Fenomenologia del ritornante: l’ultimo segreto di de Chirico

Alla fine degli anni Sessanta, l’ottantenne Giorgio de Chirico dà vita a un’ultima straordinaria avventura creativa caratterizzata da un ritorno alle figure e ai motivi della sua pittura metafisica dei primi decenni, reinterpretati in termini di inedita libertà visionaria. In questo decennio finale entrano in scena fantasiose variazioni, con vecchi e nuovi elementi, di piazze d’Italia e interni popolati di manichini e coacervi di oggetti; cavalli sulla spiaggia; gladiatori; navigatori nelle stanze; ombre elettriche di cavalieri erranti; composizioni con soli accesi e spenti; e labirintici bagni misteriosi. La mostra Giorgio de Chirico. L’ultima metafisica, curata da Elena Pontiggia, attraverso un accurata selezione di cinquanta dipinti (e un bel catalogo) ci fa comprendere l’importanza di questa ricerca, rivalutata in una prospettiva critica postmoderna. Palazzo dei musei di Modena fino al 17 aprile 2026 L’ultima fase Il primo ad avviare la rilettura critica dell’ultima fase dell’artista, attraverso una brillante analisi dell’insieme della sua opera, è stato Renato Barilli che nel 1974 (nel saggio Tra presenza e assenza) descrive la fenomenologia pittorica del “ritornante” come una sorta di rivisitazione (con scelte del tutto personali) delle stanze del museo: dal classicismo böckliniano agli archetipi della classicità greco romana in chiave metafisica; dall’arte rinascimentale alla figurazione romantica di Delacroix fino al pittura barocca di Rubens o Canaletto, per arrivare infine a chiudere il cerchio riproponendo, su un inedito registro “schiarito”, il suo immaginifico repertorio metafisico che diventa l’ultima tappa del suo museo ideale: maestro tra i maestri. Questa suo attraversamento dei territori della grande pittura del passato, che ha senza dubbio una forte componente concettuale, si può leggere come una geniale meta-pittura che si caratterizza sempre attraverso una ironica pratica della “ripetizione differente” degli stili e delle maniere, applicata nel finale di partita anche a se stesso. Nella neometafisica, che possiamo definire come “metafisica schiarita” c’è la volontà di aggiornare la qualità specificamente pittorica con tonalità leggere più colorate e luminose e con più fluide definizioni lineari e plastiche. Una variazione di linguaggio che esprime, con serenità anche giocosa, una pacificata presa di distanza dalle inquietanti, stranianti e misteriose atmosfere dei quadri della giovinezza, impregnati dalla tensione melanconica e tragicamente ironica del non senso della vita. Il mondo può diventare arte con le lenti della trascendenza Sole e luna I due principali temi che hanno generato i cicli di opere più emblematici della neometafisica sono da un lato quello del sole e dalla luna nelle stanze e dall’altro i “bagni misteriosi”. Sono temi direttamente connessi alle ultime invenzioni metafisiche dell’inizio degli anni Trenta. Il primo è quello delle litografie in bianco e nero che illustrano l’edizione del 1930 dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire, l’amico poeta e critico che per primo l’aveva scoperto e sostenuto a Parigi. Il secondo è quello delle litografie pubblicate nell’edizione del 1934 di Mythologie di Jean Cocteau, che viene sviluppato in una serie di quadri presentati anche alla Quadriennale romana del 1935. E sono proprio le nuove versioni di questi soggetti, esposte per la prima volta nel 1968 e nel 1970, in due mostre personali alla galleria di Alexander Jolas, che inaugurano felicemente la vera svolta dell’ultima metafisica. «Da un po’ di tempo», dichiara nel 1970 l’artista, «ho ripreso temi vecchi: da disegni per un’edizione dei Calligrammes di allora ho tratto adesso una serie di pitture con i motivi del sole dentro casa. Poi bagni di mare misteriosi, con vasche che al posto dell’acqua hanno lucidi parquets di legno. Sono soggetti che derivano da letture o sogni, semplici materiali su cui lavorare, come uno scrittore o un poeta, rivelazioni che mi vengono quando sto per addormentarmi». Il sole sul cavalletto è il titolo di un eccezionale documentario del 1973 per la televisione in cui Franco Simongini intervista il maestro nel suo studio mentre sta lavorando alla realizzazione di una tela su questo soggetto (esposta qui a Modena). È un dialogo all’insegna di una divertita complicità, dove alle domande del giornalista fintamente ingenue e vagamente provocatorie il pittore con tono burbero da risposte di sublime banalità. Simongini gli chiede, per esempio, se quel sole che poi rimane legato al cavalletto ha un significato filosofico o poetico. Lui risponde bofonchiando che è «meglio guardare e non cercare significati. La pittura è una contemplazione». E quando gli domanda se il cielo del quadro è quello greco dell’Attica, la risposta è: «Sì, potrebbe anche essere un cielo della Svizzera». Lea Vergine non ha mai avuto bisogno di uniformarsi I bagni misteriosi L’altro principale tema neometafisico, quello dei “bagni misteriosi” (purtroppo documentato solo nel catalogo della mostra) viene rielaborato attraverso un’ampia serie dipinti con originali variazioni compositive. Lo scenario all’aperto è formato da bacini o “piscine” con configurazioni tortuose sempre diverse e onde zigzaganti di parquet, dove nuotano immobili bagnanti nudi, e galleggiano cigni, pesci e palle multicolori. In mezzo o ai lati ci sono piattaforme e cabine palafitte con scalette che scendono nell’acqua, e dove si trovano personaggi vestiti in piedi che compaiono anche ai bordi delle vasche. Non lontano si trova anche la sorgente di un corso d’acqua. Fantastiche visioni che diventano anch’esse enigmatiche allegorie dei misteriosi destini dell’esistenza umana. Nel 1973 l’artista realizza nel giardino del Palazzo della Triennale di Milano una spettacolare Fontana dei Bagni misteriosi, la sua unica grande opera ambientale. In conclusione si può dire che questa ultima stagione della pittura di de Chirico è la dimostrazione dell’inesauribile vitalità della sua anima di «vecchio routier della sorpresa metafisica» attivata da uno spiazzante gioco sempre più ironico e autoironico e persino parodistico di autocitazioni, variazioni e invenzioni, capaci ancora una volta di affascinare lo spettatore attraverso una stupefacente freschezza qualitativa. Emilio Isgrò: «La vecchia pop art è diventata populista»