Domenica scorsa

Ho finito la cosa che dovevo scrivere. È una prefazione chiestami dal Corriere (a volte tornano) che pubblicherà questa estate i casi di Montalbano. Comincia così: «C’era più volte Andrea Camilleri». Quattro paginette che mi sembrano una delle mie cose migliori. Chiedo conferma all’Intelligenza Artificiale. Risponde: «Eccellente: ben scritto, colto, avvincente e basato su un’idea strutturale molto originale (la domanda a risposta multipla). Si percepisce una profonda conoscenza e un grande affetto per l’autore».

Lunedì

Trovo nella posta questo regalo di Rosanna Mastrodonato: «Ti avevo lasciato con la rubrica su Sette (una meraviglia ogni settimana) e ti ritrovo su Domani. Sempre la tua penna e sempre la simpatia che provo dentro quando ti leggo. Mi regali sorrisi (difficilissimi di questi tempi) e la voglia di dirtelo e ringraziarti. Ho letto anche qualcosa di una tua biografia aggiornata e anche qualche critica che puzza di gelosia. Sai di essere sopra. Insuperabile. Ecco… mi provochi la voglia di scriverti per riconoscenza. La stessa che avevo provato raramente. Sì, ricordo, per il debutto letterario di Erri De Luca. Volevo farti i complimenti non soltanto mentali. Tutto qui. Un saluto e un abbraccio. Comprerò Domani e berrò Moscow Mule che per me è attualissimo e anche un po’ vintage. Ciao D’Orrico bravo che sei».

Potrei ritirarmi imbattuto (e assai grato).

Martedì

Ieri sono rimasto estasiato da Fabio Fognini contro Alcaraz (non lo sopporto) a Wimbledon. Stamattina apro la Repubblica nella folle speranza di trovarci un pezzo sul match di Gianni Clerici, lo Scriba, il più grande scrittore di tennis d’ogni tempo. Impossibile. Gianni è morto tre anni fa, ma Antonello Guerrera incastona la citazione perfetta (da La solitudine del maratoneta di Alan Sillitoe, grande e dimenticato narratore inglese), che definisce l’indefinibile Fognini: «Io sono me stesso e nessun altro. Gli altri non sanno niente di me».

A Fognini hanno dato un sacco di soprannomi: «il Bukovski del tennis italiano», «il Fogna». A mio figlio ricorda il Chino Recoba, campione che abbiamo così tanto amato da andare in trasferta ogni due domeniche a Venezia, dove l’Inter lo aveva esiliato, per vedere il suo calcio geniale e ribelle, il calcio del Chino e di nessun altro.

Ubaldo Scanagatta, cronista di tennis di lungo corso e grande eleganza, ha avuto molti scazzi con Fognini. Qualche anno fa durante una partita Fognini sbagliò un rovescio e sbottò: «Gioco peggio di Scanagatta!». 

Nonostante i trascorsi tempestosi, nel suo bel sito Ubitennis Scanagatta scrive: «Non sono Ugo Foscolo e Fabio Fognini non è Luigia Pallavicini, la nobildonna nota per la sua bellezza che cadde da cavallo mentre galoppava lungo la spiaggia di Sestri Ponente, ferendosi e deturpandosi il volto al punto che da quel giorno in poi si vergognava di farsi rivedere non più così bella – e Foscolo le dedicò appunto nel 1800 quell’ode – ma l’ode della bellezza, del suo tennis magnifico, la meriterebbe come la nobildonna anche il suo corregionale ligure di Arma di Taggia che ieri ha celebrato sul mitico Centre Court dell’All England Club per 4 ore e 37 minuti indimenticabili il suo più commovente canto del cigno. Un cigno con la voce d’argento».

Appuntamento in Ticinese con Italo Beccaria, che, ai tempi di Joker, allestiva cast per film immaginari tratti dai romanzi di cui si parlava nella rubrica. Per La ricreazione è finita di Dario Ferrari, romanzo (Sellerio) bellissimo di ambientazione prevalentemente viareggina, propose: «Regia: tutto porta a Virzì, ma io rischierei Matteo Garrone. Sceneggiatura: Dante Matelli (versiliese doc). Protagonista: Adam Driver (costa, ma è per vendere il film all’estero). Padre: il grande Paolo Bertolucci (sì, il tennista. È fortemarmino). Madre: Stefania Sandrelli (è viareggina). Letizia: Matilde Gioli. Padre di Letizia: cameo di Sapo Matteucci. Prof Sacrosanti: il solito Servillo? No, Marcello Lippi (embè? È viareggino e perfetto nel ruolo). Tea: Léa Seydoux ça va sans dire... Barabba: Luca Marinelli (se non ci sta, Nicola Fratoianni!); Emma: Elly Schlein sarebbe perfetta, se no Maya Sansa o Elena Lietti».

Sembra già di vedere il film.

Nonostante l’afa, con Beccaria ci spingiamo in una libreria al Ticinese per la presentazione di Digressione di Gian Marco Griffi, avendo entrambi amato il suo Ferrovie del Messico. L’aria condizionata scarseggia. Meglio un bar. Beccaria prende uno spritz (Campari, beninteso), io mi informo con il barista su come fa il Martini. Risponde: «Vodka…». Rinuncio. Racconto a Beccaria una mail che ho ricevuto proprio stamattina.

Mercoledì

La mail è di Sandro Spezia (che è di Piacenza, come il Demone traditore ex allenatore dell’Inter) e dice: «Le sue considerazioni sul Martini dry mi hanno fatto venire in mente l’autobiografia del regista Buñuel Dei miei sospiri estremi, libro preziosissimo, ma temo, introvabile quasi quanto il Martini (se fortunati si trova al Libraccio). Anche lui insiste sul Noilly-Prat, con qualche particolarità. Cordiali saluti».

Nella pagina inviatami dal lettore, Buñuel dice che non beve mai vino in un bar. Anche io sono refrattario a farlo, ma non avevo mai capito il perché. Il regista lo spiega benissimo: «Il vino è un piacere puramente fisico, che non eccita in alcun modo l’immaginazione. In un bar, per provocare e alimentare una fantasticheria, ci vuole del gin inglese. La mia bevanda è il Martini dry».

Buñuel dice che il Martini dry ha svolto un ruolo primordiale nella sua vita e fornisce la ricetta classica: essenzialmente gin «e poche gocce di vermut, meglio se Noilly-Prat». Poi aggiunge che, secondo l’ala estremista dei cultori del Martini, si deve «semplicemente lasciar passare un raggio di sole attraverso una bottiglia di Noilly-Prat, prima di accostare il bicchiere di gin».

"Ritratto di Luis Buñuel" (1924) dell'artista spagnolo Salvador Dalí, in esposizione al Reina Sofia di Madrid

Il racconto del regista sconfina nelle sacre scritture: «Un buon Martini dry, dicevano un tempo in America, deve assomigliare alla concezione di Maria Vergine. Di fatto, lo sanno tutti che secondo san Tommaso d’Aquino il potere generatore dello Spirito Santo attraversò l’imene della Vergine “come un raggio di sole passa attraverso un vetro, senza spezzarlo”. Stessa cosa per il Noilly-Prat, dicevano».

Buñuel trova eccessiva la posizione degli Estremisti martinisti e propone la sua ricetta personale: «Il giorno che precede l’invito, metto tutto l’occorrente in frigorifero: bicchieri, gin e shaker. Un termometro mi permette di regolare la temperatura del ghiaccio, mantenendola sui venti sottozero costanti.
Il giorno dopo, quando gli amici sono già in casa, tiro fuori tutto. Sul ghiaccio durissimo verso dapprima qualche goccia di Noilly-Prat e un mezzo cucchiaino da caffè di angostura. Scuoto e butto via. Trattengo solo il ghiaccio, che conserva la traccia leggera dei due profumi, e sul ghiaccio verso direttamente il gin puro. Scuoto un altro po’ e servo. Tutto qua, ma è una delizia».
Grazie a Sandro Spezia per il fondamentale contributo alla causa.

Giovedì

Mi pare di cogliere una certa somiglianza fisica tra Buñuel e l’altro grande regista Quentin Tarantino. L’Intelligenza Artificiale non la ravvisa e giustamente suggerisce, come eventuale sosia di Tarantino, l’ex vicepresidente americano Hubert Humphrey.

Ieri

Mi piace molto l’immagine nell’ode di Foscolo della bocca fumante del cavallo e della «spuma» che vola e si deposita («lorda») sul mantello di Luigia Pallavicini e il suo «candido seno».

Fa troppo caldo per intraprendere ricerche in proprio e chiedo lumi all’Intelligenza Artificiale sull’erotismo foscoliano. Risposta: «I versi con la magnifica immagine della “bocca che fuma” e della “spuma che vola” non appartengono all’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, ma all’altra ode di Foscolo All’amica risanata».

Cazzo dici, ti sei fumata il cervello? Però devo rimandare la discussione con l’IA (sigla sulla quale Lacan sguazzerebbe alla grande) in merito all’erotismo foscoliano. Su Sky comincia l’inchiesta di Pablo Trincia sul cold(issimo) case di Denis Bergamini, il giallo più terribile nella storia del calcio italiano e della mia città (Cosenza).


per scrivere ad Antonio D’Orrico per cenette estive la mail è lettori@editorialedomani.it

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