Nella storia della tv italiana Maurizio Costanzo ha rappresentato il meglio e il peggio. Il meglio è stata la capacità di fare la televisione con la forza della radio, che sta nella parola, e nel giocare il sottotono, che spalanca il cuore e l’attenzione anche al pubblico più arcigno.

Il talk show

Di fatto nasce con lui a metà degli anni Settanta il talk show italiano che mischia la tragedia alle risate. Iniziò nella versione da camera vista nel 1976 a Bontà loro, un format ripreso dal teatro dove era stato avvistato da Angelo Guglielmi. Uno studio microscopico, un paio di poltrone, e qualche vip felice d’apparire.

Proseguì negli anni successivi con la scena che mano a mano s’allargava, dapprima nella stessa Rai e poi in casa Fininvest s’installò dopo aver tentato la strada del Tg su Prima rete indipendente, l’esperimento televisivo del Gruppo Rizzoli (ormai solo di nome) scarnificato dalle beghe piduistiche.

La Loggia

Foto LaPresse Torino/Vincenzo Coraggio

Perché un uomo con l’enorme talento e la solida cultura di Costanzo s’è impastato con Gelli al punto di iscriversi alla loggia trainandovi lui stesso (col numero di registro immediatamente successivo) l’adepto Silvio Berlusconi?

Certo non è stato l’unico in quel periodo che abbia cercato di proteggere il proprio dono di natura, l’intelletto, col ricorso a una solidarietà di confraternita. Né esistevano, né esistono tuttora, solo le colleganze giurate con indosso il grembiulino. Sarà per questo che il pubblico italiano di quella vicenda a malapena se n’è accorto e che nel giro di pochi mesi Maurizio era bell’e che risorto, in salute espressiva più di prima, con il contorno, sul palco e nella platea del Teatro Parioli, di ogni immaginabile caravanserraglio di praticanti della visibilità provenienti dai fronti rivali di destra e di sinistra.

Il Maurizio Costanzo Show

Foto Stefano Colarieti / LaPresse

Lì, al Maurizio Costanzo Show, s’è espressa al pieno la mano dell’autore che sapeva dare spazio a tutto e al suo contrario e a passioni tanto fiammeggianti e transitorie. Come un pastore che conosce bene le pecore che accorrono all’ovile e riesce a farle esprimere al punto che ad alcune, dagli e dagli, è cresciuta la criniera del leone.

Sta di fatto che seguendo il filo della sua navigazione nel conscio e nell’inconscio del paese è emerso chiaro, o meglio oggi tale finalmente appare, che la televisione a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta stava accogliendo, trasformato in pubblico, quel popolo che la politica d’allora già perdeva.

Quanto bastava perché un generone grande e minimo adottasse quel Maurizio come il guru del mondo nuovo e misterioso della pop-comunicazione, dove s’allentava la presa un tempo radicata nella condivisione di orizzonti sociali e, più brutalmente, nei legami di clientela.  

Costanzo, in buona sostanza, ha accompagnato la vicenda di questa politica smarrita, in parte rifacendole il trucco in parte spingendola sull’orlo della fossa.

Le fiamme anti mafia

LaPreses Colarieti

Questo era il Costanzo cui guardavamo alla fine degli Ottanta, ammirandone l’arte, ma non riuscendo ad apprezzarne le relazioni con cui la garantiva. Per questo nel 1991 ci colpi che desse alle fiamme nel suo studio (era la serata a tema antimafia gestita una tantum, nel mezzo delle stragi, insieme con Santoro) la maglietta che per la forza espressiva delle fiamme lo metteva in qualche modo a rischio di vendetta. Fu tutta gloria o calcolo per tenere il contatto col paese che su mafie e corruzione aveva dilagato fuori dai recinti avendo scelto come capro espiatorio la politica?

Col distacco consentito dai trent’anni trascorsi nel frattempo pensiamo che gloria e calcolo fossero mischiati e che forse il merito maggiore di Costanzo sia stato di correre sì un rischio, ma per conservare la fortezza del rapporto con il pubblico. Un atto di lucidità ben ponderata, preparato da un lungo, reciproco e personale annusamento con Santoro, l’unico che all’epoca gli contendesse, usando l’approccio epico-eroico anzi che l’ironia, il favore e il giudizio dell’audience nazionale.

La super agenzia dello spettacolo

I trent’anni successivi sono stati, per quanto ne abbiamo colto, quelli del Costanzo divenuto con la propria società di produzione la colonna portante (oltre ad Antonio Ricci) delle fortune del Biscione, evolvendo verso il ruolo di snodo necessario da parte di qualsiasi artista aspirasse a lavorare anche al di là di quelle spire.

Quindi una fucina e una catapulta verso il successo o, come minimo, verso ruoli appaganti in una televisione che batteva in ogni parte, e che tuttora batte, la moneta con Maurizio in filigrana.

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