1946. Nel 1954 ricevette il premio Nobel per il suo stile terso, avaro di subordinate e generoso di understatement, e lo dedicò ai pescatori di Cojimar. La medaglia la andò sorprendentemente a deporre nel santuario di Nostra Signora della Carità a Santiago, di fronte alla statua della patrona di Cuba: dopo il recupero da un furto, oggi viene esposta solo nelle grandi occasioni, quali le visite papali.

Qualche anno dopo, nel 1957, la madre di Fidel e Raúl Castro depose di fronte alla stessa statua la figura di un guerrigliero, evidentemente con buoni risultati. Benché il comandante avesse letto Per chi suona la campana prima di addormentarsi nella selva, e incontrato Hemingway a un torneo di pesca a L’Avana, non era il tipo da fare sconti a uno yankee. Quando lo scrittore andò a farsi curare negli Stati Uniti nel 1960 non poté più rientrare a Cuba, e dopo il suo suicidio nel 1961 la Finca Vigia passò al popolo cubano, come la medaglia. E come forse avrebbe voluto lui stesso, che nel 1954 si era dichiarato «molto contento di essere il primo cubano sato [illetterato] a vincere il premio Nobel».

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