Nessuno degli eventi accaduti a Washington DC era inaspettato. Si preparavano da tempo. Nella sua biografia, A Promised Land (Una terra promessa), Barack Obama efficacemente identifica i conflitti in atto. I dettagli della politica di Trump possono essere complicati, ma il contesto storico di base è, a mio avviso, semplice. Il declino tira fuori il peggio dalle persone.

Sono nato proprio verso la fine della Seconda guerra mondiale. Alla fine di quella guerra gli Stati Uniti erano la potenza mondiale dominante, militarmente ed economicamente. Gran parte dell’Europa era in rovina e in Cina era in corso una guerra civile. Quando dopo il college andai nell’Europa occidentale, negli anni Sessanta, come tanti giovani americani usavo a mo’ di Bibbia la guida di viaggio Europe on five dollars a day (L’Europa a cinque dollari al giorno). L’Europa era relativamente poco costosa per gli americani. Quando insegnai per la prima volta in Cina, circa 25 anni fa, il professore che mi ospitava, come la maggior parte dei cinesi aveva una bicicletta.

Fino al 2020 la situazione dell’America e di questi altri paesi è molto cambiata. Il dollaro è molto più debole, l’Europa prospera e molti dei beni di consumo che si vendono in Europa sono importati dalla Cina. Quando tornai in Cina il professore e la moglie avevano un’auto e c’erano enormi ingorghi di traffico. Negli Stati Uniti c’è ancora una considerevole prosperità selettiva. E grazie a internet ci sono nuove grandi fortune americane. Ma in termini relativi questo paese ha subito un calo drastico. E grandi aree, non solo nella rust belt del Midwest, ma anche nelle città più ricche, si sono disperatamente impoverite. Basta camminare per New York o San Francisco per vedere i senzatetto. Oppure visitare Cleveland, dove ho insegnato per alcuni anni, o Pittsburgh, dove vivo, per trovare isole di prosperità e allo stesso tempo una grande povertà. Per decenni gli intellettuali e i politici americani hanno discusso di questi problemi. Ma è giusto dire che non sono state trovate soluzioni efficaci. È difficile governare in una situazione di declino di lungo periodo.

Quando Trump è stato eletto si è discusso molto se non fosse un protofascista. Mi è capitato di leggere la storia della Repubblica di Weimar e alcuni dei parallelismi con la Germania fanno davvero paura. Quando le persone sono impaurite è fin troppo probabile che sostengano politiche irrazionali. Osservazioni simili si applicano, credo, alla rapida ascesa al potere di Mussolini in Italia. Dopo la Grande guerra la nascente democrazia italiana fu fin troppo facilmente sopraffatta dal fascismo. Le analogie tra la politica extra-legale di Mussolini e Trump sono evidenti.

Come abbiamo visto, però, gli Stati Uniti non sono la Germania dell’èra Weimar, né l’Italia degli anni Venti. Non ancora. Le nostre istituzioni liberali hanno ancora un po’ di forza. E anche i Repubblicani non sono disposti a sostenere apertamente un colpo di stato. Ma nella misura in cui i problemi principali sono in gran parte determinati da questioni economiche è difficile essere ottimisti. L’America ha bisogno di un sistema fiscale efficace per sostenere le scuole pubbliche, il sistema sanitario pubblico, le strade e gli aeroporti. Le nostre disuguaglianze estreme, che sono moralmente inammissibili, devono essere abolite. Questo paese ha bisogno di ridurre o eliminare i suoi sciocchi e fallimentari interventi militari internazionali, che sono enormemente costosi, e trovare modi per fare la pace con il mondo islamico. Deve stabilire la giustizia razziale e di genere. Si tratta di compiti enormi.

Ciò che pose fine alla Grande depressione degli anni Trenta fu il nostro ingresso nella guerra mondiale. Per quanto abile leader, Franklin Delano Roosevelt, che aveva un mandato dalle elezioni, ebbe grandissime difficoltà a rispondere a quella situazione. La posizione di Joe Biden, che è sicuramente più debole, è ovviamente per molti versi più problematica. L’America è un paese estremamente diviso. Non credo che questo cambierà.

Il mondo dell’arte americano per alcuni decenni è stato un luogo di sinistra. Per questo motivo, in generale, le nostre battaglie politiche, che sono reali, sono solo lontanamente legate alle preoccupazioni della politica nazionale americana. E quindi è difficile sapere cosa dire in modo costruttivo su questi problemi. Molti anni fa ho incontrato un noto mercante d’arte che mi ha rivelato il suo segreto: era un repubblicano (liberale). Se un artista o curatore è repubblicano oggi probabilmente non lo dirà a nessuno. Il mondo di tutti i giorni dei tanti colleghi americani repubblicani è troppo distante perché io possa comprenderlo o descriverlo facilmente. E credo che questo sia spaventoso.

David Carrier è un filosofo e critico d’arte di Pittsburgh

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