Ci sono medaglie che sono come lenti attraverso cui guardare la società e metterne a fuoco le contraddizioni. I podi conquistati dalle atlete della ginnastica artistica ai recenti campionati europei, appaiono come dei trionfi quieti, straordinari e silenziosi al tempo stesso: un paradosso che sa di «less is more», del meno che diventa più.

Sono risultati il cui valore, frutto di un lavoro lungo, talentuoso, durissimo e generoso, non è misurabile secondo i criteri del consumismo e nemmeno è comprensibile per la cultura contemporanea dell’usa e getta.

Perciò, il fatto che l’apoteosi delle campionesse azzurre alla manifestazione continentale appena conclusa, sia stata snobbata dai mass media e dalla rete dell’informazione pubblica, è un valore aggiunto, quasi un complimento. Le esibizioni vincenti, consumate in una sorta di raccoglimento tra le protagoniste e il loro pubblico appassionato, fissano i punti di quello che potrebbe essere considerato il manifesto, declinato in chiave sportiva, della decrescita felice.

Un manifesto che attraverso le ginnaste mette in luce l’essenziale dell’agonismo e lo libera dalla sua caricatura, capricciosa quanto insostenibile, che vorrebbe confondere la spettacolarità dello sport con lo sport-spettacolo. E lo fa segnando la distanza che separa i criteri che governano il mercato dello sport-spettacolo da quelli che definiscono la spettacolarità dello sport agonistico (chiamiamolo, per praticità, solo Sport con la “S” maiuscola).

Allora, prima che gli imminenti Giochi di Parigi muovano il vorace appetito dei potenti mezzi di comunicazione verso un’indigestione di Sport con la “S”, per poi rigurgitarlo non appena lo scenario a 5 cerchi si sarà spento, prepariamoci ad andare oltre. Proviamo ad allenarci nella ricerca dell’essenziale decodificando il silenzio assordante che ha avvolto le gloriose giornate europee della ginnastica artistica femminile azzurra.

Li chiamano minori

La ginnastica non è uno sport minore. Non esistono sport minori o maggiori, sport da femmine o da maschi. Esiste lo “S”port la cui essenza coincide con la bellezza della ricerca continua del limite e c’è lo sport-spettacolo, che ha messo in catena di produzione la performance: da una parte abbiamo un’esperienza di crescita dall’altra abbiamo una merce da vendere.

La ginnastica sta nella prima categoria come tutte le specialità (la maggior parte) che vedono nelle Olimpiadi il massimo che l’esperienza sportiva possa offrire. Ha un grande seguito di pubblico per la sua storia (fa parte del programma olimpico dal 1928) e perché, insieme al tennis, è la disciplina agonistica individuale più praticata dalle donne italiane.

A Rimini il palasport ha fatto registrare il tutto esaurito ma per chi non c’era o non sapeva, intercettare la portata di quei risultati è stato difficile. Tuttavia, ciò che non è stato trasmesso dai velocissimi canali ufficiali (sintonizzati sulle logiche di mercato) è stato diffuso, via web, dalla sensibilità, in aumento, di chi non tollera le discriminazioni, nemmeno se perpetrate in ambito sportivo.

Gli ori di Manila Esposito

Manila Esposito, 17 anni e mezzo, ha compiuto due imprese storiche. Nessuna italiana prima di lei aveva mai vinto il titolo europeo nella specialità della trave e nessuna prima di lei era mai riuscita a conquistare quattro ori nella stessa edizione: la sua serie vincente include infatti anche il corpo libero e il concorso generale (all around) sia individuale che a squadre. Verrebbe da chiedersi se un atleta, suo equivalente maschio, avrebbe avuto un trattamento mediatico diverso.

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La domanda è pertinente, perché il sistema di informazione non solo predilige lo sport-spettacolo ma ha pure una certa preferenza per i soggetti di genere maschile. La regola di quel sistema affonda le radici nel patriarcato e nel capitalismo: la sua eccezione è il tipo di donna che ha caratteristiche tali per cui può o vuole risultare mercificabile. Alla domanda legittima verrebbe dunque da rispondere con un “si” senza esitazioni, dato che il GMMP (Global Media Monitoring Project) il più ampio studio a livello mondiale sulla rappresentazione delle donne nell’informazione mediatica (nell’ultimo report risalente al 2020) dimostrava che solo il 4% delle notizie sportive ha il focus sulle donne.

Da allora non è cambiato un granché visto che Alex Morgan, Sue Bird, Simone Manuel e Chloe Kim, quattro campionesse dello sport americano (rispettivamente nel calcio, basket, nuoto e snowboard) hanno voluto lanciare Togethxr una nuova piattaforma online per dare spazio alle storie di sport femminile che i media tradizionali non raccontano o relegano in secondo piano.

In attesa che la filosofia less is more sovverta gerarchie e priorità, dobbiamo esercitarci nel separare il valore della prestazione sportiva dalla sua esposizione mediatica. Un esercizio di equilibrismo tra contraddizioni che metaforicamente, Manila Esposito, ci insegna a domare con la disinvoltura con cui lei ha saputo dominare i 10 centimetri di larghezza della trave e con la sicurezza con cui ha inanellato acrobazie sul tappeto del corpo libero.

Manila ci mostra che il tutto si può fare col sorriso sincero che lei rivolge a sé stessa (e non alla giuria) perché la tensione, dice, è una cattiva compagna di gara: bisogna togliere il superfluo, eliminare l’ansia per volare leggeri. E ci dimostra che si può fare rompendo la gabbia del conformismo che vuole le ginnaste filiformi, per imporre la sua originalità di atleta potente, orgogliosa di non aver mai avuto problemi alimentari.

La squadra

«Oggi mi merito un cheescake» dice, a fatiche concluse, confermandoci che anche la severità verso sé stessi va gestita con equilibrio: il peso del corpo, tolto per guardare alle forme (estetiche) piuttosto che alla forma (atletica) è quel meno che non si trasforma in più. 

Insieme a Manila, sul gradino più alto del podio per il concorso a squadre, è salita Alice D’Amato, a sua volta capace di scrivere un pezzo di storia vincendo (per la seconda volta in carriera) l’oro individuale nelle parallele asimmetriche. Oro a cui ha aggiunto l’argento nell’all-around individuale.

Risultati straordinari, difficili e sofferti perché in tribuna, a osservarla, c’era la gemella Asia, anche lei componente della squadra ma infortunatasi al ginocchio durante la prima gara. Non deve essere stato facile per Alice, lacerata tra gioia per i propri successi e sofferenza per la sorella. Perciò la squadra delle meraviglie ha dedicato ad Asia il successo, perché meno dolore per una compagna è più gioia per tutte. 

Squadra completata da Angela Andreoli (medaglia di bronzo al corpo libero) ed Elisa Iorio (argento alle parallele asimmetriche) che ha chiuso la rassegna europea con 5 ori, sui 6 in palio, 2 argenti e 1 bronzo, portando l’Italia in cima alla classifica del medagliere. Alle prossime Olimpiadi forse la squadra sarà diversa, dicono le stesse protagoniste, perché la concorrenza è altissima e la ginnastica non garantisce il posto a nessuno, nemmeno se prima hai vinto tutto (come ha dimostrato l’assenza a Rimini della signora della ginnastica artistica italiana, Vanessa Ferrari, la più titolata di sempre).

Perché hai voglia a fare programmi quando basta un attimo di distrazione o l’ennesimo urto che tendini e articolazioni non hanno saputo ammortizzare, per segnare il destino e la carriera. Tanto lavoro a fronte di nessuna certezza, essenzialità e complessità, impegno e leggerezza, eleganza e sudore, sintesi di contrasti per dirci che gli effetti collaterali della società del consumismo si guariscono anche attraverso la purezza della ginnastica: uno dei tanti Sport che fa notizia perché non fa notizia. 

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