Quando ha avuto sentore che la pandemia di Covid-19 fosse tra i più grandi disastri con cui l’umanità si trovava a fare i conti, l’artista Sean Scully ha avviato due nuovi cicli intitolati Dark Windows e Black Square. Il primo è composto da cinque lavori, concepiti come un insieme indivisibile, che hanno un grande rettangolo nero al centro, leggermente spostato verso il basso. Il secondo, al momento composto da sei dipinti, è caratterizzato invece da un quadrato nero, sempre al centro.

Per la realizzazione di ognuno di questi nuovi lavori Scully si serve di due telai di diverse dimensioni, spessi cinque centimetri, su cui è incollata una lastra di alluminio. Il telaio più grande ha un quadrato ritagliato al centro in cui si inserisce il secondo. Questo tipo di inserto non è nuovo nel suo lavoro, ma non è mai stato così marcato prima.

I suoi precedenti inserti di tele all’interno di altre tele creavano infatti dialoghi senza conflitto tra le parti. A vederlo prima che il lavoro sia completato, il vuoto ritagliato al centro del pannello più grande si percepisce come una di finestra aperta. Su questo pannello di alluminio, dipinto da Scully con le larghe fasce orizzontali che caratterizzano i quadri precedenti, i Landline, va poi a incastrarsi il pannello più piccolo, ma solo dopo essere stato interamente ricoperto di nero.

Il primo dipinto del ciclo Black Square è presente nella grande retrospettiva Sean Scully: Passenger che il Museum of Fine Arts, Hungarian National Gallery di Budapest gli dedica al momento (fino al 31 gennaio 2021). Gli altri dipinti dello stesso ciclo non sono ancora stati esposti.

«Continuerò a dipingere quadri della serie Black Square», dice Scully, «ho la sensazione che ci sia ancora molto da fare. Ne ho appena dipinto un altro, al momento il mio preferito. Si intitola Black Square Blue. Il mio amico Kelly Grovier lo ha paragonato alla tragica sorte di un’aquila quasi estinta. È blu nerastro e bianco sporco. Lui ha pensato che il dipinto fosse strettamente collegato con l’estinzione in generale».

La tua è sempre stata un’arte umanista, romantica e fiduciosa nella capacità degli uomini di relazionarsi tra loro in modo costruttivo. Questo si percepisce soprattutto nei lavori in cui le tele si inseriscono l’una dentro l’altra, legandosi tra loro e divenendo un organismo unico. Inserire un grande rettangolo o un quadrato nero nel dipinto, come hai fatto adesso, implica una interruzione brusca in questo sistema di relazioni?

La pandemia mette oggi in crisi il nostro sistema di relazioni. Paradossalmente è proprio avvicinarsi troppo agli altri che ci si mette a rischio. I nuovi lavori mettono in luce questo aspetto del vivere contemporaneo?

I miei quadri con inserti, come dici, mi hanno sempre messo in relazione con la tradizione umanistica. Attraverso di essi offro un dialogo tra i modi possibili di rappresentare un rettangolo. È come se fossero finestre che offrono una veduta diversa. Ho realizzato i Dark Windows e i Black Square in un periodo in cui considero il nostro futuro sotto attacco. C’è innanzi tutto l’ascesa della “destra”, che a mio avviso porta al fascismo. In secondo luogo, c’è il coronavirus, che congela il nostro futuro.

Terzo, stiamo cercando di sbarazzarci del peggior presidente della storia dell’America, che sta favorendo i conflitti, l’intolleranza e l’avidità. Quarto, l’ambiente è in pericolo. Così, invece di offrire attraverso i miei dipinti un’altra visione o un’alternativa o una forma di finestra complementare offro una “non visione”. È difficile in questo momento vedere la strada che percorreremo. Quindi, come Malevich, dipingo il quadrato nero e lo inserisco nel mezzo di un landline painting, dipinti che esprimono amore per il paesaggio e il mondo naturale.

Guardando il tuo quadrato nero stiamo contemplando qualcosa che non è virtuale? Qualcosa che ha creato un varco e si sta insinuando dentro il nostro mondo per sconvolgere le nostre sicurezze?

Non abbiamo certezze, non ne abbiamo mai avute. Ripenso spesso alle parole di Ernest Hemingway “il mondo è qualcosa per cui vale la pena battersi”. Ed è proprio così. Ciò che abbiamo è la lotta con noi stessi.

La pittura astratta è per sua natura criptica, fa più fatica a mostrare quello che il nostro comune amico Arthur Danto chiama “significato incarnato”. Molti artisti a New York stanno sentendo l’esigenza di manifestare a chiare lettere la loro avversione per Trump. Penso per esempio a Eric Fischl, che posta su Instagram dei ritratti di Trump raffigurato come un clown. In momenti come questo, senti in qualche modo una limitazione il fatto che, in quanto pittore astratto, non puoi essere esplicito come lo può esserlo un pittore figurativo?

Le definizioni rigide non mi interessano. Quando dipingi quadri astratti non è come se avessi aderito a una setta, come i Templari, con severe regole d’onore e di comportamento. Sono una persona libera. Ho fatto tabelloni per Obama e Biden. Ho realizzato Gun paintings tormentando la bandiera americana per protesta contro la violenza delle armi. È stata la definizione dell’arte attraverso rigide categorie puritane a far cadere in ginocchio New York nel 1980. Perché porta a un vicolo cieco.

David Carrier, scrivendo dei tuoi Black Square, ha suggerito che meritano un confronto con French-Window at Collioure (1914) di Henri Matisse, un dipinto in cui la portafinestra raffigurata non si apre più sui paesaggi sfavillanti di luce e colore delle opere degli anni precedenti, ma su una notte nera. Matisse lo dipinse nel 1914 durante la fase iniziale del coinvolgimento della Francia nella Prima guerra mondiale.

Il suo stato d’animo non doveva certo essere sereno. Il nero utilizzato da Matisse mantiene una certa trasparenza, mentre il tuo no. Mi chiedo se questa comparazione ha un senso solo sul piano emozionale o se vedi relazioni anche sul piano formale.

Il paragone di Carrier è molto interessante perché tutti i quadri che Matisse ha dipinto durante la Prima guerra mondiale veicolano un’ansia e un senso di colpa che si manifestano attraverso superfici pesanti e luci contenute. Quando si osservano questi inquieti capolavori, la luce che offre speranza, intesa come metafora, acquisisce senso. Quando siamo in guerra la luce esce dal nostro campo visivo.

Conosci bene sia la situazione artistica e culturale americana sia quella europea. C’è un’opera del 2008 dei cinesi Sun Yaun e Peng Yu, Angel, che rappresenta in chiave iperrealistica un vecchio angelo con la pelle raggrinzita e capelli bianchi che si è sfracellato al suolo.

Il loro angelo, hanno spiegato, è come un uccello troppo vecchio per volare e lo hanno paragonato all’Europa di oggi. Cosa pensi di una visione del genere che coinvolge l’arte europea nel suo insieme? Vedi anche tu l’Europa così vecchia e senza speranza?

Non sono per niente d’accordo con l’idea che l’Europa sia troppo vecchia. Penso che l’Europa sia il posto migliore al mondo in cui vivere. In particolare nel Nord Europa ci sono alcune tra le migliori società realizzate fino a ora nella nostra Storia tumultuosa. L’interazione di capitalismo, socialismo, libertà personale e attenzione per il futuro del nostro ambiente è esemplificata molto bene dalla Svezia e dalla Danimarca. La scultura cui ti riferisci si inserisce in un trend che va verso la cartoon sculpture, esemplificato al meglio dal lavoro di Maurizio Cattelan. A ogni modo, l’angelo, logorato o meno che sia, ha ancora bisogno dell’Europa come riferimento.

La maggior parte della grande arte che viene realizzata oggi, ed è molta, è prima di tutto europea o, altrimenti, americana. È stata l’arte europea, con la sua versatile combinazione di diverse modalità di espressione a salvare l’arte negli anni ottanta e darle la possibilità di andare avanti. Il suo vantaggio risiede, di fatto, nella sua storia. La Cina, che in passato è già stata la più grande economia del mondo, potrebbe anche diventarlo di nuovo, ma questo non la rende saggia. La Cina butta nel mondo più spazzatura di qualsiasi altro paese. Hanno assicurato che nel 2060 sarà un Paese a emissione zero. Speriamo che sia così, perché l’acqua che inquinano è l’acqua che alla fine beviamo. Ci siamo dentro tutti.

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