L’esordio di Giulia Lombezzi in L’estate che ho ucciso mio nonno (Bollati Boringhieri) è fatto di notevole orecchio per i linguaggi e di un talento mimetico che rende credibile ogni parlante. Un bel romanzo che nel finale si arrende al modello del "patto tra donne” così in voga in questo momento. Come se la scrittrice avesse il compito di proteggere i propri personaggi dal male, invece che usarli per esplorare il male in tutte le sue declinazioni
“A Matteo, Pat e Fabian, senza i quali non” – già nella dedica è chiara la principale caratteristica della scrittura di Giulia Lombezzi in L’estate che ho ucciso mio nonno (Bollati Boringhieri): quando si dovrebbe completare con qualcosa di banale (qui, presumibilmente «sarei riuscita a scrivere questo libro», o simili) la Lombezzi preferisce soprassedere, taglia. Uno stile in levare, sobrio, sempre con un sottofondo di ironia; un lessico parlato, basso, metafore antiliriche («roba remissiva», «



