Il Sanremo di dieci anni fa, quello del 2014, è il terzo meno visto di sempre. Lo ha vinto Arisa, con Controvento, e anche in quella edizione c’era un brano in napoletano, cantato da Rocco Hunt, il Geolier degli anni Dieci. Il Sanremo del 2004, presentato da Simona Ventura, fresca del grande successo de L’Isola dei Famosi, la risposta Rai allo strapotere dei reality Mediaset, è stato il secondo meno visto di sempre, battuto proprio dal Grande Fratello, l’edizione indimenticabile di Patrick e Katia nella suite che brindano alla loro libertà emotiva.

Gli anni con il quattro

Se andiamo al Sanremo del 1994, tra un Pippo Baudo, una discesa in campo, e una Laura Pausini che si qualifica terza dopo il signor tenente di Faletti, non troviamo indizi sufficienti per poter decretare l’esistenza inconfutabile della maledizione degli anni col numero 4 nelle edizioni della kermesse, gli ascolti sono ottimi. Non ci sono legami di questo tipo con i due festival sfortunati del ventunesimo secolo, il trend non è confermato, è solo una coincidenza, ma ce n’è uno interessante con quello attualmente in corso di Amadeus, ossia Loredana Bertè.

Non è difficile trovare Loredana Bertè nella storia di Sanremo, dal momento che ha partecipato a ben dodici edizioni del festival: un po’ come Michele Zarrillo, sai che a un certo punto arriverà, nomi perfetti da usare nei drinking game a tema Ariston. E difatti, trent’anni fa saliva sul palco portando una canzone che potremmo definire una sorta di prequel a quella che canta nella settantaquattresima edizione. Amici non ne ho, scritta anche da Bertè, che per l’occasione, vestita di nero e con i capelli arruffati, ricorda a Baudo il motivo per cui tutti gli autori scappano, semplicemente perché li fa impazzire, o perché magari la pazza è lei.

Cosa cantava nel ‘94

“È opinione generale, quella che non so cantare, e che vesto sempre male, per la stampa nazionale mi suicido per campare, come sponsor l'ospedale”, diceva di sé trenta edizioni di Sanremo fa. “Sono sempre la ragazza, che per poco già s’incazza”, e soprattutto: “Prima ti dicono basta sei pazza e poi ti fanno santa”, canta la Loredana del presente, tre decenni dopo.

Non ho una collezione così vasta di aneddoti legati a personaggi famosi, ma uno in particolare credo che valga la pena citarlo. Avevo vent’anni ed ero a cena a casa di Franco Battiato, per una serie di ragioni che non ha senso spiegare. La televisione era accesa e sullo schermo era apparsa Loredana Bertè.

Battiato, che tra le altre cose era anche un uomo piuttosto divertente, zittì tutti per raccontare di quella volta in cui aveva incontrato la cantante su un volo per Mosca e lei gli aveva mostrato davanti a tutti le tette, alzandosi la maglietta e dicendo: «A Battia’, ti piacciono?». Avrei tanto voluto essere uno dei custodi privilegiati di questo racconto da rivendermi alle cene, ma purtroppo la storia è di dominio pubblico, confermata da entrambi in varie occasioni.

“Che pazza”, hanno detto tutti, me compresa, anticipando inconsciamente il testo di una canzone che le avrebbe fatto conquistare il primo posto nella classifica della prima serata di Sanremo 2024, premiata dalla sala stampa.

La pazza Rai

Effettivamente, un po’ pazza lo sembra. Lei che a 73 anni continua imperterrita a sfoggiare le sue proverbiali gambe di marmo, piedistallo per la chioma blu da fata Turchina, occhiali a mascherina da metallaro, espressione da cane ringhioso perennemente stampata in faccia, in un insieme equilibrato di eccentricità e spettacolo.

Questa è la pazzia Rai, quella controllata che puoi gestirti nel perimetro sicuro della messa in scena che prevede anche cospicue dosi di follia, anzi, che le incoraggia, nei limiti del gestibile. Da un lancio di uno spartito a una sparizione di Bugo in gara, il pazzometro del festival ha lancette flessibili che, specialmente ai tempi della memificazione di qualsiasi immagine, si piegano volentieri sul lato dell’imprevisto e della tanto citata locura di borisiana memoria, il tocco camp alla nostra tv di Stato.

Pazza è Victoria Cabello che bacia Orlando Bloom, pazzo è Roberto Benigni che palpa il pacco di Pippo Baudo, pazzo è Amadeus che decide di condurre cinque Sanremo di fila, senza soluzione di continuità con Soliti Ignoti o le regioni di Affari tuoi, lasciando aperta la possibilità di un sesto. Pazzo è Rosa Chemical che bacia Fedez, Blanco che prende a calci i fiori, Arisa che dice di aver preso le goccine prima di presentare al fianco di Carlo Conti, e pazza era, in un modo scenografico e dissacrante, Loredana Bertè nel 1986, quando in piena ascesa della sua carriera decise di andare per la prima volta a Sanremo indossando un finto pancione.

I suoi eccessi

Lei non lo sapeva, ma al netto delle critiche e dell’indignazione, in quel momento stava mettendo in scena uno dei momenti iconograficamente più memorabili del festival, con buona pace dei dipinti di Achille Lauro.

Certamente, pazza è stata Bertè quando alla fine degli anni Ottanta decise di stracciare i contratti milionari con le case discografiche per seguire a Stoccolma il marito tennista Björn Borg, che le puntava per gioco pistole cariche e che lei stessa salvò dal suicidio, due anni prima di tentare il suo. E c’è una grande differenza tra una performance di follia, controllata e programmata come succede in diretta su Rai1, e uno stato di salute mentale a rischio.

Una condizione che, nel mondo dello spettacolo, non sempre viene trattata con la giusta misura o di cui addirittura ci si approfitta – e delle conseguenze che ciò può avere sulla vita di una persona la famiglia Bertè ne sa qualcosa.

Perché Loredana Bertè è un personaggio a sé stante, con la sua personalità, la sua carriera e una sua estetica aggressivamente ben delineata, ma è anche la sorella di Mia Martini; ed è un po’ come se sul palco, dal 1995, per forza di cose salissero sempre insieme.

Mi viene spontaneo chiedermi: e se questo primo posto assegnato dalla sala stampa, al netto di una canzone neanche così memorabile, fosse un modo per sdebitarsi di ciò che ha portato al 1995? O in altre parole, la traduzione letterale della sua canzone, prima pazza, poi santa, prima bersaglio facile, poi venerata maestra.

Già nel 2008 venne premiata alla carriera nonostante la sua canzone fosse esclusa dalla gara, e nel 2019 un’altra volta, con un premio creato apposta per lei dopo le proteste per la classifica finale – in quel caso, a fine esibizione c’erano state sempre delle clamorose standing ovation.

Che sia per senso di colpa nei suoi confronti, o nei confronti di sua sorella, per semplice rispetto, stima, apprensione, ipocrisia, Sanremo sembra avere un debito da saldare con questa “pazza” che nel 1994 fa saliva sul palco per dire che amici non ne aveva, e che trent’anni dopo torna con un’altra conclusione: «Non ho bisogno di chi perdona, io, faccio da sola».

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