Film di finzione su calciatori viventi se ne contano sulle dita di una mano. Pelè, Maradona, George Best. Escluse le fiction celebrative sul Grande Torino, l'Italia campione del '34, il miracolo di Berna, il Leeds dannato degli anni Settanta e tutte le partite della morte dei deportati contro i nazisti. Il “divin Codino” Baggio è in arrivo breve su Netflix, annunciato da un trailer piuttosto cringe o forse soltanto camp – su questo le estetiche della televisione contemporanea sono sempre più ambigue. Insomma, il Francesco Totti di Speravo de morì prima!, in onda su Sky, tratto dalla biografia autorizzatissima del Capitano con toni da neocommedia italiana, gusto per il travestimento, cast di primo piano nei limiti del nostro cinema (Piero Castellito, Gianmarco Tognazzi, Greta Scarano ecc) se la gioca in un girone facile.

Biopic e somiglianze

Superficiale, di routine, senza profondità, conflitto scontato. Ecco i pareri dei critici all'uscita di biopic come Pelè birth of a Legend (2016) dei fratelli Zimbalist, o Maradona: la mano de dios (2005) di Marco Risi. Il primo, realizzato per celebrare i mondiali brasiliani del 2014 ma arrivato in ritardo, genere “inspirational”, seguiva o rey dalle sue prime leggendarie partitelle senza scarpe alla finale contro la Svezia nel campionato del 1958. Il Maradona di Risi intanto se ne stava intubato in un letto di terapia intensiva dopo l'ennesimo collasso da cocaina e rivedeva (come in un film) le sue gesta e, in un eccesso di melodramma, una seconda cornice lo ricordava bambino in attesa di soccorsi disperatamente a galla nel pozzo nero dov'era scivolato durante una bufera. Di cosa parla la serie su Totti? Di un calciatore che deve lasciare il calcio per raggiunti limiti di età e si inventa qualsiasi scusa da scuola elementare per non farlo, compreso il fatto che un'intera città ha bisogno di vedere ancora le sue gesta, e l'allenatore che era stato amico ora gli “manca di rispetto”.

Anche in Best (2000) – biopic inglese di George Best – l'attore Jim Lynch metteva in scena l'incapacità del “quinto Beatles” di immaginare per sé qualcosa oltre il calcio (e le macchine, le ragazze, i bei vestiti). Ma l'esito era drammatico. La star del Manchester United aveva chiuso la carriera a 36 anni giocando per ultimo a Hong Kong e in terza divisione inglese. Nel film si addormentava ubriaco e col fegato davvero a pezzi in un pub dove un gruppo di tifosi aspettava di ascoltare il suo spettacolino da vecchia gloria. Musiche dei Beach Boys e degli Animals, impaginazione swinging. Jim Lynch, nordirlandese trentenne era al ruolo di una carriera di parti secondarie in serie tv. L'unica pecca gliela scrisse un critico: era troppo vecchio per fare George Best giovane e viceversa.

Marco Risi aveva chiesto al mago degli effetti speciali horror Sergio Stivaletti di modellare la faccia e il corpaccione deforme di Maradona attorno al giovane protagonista Marco Leonardi. Eppure nell'un caso e nell'altro la somiglianza era davvero tenue – rispetto al ben di dio di immagini vere di Maradona, come dimostrava ancora l'ultimo documentario di Asif Kapadia due anni fa. A parte i capelli ricci. E il doppiaggio italiano non aiutava. Carini i due ragazzi che fanno Pelè tra i 5 i 18 anni, trovati dai fratelli Zimbalist nei campetti di Rio de Janeiro per maggior realismo nelle scene di calcio, ma nel film parlano inglese e la cosa suona stonata anche per il mercato internazionale, anche per un pubblico di ragazzini. Il calcio brasiliano parla brasiliano. Maradona deve parlare come Maradona.

“Fare” Totti

Nella caratterizzazione di Totti il giovane e furbo Piero Castellito aveva di fronte una parete di vetro da scalare. “Fare” Totti, cioè riprodurre la calata romanissima e timido-gutturale del Capitano, comprese le alzate di spalle e gli ammicchi, non è tanto difficile. Più difficile è cancellare le caricature e le prese in giro che ci hanno costruito sopra. Non sarà un caso che la serie non accenni a neppure una delle barzellette che spopolavano vent'anni fa e restano una delle operazione più sofisticate di ripulitura dell'”immagine” di un calciatore. Curiosità: Totti e Maradona convidono la scena del timido corteggiamento delle loro rispettive fidanzate. L'imbranato Maradona ripete a Claudia le parole di una canzone di Roberto Carlos, Proposta (“Non pensavo che sapessi dire parole così belle” “Sono le parole della canzone”). Il timido Totti usa L'emozione non ha voce di Celentano per lo stesso scopo, la dichiarazione in un ristorante sulla spiaggia prenotato per l'occasione. Silenzio sulle altre, eventuali, conquiste.

Non c'è fiction calcistica dove gli attori e il regista non si tolgano lo sfizio di ingaggiare una qualche sfida con la memoria, che è memoria della televisione. Marco Risi inserisce il suo protagonista nella sequenza celeberrima dell'arrivo di Maradona allo stadio san Paolo nel 1984 palleggiando di fronte a 80mila spettatori. E aggiunge Je so'pazzo di Pino Daniele in sottofondo. Nel film su Pelè le immagini bianco e nero del Mondiale 1958 – il “sombrero” del terzo gol visto e rivisto come uno dei più belli d'ogni tempo – riprendono vita e colore nelle inquadrature strette, i fermo immagine, una geometria da videogioco negli scambi con Garrincha e Vavà. Con più di una giustificazione narrativa. Forzando molto la storia alla ricerca di una dimensione epica, i registi narrano infatti di come Pelè, figlio di un ex calciatore e giocatore di strada, reintroduca nel calcio brasiliano la ginga, cioè i movimenti della capoeira, cioè la lotta degli schiavi africani dissimulata nella danza.

A cosa pensa Totti mentre attende di battere il fondamentale rigore ai mondiali 2006 contro l'Australia al 90esimo minuto? La ginga dell'Appio Latino? No. Pensa a quando giocava a prendere a pallonate i compagni schierati sulla scalinata della sua scuola elementare, tipo Space Invaders. Nello stesso momento scopre di avere “il Dono”.

Da questa dimensione anni Ottanta, un po' Stranger Things, un po' 883, che già veniva fuori anche dal documentario di Alex Infascell, nasce una cosa vagamente fantasy forse biblica (l'esperto Stefano Bises, uno degli sceneggiatori della serie, ha messo le mani nell'ultimo Pope di Sorrentino). L'allenatore della Roma Spalletti, il toscano esigitato imitato da Gianmarco Tognazzi, abitato da una segreta pazzia della quale vorremo sapere di più, è tornato a Roma a far compiere il Destino. Finire la storia dell'Ottavo Re di Roma. Terminare l'incantesimo che tiene prigioniero il Capitano da quarant’anni dentro il Raccordo Anulare («Stai tanto bene qua» dice papà Enzo – l'attore Giorgio Colangeli – dopo aver mandato a casa a mani vuote il Milan di Berlusconi).  

A proposito, una interessante ricostruzione di allenatore spiritato è il Brian Clough di Damned United (2009) – l'attore inglese Martin Sheen – capace di vincere campionato e Coppa dei Campioni col Derby County e col Nottingham Forest, ma cacciato dopo 44 giorni dal Leeds che avrebbe voluto convertire a un gioco meno falloso e infame. Nella serie Ted Lasso (l'anno scorso su Apple), molto apprezzata dagli americani, per niente dagli inglesi, un allenatore di football  americano viene chiamato ad allenare una squadra di calcio londinese di seconda divisione che la presidentessa mollata dal marito ha deciso di affossare (trama da L'Allenatore nel Pallone). L'allenatore Jason Sudeikis conquisterà tutti con un po' di psicologia e molta comica incoscienza: il giovane centravanti idiota e la vecchia gloria al tramonto, l'ombroso Roy Kent.

Il Confitto 

Storicamente si può discutere se il nuovo allenatore del Brasile del '58, Vicente Feola (l'attore Vince D'Onofrio in Birth of a Legend), avrebbe voluto vietare ai suoi calciatori la ginga in nome di un gioco ordinato, europeo. Gli sceneggiatori però esagerano malamente quando inventano Josè Altafini (di famiglia italiana, prima calciatore di Juve e Napoli, poi mitico telecronista carioca per una generazione) come antipatico damerino bianco che bullizza Pelè, il figlio della domestica. Perché non è vero: pure la mamma di Altafini faceva la domestica e i due si sono conosciuti quando erano già grandi. Il Maradona di Risi non ha antagonisti a parte se stesso e, molto sullo sfondo, Blatter, la Fifa e l'Inghiterra della Malvinas.

Ma Pelè e Maradona sono esempi da (non) seguire. Totti invece parla direttamente ai tifosi, ai quali chiede di essere ancora complici della “sua” favola. Sua perché lui stesso se la racconta così, voce fuori campo nella biografia scritta con Paolo Condò già oggetto del trattamento documentaristico di Alex Infascelli, ripetuta con le medesime parole in questa serie. Dice un vecchio adagio del calcio che le cose di spogliatoio devono rimanere chiuse là dentro. E di fronte alla prospettiva di clamorose rivelazioni, ci si convince pure che ai tifosi è di conforto sentirsi raccontare le storie che sanno già, con le parole e le psicologie da gazzetta sportiva. Ti fa restare ragazzino, come Totti a quasi quarant’anni.

© Riproduzione riservata