Heinz Beck: «Le cucine non sono quelle della tv. Dobbiamo cogliere i cambiamenti»

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è come si salvano i ristoranti. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. «No, non l’ho guardata». La serie tv sull’alta cucina più famosa del momento, The Bear, in casa di Heinz Beck non è ancora entrata, ma, mentre risponde alle domande in vivavoce, lo chef del tristellato Michelin romano La Pergola, passa il telefono a due membri della sua brigata perché siano loro a esprimersi. Il giudizio è univoco: la notizia del malessere diffuso nelle cucine sarebbe altamente esagerata. «Le cucine non sono quello che si vede in tv», sentenzia Beck. Le preoccupazioni sono altre: hanno a che fare con le strategie da mettere in atto per far fronte all’inflazione («Da un lato c’è l’amore per il mestiere, dall’altro ci sono i numeri, che vanno gestiti con attenzione»), per garantire stipendi adeguati e per mantenere soddisfatta la clientela. Sono cambiate negli ultimi tempi le aspettative dei clienti che frequentano il fine dining? Oggi il cliente è sicuramente più documentato, e questo è un aspetto positivo: è in grado di fare scelte più consapevoli e di apprezzare ancora di più il lavoro, la ricerca e la cura che stanno dietro al nostro mondo. Chi sceglie i nostri ristoranti si aspetta un’esperienza unica e memorabile. Se riusciamo a soddisfare queste aspettative e il cliente sceglie di tornare, credo sia il complimento più grande che possiamo ricevere. Niko Romito: «Stavo ore e ore in cucina, facendo errori» Cosa cercano i clienti? La clientela cambia con il tempo: ogni epoca ha le sue caratteristiche e le sue esigenze. Il nostro compito è saper cogliere questi cambiamenti e gestirli con intelligenza. Chi si siede alle nostre tavole cerca qualità e benessere a 360 gradi, in cui non è coinvolto solo il cibo, ma anche l’ambiente, il servizio e l’accoglienza. Il nostro obiettivo è lasciare un ricordo indelebile, qualcosa che il cliente possa portare con sé nel tempo. È fondamentale saper distinguere tra tendenze passeggere e modelli solidi su cui costruire un’identità autentica. Dobbiamo offrire una cucina sana, realizzata con materie prime di assoluta qualità, creare un ambiente accogliente in cui l’ospite si senta a proprio agio, e formare un team capace di entrare in empatia con il cliente, comprendendone i desideri e superandone le aspettative. La vecchia regola del cliente che ha sempre ragione è ancora valida? Certo! Bruno Barbieri e il modello Masterchef che ha trasformato le cucine italiane Quindi per venire incontro ai clienti si possono mettere in atto dei cambiamenti? Sì, dove è possibile, lo facciamo volentieri. Molti ospiti hanno esigenze specifiche, come intolleranze, allergie o preferenze alimentari, che è nostro dovere accogliere e gestire al meglio per offrire a tutti la stessa qualità di esperienza. Il dialogo e il confronto con il cliente sono per noi una preziosa occasione di crescita: ascoltarlo ci aiuta a migliorare e a rendere tutto ancora più personalizzato e unico. Cosa pensa della scelta dello chef dell’Eleven Madison Park di New York che dopo aver proposto per quattro anni un menù puramente vegano è tornato sui suoi passi? La decisione di reintrodurre carne e pesce nel menù, seppur in quantità limitate, suggerisce che in questi quattro anni ci siano state numerose richieste da parte dei clienti. Probabilmente molti erano interessati a un’alimentazione più sostenibile e meno ricca di proteine animali, ma non necessariamente a una cucina completamente priva di questi ingredienti. Personalmente, credo che la chiave stia sempre nell’equilibrio. La nostra cucina ha una forte inclinazione verso frutta e verdura, ma mantiene un giusto apporto di proteine animali. Ovviamente, se un ospite desidera un pasto interamente vegano, siamo felici di prepararlo. Giorgio Locatelli: «I giovani cuochi hanno ragione a voler lavorare per chi li ispira» Quanto è importante il servizio nelle aspettative dei clienti? Il servizio è fondamentale. La sinergia tra sala e cucina rappresenta un elemento chiave per il successo di un ristorante. La sala, al pari della cucina, ha una sua disciplina, una sua professionalità e un ruolo centrale in ciò che offriamo. È il ponte tra quello che accade dietro le quinte e l’ospite, e ha il compito di accompagnarlo lungo tutto il percorso. Saper leggere i tempi, i bisogni, anche i silenzi di chi si ha davanti crea un’atmosfera in cui il cliente si sente compreso, ascoltato e al centro dell’attenzione. In cucina, invece, il rapporto tra chef e brigata è cambiato nel tempo? Sì, il rapporto è cambiato molto, ed è giusto così. Non è come spesso viene rappresentato in televisione: atteggiamenti aggressivi non dovrebbero mai far parte di nessun ambiente lavorativo. Nessuno è disposto a lavorare in un ambiente in cui mancano rispetto e umanità. Il nostro è un lavoro impegnativo, ma deve sempre essere dignitoso. Alla base ci devono essere fiducia reciproca, rispetto dei ruoli e valorizzazione delle competenze. I ragazzi e le ragazze con cui lavoro rappresentano il futuro di questo mestiere. È nostra responsabilità investire nelle loro capacità, accompagnarli nella crescita professionale e trasmettere quei valori fondamentali su cui costruire carriere solide e consapevoli. Turni trasparenti, orari limitati. Lo slalom dei ristoranti per uscire dal burnout Ma lei segue programmi come Masterchef o altri prodotti culturali che parlano di alta cucina, come The Bear o The Menu? No, preferisco leggere un libro. (Chiama due membri della brigata) Voi queste cose le avete viste? Simone: Sì, ma ho smesso di guardarli. C’è un’estremizzazione del nostro mestiere: tutto viene spettacolarizzato, si cerca di creare un’immagine che spesso non corrisponde alla realtà. Far da mangiare è una cosa bella, gratificante. Nei programmi si vedono chef che urlano o tirano padelle, ma, almeno nelle cucine in cui ho lavorato io, non succede. C’è rispetto per tutti. Io sono entrato come stagista e sono sempre stato trattato come una persona, com’è giusto che sia. La formazione di Edoardo Franco: «Masterchef mi ha insegnato a lavorare sotto pressione» Ma come vi spiegate questa brutta fama che viene attribuita alla cucina? Pasquale: Forse perché è un lavoro che oggi ha molta visibilità, è sotto i riflettori. E a qualcuno potrebbe non far piacere che diventi troppo “appetibile” per tutti. Beck: Devono vendere i loro prodotti, e per farlo l’ambiente non può essere solo positivo e va romanzato come tutti gli argomenti che riguardano film, serie tv e programmi televisivi. Prima c’era solo Masterchef, ora ci sono anche film e serie. Personalmente, come già accennato, credo che il lavoro debba essere accogliente, e il personale trattato con rispetto. È il mio obiettivo da sempre, ed è anche il motivo per cui ho persone che lavorano con me da 15 o 20 anni. Nessuno rimane in un posto per così tanto tempo se l’ambiente è come quello mostrato in certi programmi. Certo, ci sono momenti di tensione, giornate più intense di altre, ma il rispetto reciproco non deve mai mancare. La base dev’essere sempre un rapporto sano, umano, fondato sulla fiducia. he Bear - Season 4 -- Pictured: Jeremy Allen White as Carmen 'Carmy' Berzatto. CR: FX[Missing Credit] Tornando allo stato di salute della ristorazione, come state vivendo questo momento economico? L’inflazione si fa sentire, e per noi pesa parecchio. Un ristorante non è solo passione: è anche un’azienda, con la necessità di mantenere un bilancio positivo per potersi sostenere e durare nel tempo. Da un lato c’è l’amore per il mestiere, dall’altro ci sono i numeri, che vanno gestiti con attenzione. Le materie prime hanno subito forti aumenti, e questo incide direttamente sui costi. Lo stesso vale per l’energia: per un periodo è stata alle stelle, anche se ora è tornata su livelli più gestibili. E poi c’è il personale, che rappresenta una voce importante del bilancio. Ma è un investimento necessario: dobbiamo garantire stipendi adeguati, che permettano a chi lavora con noi di condurre una vita dignitosa. Cucine da vero incubo. Sessismo e abusi non risparmiano la ristorazione E come si riassorbono queste differenze? Non si può certo aumentare il prezzo del menù all’infinito. È fondamentale trovare soluzioni per mantenere il prezzo stabile senza rinunciare ai servizi offerti ai clienti, perché sarebbe l’inizio del declino. Noi lavoriamo da sempre su un modello di economia circolare, che consente di ottimizzare le risorse e ridurre gli sprechi, mantenendo alta la qualità senza gravare eccessivamente sui costi. Questo approccio è alla base della nostra sostenibilità, e lo applico da oltre vent’anni. La sala de La Pergola (foto di Antonio Saba)

[Missing Credit] Cosa significa? Quando iniziamo a creare nuovi piatti, analizziamo attentamente dove potrebbero generarsi degli scarti, cercando di evitare che finiscano come rifiuti. Se gestiti correttamente, questi scarti possono invece diventare risorse preziose per altre preparazioni. Lo stesso principio vale per l’energia: durante la ristrutturazione del ristorante abbiamo adottato tecnologie più efficienti per la gestione delle utenze, come l’uso di piani a induzione che consumano meno. Piuttosto che aumentare i prezzi, il nostro obiettivo è lavorare in modo più consapevole e sostenibile, ottimizzando le risorse e riducendo gli sprechi. Lo chef Sami Tamini racconta le sue ricette «intraprendenti» Guardando il settore in generale, ha l’impressione che andare al ristorante sia diventato ormai un piacere per pochi? Assolutamente no. I ristoranti sono tanti e di tutti i livelli, quindi ognuno può scegliere in base alle proprie esigenze e possibilità. Se preferisco andare solo in ristoranti importanti, magari vado meno spesso. È una scelta personale. Detto questo, vedo locali abbastanza pieni, soprattutto qui a Roma. Nei piccoli borghi invece la situazione è un po’ più difficile, ma nel complesso la voglia di mangiare fuori non è diminuita, soprattutto in Italia dove la convivialità è parte del nostro Dna. Il fotografo-chef Giles Duley, anima biforcuta Quanta importanza ha il modo di comunicare il ristorante? Avete cambiato strategia di promozione negli anni, ponendo l’accento anche su questioni come l’economia circolare? Facciamo un lavoro creativo in cui il cambiamento è uno dei principali motori che ci spingono avanti. La comunicazione, quindi, è fondamentale e si evolve continuamente insieme alla nostra offerta. Cerchiamo sempre di adattarci alla realtà che viviamo, proponendo una cucina interessante e aggiornata, ma mantenendo saldi i modelli di riferimento a cui ci ispiriamo da tanti anni. [Missing Caption][Missing Credit]