Sandro Veronesi l’ha definito «il romanzo più importante e più necessario e più bello che sia comparso in questo (quasi) primo quarto di secolo»: l’ultimo romanzo di Ian McEwan, Lezioni (Einaudi) ora siamo costretti a leggerlo sotto l’egida di questa benedizione, con un’aspettativa altissima, pronti a dire: l’ha sparata grossa, i discorsi sulle top ten sono sempre tanto divertenti quanto scemi, pensavo chissà cosa e invece.

Invece no, Lezioni è un libro bellissimo, probabilmente la cosa più bella di McEwan, senz’altro allo stesso livello di Bambini nel tempo e di Espiazione, poco da dire, Ian McEwan è uno dei più grandi, e Lezioni ora sta lì a dimostrare che a quel livello, nel campionato del romanzo borghese, giocano in pochissimi. Un capolavoro, sì, lo è senz’altro; ma, credo, per ragioni diverse (e forse più illecite) da quelle che Veronesi spiega nella sua entusiastica recensione.

E tuttavia forse le comprendono, giacché se Lezioni è un capolavoro, è il capolavoro di un certo genere: capolavoro di un’idea di romanzo, e anche - soprattutto - di una generazione, che in questo libro ha trovato probabilmente il suo ritratto più sintetico e definitivo.

Che cos’è Lezioni, diciamolo subito, per toglierci il pensiero: un cosiddetto lifelong novel, una storia che racconta la vita di un personaggio dall’inizio alla fine, seguendone l’intero percorso, identificando quindi la traiettoria del romanzo con quella della sua esistenza.

Il protagonista di Lezioni è Roland Baines, giovane inglese di belle speranze dalla famiglia turbolenta, il cui evento fondativo - il Trauma iniziale che agisce da detonatore e turning point - è costituito dalle molestie sessuali subite dalla sua insegnante di piano, Miriam Cornell, che dai tredici ai sedici anni, intratterrà con lui una morbosa, claustrofobica e totalizzante relazione erotica. Roland ne uscirà spezzato e confuso, tramutato da Miriam in un essere inquieto, inappagato e perennemente in fuga. Sposa poi Alissa, scrittrice di origini tedesche, con cui mette al mondo il figlio Lawrence.

Roland si ritrova ben presto ad allevare il figlio da solo, perché Alissa abbandonerà entrambi, andando in Germania a iniziare una carriera di grande scrittrice, rinnegando così fino all’ultimo il suo ruolo di moglie e di madre.

L’intera vita di Roland si svolge nella rotazione dolorosa di queste tre donne - la madre, la maestra di piano, la moglie: per gran parte del tempo Roland le insegue o le fugge, sotto il segno di una perenne insoddisfazione, un’acuta sensazione d’incompiutezza. Sullo sfondo, passano i grandi eventi del secondo Novecento: la crisi di Suez, la Baia dei Porci, l’incidente di Chernobyl, la caduta del Muro di Berlino, il governo Tatcher, l’11 Settembre, fino al lockdown del 2020.

Guardare la storia

Dicevo che Lezioni è l’autoritratto di una generazione, e questa abborracciata sinossi dovrebbe già suggerirne l’idea. Roland Baines aspira ad essere l’uomo tipico del secondo Novecento. All’opposto speculare dei suoi analoghi paradigmi ottocenteschi e primonovecenteschi – che aspiravano a diventare come Napoleone o si trasformavano in scarafaggi - Roland Baines non partecipa alla storia e nemmeno la rimuove: piuttosto la guarda scorrere.

In Lezioni si ritrova la convinzione ferrea che gli eventi esterni - quelli che siamo abituati a chiamare Storia con la maiuscola - siano importanti anche lì dove essi vengono quasi sempre ridotti a un sottofondo di conversazioni orecchiate, pagine di giornali, trasmissioni radio.

È ammirevole come Lezioni riesca a parlare di quasi tutti gli eventi fondamentali del secondo Novecento senza che il suo protagonista abbia un ruolo in alcuno di questi. La storia qui è qualcosa che c’è sempre, ed è sempre altrove, al tavolo dei Grandi; se esiste, da qualche parte, un luogo o un linguaggio dove si giocano i destini generazionali, il suo accesso è per qualche ragione sempre interdetto.

Ai personaggi restano le apparentemente più prosaiche questioni dell’amore, del sesso, della malattia, della famiglia, della morte, un pianeta di microazioni che orbita intorno al cuore delle cose ma non lo interpella mai.

Lezioni è pervaso da un senso indescrivibile di frustrazione, di velletareità, di impotenza, ed è forse il sentimento di un bilancio, da parte di una generazione che (si) è tagliata fuori tanto dal gioco della Storia quanto da quello degli Assoluti, condannandosi a una disperata prassi del quotidiano, a una riconfigurazione tutta borghese delle categorie del desiderio.

È una generazione, quella di Roland Baines, che ha edificato il concetto di vita privata, e l’ha eretto a monumento identitario. Lezioni è il grande romanzo della vita privata – intendendo il termine “privata” come un participio passato: una vita amputata di una dimensione, di cui tuttavia continua a sentire una intollerabile nostalgia.

Realizzazione e sacrificio

È una generazione, quella di Roland Baines, fondata su dicotomie che oggi non possono non apparire laceranti. Una nozione della vita come una successione di bivi, una sequela di aut-aut: carriera o famiglia, successo o fallimento, vittoria o sconfitta, arte e vita, passione erotica o amicizia amorosa, in una tabella di marcia dove ogni scelta è una roulette russa di salvezza o infelicità, con poche vie di mezzo e un’implicita indisponibilità a mescolare e contaminare, sovrapporre e fondere e intrecciare.

Scegliere è fatale, perché ogni scelta corrisponde a un’esclusione. In questo senso, forse Lezioni fa specchiare una nell’altra vicenda personale e storia del secolo: nel segno di una smisurata voracità egotica. Del secondo Novecento, Lezioni denuncia la confusione tra desiderio di felicità e smania di affermazione. I grandi personaggi di questo libro – Miriam prima e Alissa poi – sono figure mosse da una determinazione all’autoaffermazione travolgente, che non si ferma davanti a niente e nessuno.

È questa spietatezza esistenziale a renderle tanto indimenticabili quanto ambigue. Al loro egotismo fa da contrappeso il protagonista Roland, che a quella disperata ansia di realizzazione fa corrispondere un’altrettanto disperata sottomissione al sacrificio.

È questa la condanna a cui l’insegnante Miriam consegna Roland per sempre: un desiderio che non può non passare dalla sottomissione come sola alternativa all’euforia del possedere. Foucault scriveva: «Oggi la vita è divenuta un esercizio di potere».

In questo senso, Lezioni non è un romanzo d’amore, ma è senza dubbio un romanzo sull’amore, dove due “modi” di amare si alternano e si contrappongono, mettendo il lettore davanti allo stesso bivio del suo protagonista: essere felici fregandosene degli altri, dando alle pulsioni del Sè una centralità incontrastata? Oppure cercare la gioia facendoli felici, gli altri, consegnando se stessi alle gioie silenziose e invisibili della Cura?

Lezioni è infine, al netto di ogni diatriba generazionale, un romanzo sulla libertà. C’è qualcosa di celestiale e insieme insopportabile nel modo in cui Roland Baines proietta il fallimento dei suoi desideri sui soprusi di queste tre donne, pensando sempre se stesso come un prodotto delle loro azioni, il residuo dei loro massacri.

È questo forse il grande tema segreto del romanzo: gli altri ci influenzano, sempre; e il peggio (o il meglio) è che non sapremo mai fino a che punto la nostra vita non è stata il risultato dei nostri desideri e delle nostre azioni, ma piuttosto dei desideri e delle azioni che abbiamo subìto.

Se, in definitiva, noi non siamo tanto quello che abbiamo fatto quanto piuttosto quello che ci hanno fatto. Lezioni è un manifesto di come la vita possa essere in ultima istanza un campo dove si esercita la forza o la si sopporta. Siamo oggi quello che eravamo destinati ad essere? O qualcuno, qualcosa ci ha deviati per sempre? Lezioni, anche dopo averlo chiuso, prolunga l’eco di questa domanda. Non lo sapremo mai: la vita ha questo mistero insolubile, una soluzione chimica da cui non è più possibile risalire ai singoli elementi.  

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