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Anche se il fotogiornalismo non è considerato una pratica artistica, alcune immagini dei fotoreporter finiscono per trasformarsi in icone. Le più potenti hanno così scosso l’opinione pubblica da influenzare il corso della storia.
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Le fotografie di Francesco Cito, uno dei primi a raggiungere l’Afghanistan nel 1980, hanno il dono della sintesi e notevole è la sua capacità di raccontare i conflitti e le contrapposizioni tra i popoli per far comprendere l’attualità storica.
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«L’Afghanistan che ho conosciuto era un luogo meraviglioso, prima dell’invasione sovietica la società era diversa: Kabul era meta di hippy che facevano tappa lì per fumare hashish», racconta Cito. A quelle persone ora è di nuovo negata una vita.
I fotogiornalisti non sono artisti, non almeno nel senso che si attribuisce a questa parola normalmente. Vanno a caccia di notizie, si immergono nei fatti per raccontarli sui giornali. Vivono di adrenalina, mescolando tratti più complessi dell’ego a una profonda umanità. Non aspirano a vedere il loro lavoro incorniciato in galleria: le guerre c’entrano poco con il collezionismo. Eppure, il reportage non è ascritto solo allo spazio in cui vive la notizia. La sua eco arriva oltre, si radica nelle



