Subito dopo la premiazione, il cantante Marco Mengoni ha dedicato la sua vittoria a tutte le donne che hanno partecipato a questa edizione del Festival di Sanremo. Anche nelle ore successive ha ribadito lo stesso concetto: il fatto che nelle prime cinque posizioni non ci fossero donne sarebbe sintomatico dell’arretratezza del nostro paese sul concetto di uguaglianza. Ma è davvero così? O quanto meno: da questo punto di vista, il festival di quest’anno è un’eccezione o la conferma di una tendenza? 

Il tema generale è molto complesso. A essere raffinati, e anche più precisi, bisogna superare il concetto quantitativo e passare a quello qualitativo, valutando il ruolo delle donne a Sanremo in uno specchio più ampio. Banalmente: non basta dire quante donne ci sono, ma anche il ruolo che rivestono e di quale immaginario sono espressione (ed è quello che qui ha fatto Jonathan Bazzi). Un conto è dire che quest’anno Sanremo ha avuto numericamente più conduttrici donne (Chiara Ferragni, Francesca Fagnani, Paola Egonu e Chiara Francini) che conduttori uomini (Amadeus e Gianni Morandi) e un altro è contestualizzare la differenza di ruolo e potere che hanno avuto.

Affidarsi solo a una sensazione istintiva o aneddotica, come sembra aver fatto Marco Mengoni, può d’altronde essere altrettanto pericoloso. Giorgia è arrivata sesta in quanto donna o per un giudizio sulla sua canzone, giusto o sbagliato che sia? E soprattutto: Sanremo è davvero una bella competizione canora nazionalpopolare italiana, in cui alla fine vincono più facilmente i maschi?

Per farsi un’idea, abbiamo sfogliato la storia del Festival e preso i dati dei vincitori e dei primi cinque classificati nelle 73 edizioni. In effetti, il teorema di Mengoni sembra avere un certo fondamento nei dati, o quanto meno rispecchia una tendenza diffusa sul lungo periodo. Sulla vetta di Sanremo nella storia, e anche più di recente, ci sono finiti soprattutto i maschi.

Mengoni preso seriamente

LaPresse

Ovviamente un confronto su larga scala deve tenere conto di varie differenze che ci sono state nel tempo. I primi anni pochi interpreti si dividevano le canzoni. Nella prima edizione, nel 1951, hanno partecipato Nilla Pizzi, il duo Fasano e Achille Togliani che si sono divisi le 20 canzoni proposte.

Nella seconda edizione, Nilla Pizzi è arrivata prima, seconda e terza (ed è un caso unico). Si è diffusa poi l’abitudine di affidare le canzoni a due diversi interpreti, spesso (ma non sempre) affiancando un artista internazionale a quello italiano. In altri casi la classifica si è limitata al podio, come nel 1974 quando – dietro Iva Zanicchi, Domenico Modugno e Orietta Berti – sono arrivati gli altri, tutti a pari merito.

Nel tempo sono cambiate anche le modalità di voto. Dalle giurie di qualità al voto popolare, espresso prima con le schedine del Totip e infine con gli sms. Ma – prendendo seriamente Mengoni e verificando l’idea che la società sia talmente pervasa dalla disuguaglianza da lasciarne traccia nella classifica di un concorso canoro –, ci aspetteremmo che questo sia successo spesso, soprattutto quando l’impostazione patriarcale in Italia era un assunto con pochi oppositori. E, spoiler, in effetti c’è qualcosa di vero.

I risultati

Cosa abbiamo fatto? Abbiamo schedato i primi cinque classificati di ogni edizione, contando pure i secondi interpreti quando presenti. E li abbiamo divisi fra uomini o gruppi esclusivamente maschili; donne o gruppi esclusivamente femminili; gruppi misti, con componenti di entrambi i generi. Nella storia del festival non esiste, finora, la vittoria di una persona dichiaratamente non binaria.

Secondo i nostri calcoli, nella storia del festival i vincitori maschi sono stati la grande maggioranza (64 per cento, rispetto al 30 per cento femmine e 6 gruppi misti). Se si considerano i primi cinque classificati, cambia poco (62, 34 e 4 per cento).

Si potrebbe supporre che le edizioni del passato abbiano influenzato il dato finale. Prendiamo allora solo le ultime venti, le più moderne. La situazione peggiora sia fra i vincitori (83 per cento maschi, 13 per cento femmine e 4 per cento gruppi misti) sia nella top five (73, 25 e 2 per cento).

E nelle quattro edizioni di Amadeus? Il risultato è ancora più netto. Zero vincitrici donne, quattro maschi (Diodato, Mahmood, Blanco e Marco Mengoni) e un gruppo che ha una grande maggioranza maschile (Måneskin, con la bassista Victoria De Angelis). In quattro anni, nelle top five, ci sono state solo due donne: Francesca Michielin che nel 2021 ha cantato con Fedez ed Elisa nel 2022.

Tutti maschi

In effetti l’edizione del 2023 non è affatto un caso isolato. Esistono anche precedenti di segno totalmente opposto, ma sono molto rari: nel festival del 1975, le prime cinque classificate sono state tutte donne. Nell’ordine: Gilda, Angela Luce con Rosanna Fratello, Valentina Greco e Laura. Nel 1998 le prime cinque sono state Annalisa Minetti, Antonella Ruggiero, Lisa, Paola Turci e Silvia Salemi

Nel 1976, la top five è stata invece quasi solo maschile, con Peppino di Capri, Sandro Giacobbe, gli Albatros (il gruppo di Toto Cutugno) e Paolo Frescura. Ma terza è arrivata Dori Ghezzi (in coppia con Wess, un cantante, maschio, statunitense).

Nel 1977, in piena epoca di successo dei gruppi musicali, la classifica si è limitata al podio: nell’ordine gli Homo Sapiens, i Collage e i Santo California hanno solo componenti maschili. Così anche nel 1980 (Toto Cutugno, Enzo Malepasso e Pupo). Tutti maschi anche nel 1979 (con Mino Vernaghi, Enzo Carella, i Camaleonti e i Collage). E nel 1982 (Riccardo Fogli, Drupi, Giuseppe Cionfoli e Christian), con la sola Romina seconda insieme ad Al Bano per Felicità.

Stesso caso nel 1987, tutti maschi (Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Umberto Tozzi, Toto Cotugno, Fausto Leali e Peppino di Capri), tranne Romina con Al Bano. Top five maschile ancora nel 1991 (Riccardo Cocciante, Renato Zero, Marco Masini, Umberto Tozzi, Pierangelo Bertoli e Tazenda). E nel 2007 (Simone Cristicchi, Al Bano, Piero Mazzocchetti, Daniele Silvestri e Mango). E nel 2009 (Marco Carta, Povia e Sal Da Vinci). E nel 2010 (Valerio Scanu, Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici e Marco Mengoni). E nel 2020 (Diodato, Francesco Gabbani, Pinguini Tattici Nucleari, Le Vibrazioni e Piero Pelù).

Nel 1992 Mia Martini (seconda con Gli uomini non cambiano) è la "quota rosa" fra i maschi (Luca Barbarossa, Paolo Vallesi, Pierangelo Bertoli e Massimo Ranieri). E così succede anche molte altre volte, quando capita che ci sia un’unica donna a fare da eccezione in un caleidoscopio maschile.

Oltre i dati

LaPresse

I dati ovviamente non danno da soli l’interpretazione. Se ci ostinassimo a negare l’evidenza, potremmo dire che in 73 anni le canzoni più belle sono state, per puro caso, quelle degli uomini (ma sarebbe poco credibile). O potremmo sostenere che è naturale che ci siano più vincitori maschi, se nella storia ci sono state meno donne a Sanremo (ma questo sarebbe comunque parte del problema).

La realtà potrebbe essere invece influenzata dal fatto che il mestiere di cantante, in Italia, è come altre professioni caratterizzato da un diffuso “gender gap”. Sul finire dell’anno scorso, avevamo raccontato come nei festival musicali estivi la presenza femminile fosse praticamente un’eccezione.

Infine, c’è l’idea di Mengoni: che comunque, quando c’è una competizione, si tende in genere a preferire gli uomini alle donne. 

In realtà, Sanremo sembra uno specchio della società anche in questo. Nonostante le sue pretese di grande innovazione, è ancora influenzato da retaggi del passato. Per cambiare le cose difficilmente si può partire dal problema specifico (non avrebbero senso le “quote rosa” nella top five). Si potrebbe però fare un gesto simbolico.

Nel 2024, Amadeus potrebbe lasciare la conduzione e la direzione artistica a una donna e limitarsi al ruolo di co-conduttore. Potrebbe farsi attendere e scendere dalla scalinata, partecipando al Festival una sera soltanto. Potrebbe essere giudicato sulla sua prestanza fisica e valutato per il vestito. Potrebbe persino fare un monologo alle due di notte. Magari sulla paternità.

© Riproduzione riservata