Il clima è ancora incerto, nulla di veramente estivo, nemmeno primaverile a guardare l’orizzonte nero in movimento. Ma nel cuore di chi sta per finire la scuola, dei bambini, di chi per un anno ha vissuto tutto a distanza, dalla scuola agli amici, è tempo di bella stagione. Di mare e giochi sulla sabbia. Allora si parta. Anche se le previsioni portano pioggia, ma che importa, anche se fa freddo e stare in calzoncini sembra un’avventura fuori stagione. Ma non c’è il coraggio di spegnere i sorrisi, di tradire le promesse.

I figli chiedono e i genitori accolgono. È legge umana. Anche se c’è chi dice che non sia stato sempre così. Perché i genitori di una volta avevano altra durezza e dettavano altra educazione. Forse. Altri tempi. Ma tra un padre autorevole e un padre autoritario ce ne passa. Dai parcheggi deserti capisce subito che in pochi hanno mantenuto la parola. Non è mare. Non ancora. Non quello che brucia sotto i piedi. È la messa in scena del Mare d’inverno/è solo un film in bianco e nero visto alla tv, ma di Loredana Bertè nessuna traccia. Ci riconosciamo subito.

Gli umani presenti, pochi, in gruppi sparsi, obbediscono alle due categorie umane più soggette ai desideri altrui. I genitori, con figli al seguito. E i giovani, traviati da miliardi di spot pubblicitari per cui l’estate è già iniziata e il sole intramontabile. Invece fa un freddo cane. Ma i figli non lo sentono. Domandano con occhi delusi perché ci ostiniamo a rimanere con la t-shirt addosso, al mare non si fa, non è buona educazione, e perché si resti così distanti dall’acqua, dalle piccole onde che benigne si infrangono sul bagnasciuga. Il freddo non si può raccontare. L’alluce immerso nell’acqua è una scarica elettrica che non si consiglierebbe nemmeno al peggior nemico. Dire l’acqua è gelida non restituisce la temperatura, disumana. E invece loro, smaglianti, sono già immersi, presi dai loro giochi. Lungo la costa, a perdita d’occhio, non puoi sbagliare, il bagno lo fanno solo loro, età massima consentita: anni dieci.

I genitori, invece, a guardia, lì dove il mare finisce e comincia la terra. Perché per i bambini il mare non è mai freddo?

Non si accettano risposte di carattere scientifico, astenersi quelli che i termoregolatori non sono ancora sviluppati completamente prima dell’adolescenza.

Ma per favore. Di mezzo c’è altro. È il sorriso di una figlia a scriverlo chiaramente in mezzo alle nuvole nere sospese in cielo.

È desiderio. È voglia. Più grande di ogni buonsenso, di ogni sovrano fastidio. Essere adulti impone la logica, il quesito è presto scritto: perché bagnarsi? È solo questione di tempo. Basta aspettare il momento più propizio, attende lo scorrere dei giorni.

Invece no. I bambini vogliono tutto al presente. Il tempo futuro è roba da grandi.

Nasce così. Come un gesto di ribellione. Il tempo futuro non è roba da grandi, è questione da scemi. Il sole, la nostra infuocata stella, ha appena iniziato un nuovo ciclo di attività, magari è in viaggio una tempesta solare capace di trasformarci in supplì nel giro di secondi. Al dunque, obbedire al piacere e sfidare il fastidio, oppure obbedire al fastidio e negarsi il piacere. Un brano di pelle alla volta. Sino al tuffo. Sino al pensiero che la bravata ci costi la vita. Ma si sopravvive. A morire invece è il freddo. Un poco per volta. L’acqua, incredibile ma vero, diventa umana. Poi è un gioco a inseguire un altro gioco. Sino a quando dal cielo non inizia a scendere acqua dolce, s’impasta con quella salata in cui si sta immersi tra le onde, mentre mogli lontane gridano di uscire. Ancora un tuffo, l’ultimo, prima che gli anni tornino al loro posto, a farci sentire il freddo ancora più freddo, la malinconia una distesa d’acqua bagnata dal cielo.

 

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