Nel futuro immaginato da Gints Zilbalodis, gli umani sono scomparsi e tutto è stato sommerso dall’acqua. Un gatto nero e altri animali percorrono questo flusso su una barca, eternamente precari e stranieri
Come sarebbe una vita regolata dalle alluvioni? Una vita tra qualche decennio, quando le temperature saranno salite magari di tre gradi, i ghiacciai si saranno sciolti, gli oceani saranno gonfi e caldi e noi non ci saremo?
L’acqua forse salirà sempre più in alto, coprirà la terra, si riverserà nelle valli, sommergerà gli alberi e lambirà le montagne e come cantava così Guccini alla fine degli anni Sessanta, «noi non ci saremo». Forse gli uccelli voleranno ad alta quota, mentre pesci e capodogli nuoteranno fra i rami degli alberi, «fra le macerie delle città. Fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà». Dalle finestre aperte s’infileranno in stanze e salotti di un passato lontano. Poi l’acqua si ritirerà e il sole col tempo asciugherà ogni cosa.
Al cinema è uscito Flow – Un mondo da salvare. È stato presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard e l’ha scritto e diretto Gints Zilbalodis, regista lettone nato nel 1994. Racconta un mondo del futuro, con vestigia umane del passato. Gli umani sono scomparsi, restano le loro case, i loro disegni e le loro statue. Alte città di pietra dorata, con archi, ponti e guglie silenziose. Nient’altro, neanche un’ombra umana, un’immagine o una parola.
Senza umani
In un mondo immaginario senza umani, innanzitutto, gli animali potranno smettere di parlare e comportarsi come umani. Parlo degli animali dell’immaginazione, quelli che popolano le favole e i cartoni animati con cui siamo cresciuti e che forgiano, appunto, la nostra immaginazione.
Quasi sempre erano animali solo in apparenza, per il resto si comportavano e parlavano come noi. Venivano (o anzi vengono, perché tutt’ora abitano le nostre immaginazioni e i nostri cartoni animati), quegli animali, da una lunga tradizione che rimonta almeno ad Esopo in Grecia oltre 2500 anni fa, passa per Fedro a Roma cinque secoli più tardi, e per la Francia di La Fontaine nella seconda metà del Seicento. Pure Goethe, Calvino, Orwell e moltissimi altri hanno immaginato animali parlanti. Soprattutto, 101 anni fa Walt Disney fondava una splendida fabbrica di storie in cui si mescolavano animali, umani e pure qualche nonna salice e altra vegetazione.
Ma se invece ora, in piena crisi climatica, immaginassimo una storia di animali ambientata nel futuro, forse quegli animali sarebbero liberi. Si potrebbero comportare indisturbati da animali, senza bisogno di parlare, ognuno mescolerebbe in sé l’istinto della propria specie e il proprio carattere senza dover mettere in mezzo inutili caratteristiche umane. E sarebbero lo stesso degni di una storia.
Gints Zilbalodis ha fatto questa scelta e il suo è un film bellissimo. Intimo, dolce, terribile. Trasmette una visione del mondo anche solo attraverso la tecnica utilizzata per creare le immagini: a basso costo, open source. È presa in prestito dal mondo dei videogiochi, non è sempre il massimo della definizione e della precisione ma i disegni sono belli, convincenti e caldi. Il movimento e le espressioni degli animali più realistici di molti film in 3d, non per le tecniche usate ma perché sono disegnati mettendosi nei panni di un gatto e non mettendo un gatto nei panni di un umano.
Perenni stranieri
Nel mondo futuro di Flow le acque stanno sommergendo la terra. Per un gatto nero un po’ schivo è difficile fidarsi di una barca di legno piena di cani, anche se uno di loro è un labrador giocherellone di cui tutto sommato ci si può fidare. Il gatto si rifugia in una casa abbandonata, si gode il sonno su un materasso comodo e il sole che entra dalla finestra, ma intanto l’acqua sale e sale, la barca dei cani è troppo lontana, il gatto si arrampica sugli alberi e poi sulla statua gigante di un gatto gigante, come in un incubo.
L’acqua arriva pure lì, alla testa della statua di gatto gigante. Bagna le zampe del gatto nero, schivo e terrorizzato, lo costringe a nuotare in questo fiume immenso, finché ecco un’altra barca su cui arrampicarsi, questa volta sì, e viaggiare indisturbato in compagnia di un capibara.
Arriveranno anche il labrador, un lemure e un serpentario. Ognuno con le proprie paure, diffidenze, idiosincrasie. Accanto a loro nuoterà una balena spaventosa, l’unica a sentirsi letteralmente nel proprio elemento. Il gatto nero e schivo imparerà a cacciare i pesci e a condividerli con i nuovi compagni. La vita sarà questa, nient’altro.
Solo viaggiare per questo mondo bellissimo, di cieli splendidi, rovine di città e cime di monti che sbucano dalle acque blu. Non c’è una terra promessa, non c’è un altrove di salvezza. È tutto sommerso. E loro non possono essere che perenni stranieri. Sempre precari e vulnerabili, come stranieri.
Il ritorno
Finché un giorno le acque si ritirano, tutto d’un colpo. Gli animali si ritrovano sbattuti qua e là in una foresta: chi incastrato a un ramo, chi in sperso in una radura, tutti spaventati e confusi. Con fatica si riuniscono, finalmente sulla terra ferma. Solo la balena, poco fa mostro spaventoso, ora è fragile e sofferente.
Tutti i film e i cartoni che abbiamo visto, tutte le storie che ci sono state raccontato e che abbiamo inventato, ci farebbero credere che il finale di Flow debba essere lì, sulla terra ferma. Ci aspettiamo una normalità da ricostruire, ora che il pericolo è scampato e che nuovi rapporti si sono consolidati.
E invece, come se avesse solo inspirato profondamente, la Terra torna a soffiar fuori acqua, e la balena a nuotare. Tutto ricomincia. Forse il gatto nero e schivo sopravvivrà e troverà un’altra barca su cui sopravvivere per questa nuova alluvione, chi lo sa. Difficilmente ritroverà la sua nuova famiglia – il capibara, il lemure, e il labrador. Magari ne incontrerà un’altra, o invece sarà solo.
Da chi dobbiamo salvarci
In italiano il film ha un sottotitolo: Un mondo da salvare. Sembra presupporre un fine da raggiungere, un atto eroico da compiere. Per tutto il tempo ci si chiede: cosa dovranno fare questo gatto nero e schivo e i suoi compagni per salvare il mondo dalle acque?
Ma il gatto – come il capibara, il lemure, il cane e il serpentario – altro non fa che sopravvivere sulla sua barca di fortuna giorno per giorno, raccattando un pesce quando la corrente non è troppo forte.
Non è loro compito né facoltà salvare altri che sé stessi. E quando contro ogni aspettativa alla fine l’acqua torna a sommergere il mondo non solo è difficile pensare che si salveranno di nuovo: soprattutto, la salvezza non sarà altro che una nuova barca di fortuna. Una scialuppa per sopravvivere in questo “flow”, questo flusso senza mai un punto d’arrivo.
Ecco se dovessi dire cosa non avevo mai visto prima, oltre agli animali che si comportano da animali e riescono lo stesso a raccontare una storia, è un finale come questo. Promette soltanto un flusso, di acqua che va e che viene, quasi un respiro. In questo respiro tutte le specie, quelle di terra e quelle di mare, sopravvivono giorno per giorno, come sempre hanno fatto gli animali, ma in una precarietà crudelissima.
Il mondo da salvare allora è un mondo da salvare da noi. Da noi umani. Anche se noi non ci saremo, eventi climatici estremi scuoteranno la terra, prima che possa (parafrasando ancora Guccini) anche solo risorgere un mondo nuovo. L’unica cosa che può voler dire quel sottotitolo è che bisogna fare qualcosa prima che si possa scatenare quel flusso.
Del resto anche il nostro tempo inizia a essere scandito dalle alluvioni. Lo scorso ottobre è stato così, ne è arrivata una dopo l’altra. Ne L’età del fuoco, l’autore canadese John Vaillant osservava la difficoltà che da sempre coglie l’essere umano nel riconoscere fenomeni che esulano dalla sua esperienza, l’incredulità con cui li si accoglie. In quel caso si trattava di un incendio, tanto spaventoso da essere poi definito “la Bestia”, ma abbiamo visto quell’incredulità a Valencia solo poche settimane fa.
Ma cosa succede se la bestia diventa un ospite regolare, come lascia presagire Flow? Com’è vivere sapendo che la bestia quasi certamente tornerà, tra un mese o fra un anno, comunque presto, prima di aver avuto il tempo di ripulire le macerie dentro e fuori di noi, come è avvenuto in Emilia-Romagna?
Il gatto nero e schivo di Flow può solo aggrapparsi a un’altra barca di fortuna, quando noi non ci saremo. Ma noi ora ci siamo. Prima della prossima alluvione ci saremo, prima di trasformare il pianeta in quel flusso crudelissimo siamo qui e c’è un mondo da salvare.
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