L’11 gennaio 1999 se ne andava Fabrizio De André. Sono trascorsi ventun’anni, ma il 2021 ci regala un altro anniversario illuminante: i cinquant’anni dall’uscita di Non al denaro non all’amore né al cielo. Così, cinquant’anni di vita fatta di parole si fondono con cinquant’anni di parole fatte di vita
- Qui, proprio mentre il filo degli anni si aggroviglia su sé stesso come certi cenni di rughe che ci rappresentano, la differenza tra un semplice, pur struggente anniversario e un capolavoro, è che il capolavoro ci ricorda che la morte – per quanto si sforzi – con l’arte non esiste.
- Gregory Corso ha scritto «A cosa serve Hemingway, se esiste la sedia elettrica?» e qui verrebbe da dire «A cosa serve De André, se non abbiamo imparato a riconoscerci esseri umani?».
- Parlare con le parole che ci sono perché qualcuno le ha già trovate: e renderle vive; e ringraziarle provando a non tradirne mai la musica che le sostiene. Uno dei lasciti infiniti di Fabrizio De André.
Tutti gli anni, quando arriva l’11 gennaio, anche senza dircelo, noi due ci ritroviamo a pensare a quello del 1999 che ci ha portato via Fabrizio De André. E quanto più ci manca ciò che di lui ci è tolto – tutta la poesia con cui ci avrebbe ancora sorpresi: quella con cui ci avrebbe fatti sentire capiti nelle nostre fragilità – tanto più, però, si prende la sua luce quello che resta. Le sue canzoni. La lezione alle vie di fuga nello sguardo, la ricerca dello spiazzamento. L’ironia. Che qualche v


