Il dilemma dell’altruismo è da sempre un problema centrale nella teoria dell’evoluzione: in molte specie i comportamenti altruistici spingono alcuni individui ad assumersi grandi rischi e a compiere dei sacrifici che possono comportare anche la morte dell’esemplare.

La domanda che molti biologi evoluzionisti si sono posti è quindi: se i comportamenti altruistici hanno una base di tipo genetico e i portatori di questi comportamenti muoiono o non si riproducono, come fanno a trasmettere i geni alla generazione successiva? In altre parole come fa l’altruismo a evolvere?

A questo tema è dedicata la mostra Il dilemma dell’altruismo inaugurata il 5 novembre al Muse di Trento. L’esposizione durerà fino al 3 aprile ed è curata da Daniela Gentile e Gabriele Raimondi con illustrazioni e progetto grafico di Gaia Cairo, contiene anche delle interviste video a Telmo Pievani, Giorgio Vallortigara e Elisa Demuru. Ne abbiamo parlato con Daniela Gentile.

Da dove nasce il dilemma dell’altruismo nel mondo animale?

Fu studiando i sistemi sociali degli insetti imenotteri (api, vespe e formiche) che Charles Darwin si trovò di fronte a questo “dilemma”, che rischiava di compromettere le basi stesse della sua nascente teoria dell’evoluzione. La presenza fra gli imenotteri di intere caste altruiste che rinunciano ad avere una prole propria dedicandosi al bene comune o che sacrificano la propria vita per difendere la colonia, si scontrava infatti con il principio della selezione naturale del più adatto, se per “più adatto” intendiamo l’individuo con il maggior successo riproduttivo. L’approccio multidisciplinare e multifattoriale della moderna biologia evoluzionistica ha fatto luce su questo dilemma, anche se molti aspetti rimangono ancora misteriosi.

Cosa sono i neutri nelle comunità di insetti?

Negli insetti cosiddetti “eusociali” come api, vespe, formiche o termiti, le comunità sono organizzate in caste. Gli individui appartenenti a differenti caste spesso si presentano in forme diverse. L’una fertile: la regina o il re e l’altra sterile: gli individui neutri ovvero operai e soldati. In una colonia tipica di api ad esempio, le femmine neutre sono molto più piccole della regina e hanno ovaie ridotte. Queste femmine non possono quindi riprodursi, ma hanno il compito di prendersi cura della prole, mantengono funzionante l’intero alveare, raccolgono il polline e immagazzinano il miele.

In molte specie di insetti eusociali gli individui della casta che non si riproduce possono a loro volta presentarsi in forme e dimensioni diverse a seconda del ruolo che ricoprono. Ad esempio in molte colonie di formiche gli individui più grandi e aggressivi costituiscono la casta dei soldati e hanno il compito di difendere la colonia. Per assolvere questo compito mettono spesso a rischio la propria vita o compiono veri e propri atti suicidi. È il caso di alcune specie di formiche, simpaticamente dette “formiche kamikaze”, come ad esempio la Colobopsis esplodens, che “sparano” contro i nemici il contenuto di ghiandole velenifere in maniera così violenta da rimanerne uccise.

Esistono casi di “aiuto parentale” anche nel mondo vegetale?

La capacità di riconoscere i propri parenti e comportarsi con loro in maniera più altruistica di quanto si faccia con altri individui non imparentati non è prerogativa del mondo animale. La maggior parte delle piante è strettamente circondata da altre piante. Questo significa competere intensamente per le risorse indispensabili alla vita vegetale: la luce, l’acqua e i nutrienti minerali. I vicini più prossimi possono essere di un’altra specie, estranei della stessa specie o parenti.

Diversi studi hanno evidenziato che, quando sono individui imparentati a crescere a stretto contatto, il grado di competizione è minore. È il caso del ravastrello americano (Cakile edentula), che cresce in un ambiente dunale, dove i nutrienti sono scarsi e dove avere radici forti è fondamentale per la sopravvivenza. In questa specie, se a crescere vicino sono parenti, le radici si sviluppano di meno, sono meno forti e meno invasive. In questo modo non sottraggono molte energie agli altri. Al contrario, se a crescere vicino sono individui non imparentati, le radici sono più aggressive, in modo da “vincere” la competizione con gli altri.

Lo stesso meccanismo è stato documentato in altre specie e si differenzia a seconda di quale sia la risorsa maggiormente limitante. Ad esempio in ambienti in cui scarseggia la luce, individui imparentati possono ridurre il volume delle loro fronde, in modo da “dividersi la luce più equamente”.

Come funziona la matematica dell’altruismo?

Due scienziati hanno provato a spiegare e formalizzare il fenomeno dell’altruismo servendosi della matematica. Il primo fu William D. Hamilton che, con una semplice formula, ha messo in relazione i costi di un atto altruistico con il grado di parentela che intercorre tra l’individuo altruista e il beneficiario del suo atto. In questo modo formalizzò uno dei modi in cui l’altruismo può evolvere: la selezione di parentela.

In base a questa teoria, un individuo può decidere di aiutarne un altro, anche a costo della propria vita, perché con quell’individuo è strettamente imparentato. In questo modo, anche se sacrifica sé stesso, può salvare un numero congruo e sufficiente di copie dei propri geni, che sono contenuti nei suoi parenti stretti.

Fu però George Price che, con un’elegante equazione presentata su Nature nel 1970, riuscì a tenere insieme tutti i fattori che concorrono all’evoluzione dell’altruismo. Non solo la selezione di parentela dunque, ma anche la selezione di gruppo, che spiega i comportamenti altruistici al di fuori della famiglia. Con questa equazione George Price ha in qualche modo contribuito a porre fine a una fase in cui selezione di parentela e selezione di gruppo erano viste come due teorie contrastanti, invece che due spiegazioni diverse e ugualmente valide dello stesso fenomeno evolutivo.

Che cos’è il trucco dell’ala spezzata?

In molte specie di uccelli che nidificano a terra è frequente osservare individui che, in presenza di predatori, simulano la rottura dell’ala. In questo modo si mostrano particolarmente vulnerabili agli occhi del predatore, qualificandosi come facili prede. Questo comportamento ha lo scopo di attirare l’attenzione su di sé e distoglierla dal nido e dai nidiacei. Molte altre specie animali adottano simili trucchi per proteggere i propri parenti stretti oppure i membri del proprio gruppo, esibendo una varietà di comportamenti curiosi e affascinanti.

Come funziona l’exaptation e che legami ha con l’altruismo?

L’exaptation è un meccanismo evolutivo per cui un certo tratto, che si è evoluto per una certa funzione, in un certo ambiente e sotto certe pressioni selettive, viene riadattato e riutilizzato per altre funzioni. L’esempio più classico di exaptation è quello che riguarda le piume, inizialmente evolutesi per migliorare la termoregolazione, ma la cui struttura si rivelò poi particolarmente efficace per il volo.

Il fenomeno dell’exaptation è frequentissimo nell’evoluzione ed è una conseguenza del fatto che la selezione naturale può agire solo su tratti già presenti, riadattandoli, all’occorrenza, per soddisfare nuove pressioni evolutive. Questo meccanismo non riguarda solo strutture o organi, ma può interessare anche i tratti comportamentali. E infatti è un meccanismo che ci viene in aiuto per spiegare alcuni comportamenti altruistici e cooperativi, soprattutto quelli particolarmente complessi, come quelli che osserviamo nella nostra specie.

Questi comportamenti si sono evoluti per selezione di parentela o selezione di gruppo, ma, in alcune specie potrebbero essere stati alla base dello sviluppo di capacità emotive più complesse, come il coinvolgimento emotivo e l’empatia cognitiva. Nella nostra specie i concetti di altruismo e solidarietà sono stati addirittura elevati a norme morali, che sovente estendiamo non solo alla nostra famiglia o al nostro gruppo sociale, ma anche a tutta la specie umana fino ad altre specie.  

Il dilemma della vita è anche quello fra individualismo e sociale, come bilancia le due istanze il meccanismo evolutivo?

Siamo spesso inclini a pensare che le specie con un comportamento sociale complesso siano in un certo senso più evolute. Ma se è vero che gli animali che vivono insieme possono aiutarsi in molti modi, è anche vero che la vita sociale comporta molti costi. La scelta se cooperare o meno si basa quindi su un continuo bilancio tra costi e benefici e competizione e cooperazione sono entrambi potenti motori evolutivi.

Esistono esempi di solidarietà o di cooperazione inter-specifica?

In natura esistono molti esempi di interazioni non competitive e non aggressive tra membri di specie diverse. Le spiegazioni alla base di queste relazioni sono diverse. Nella loro forma più estrema queste relazioni si manifestano nelle simbiosi obbligate, cioè quando due specie sono strettamente interdipendenti tra loro e la vita degli individui coinvolti è indissolubilmente legata a quella degli altri.

D’altra parte, le relazioni non competitive tra specie diverse, possono limitarsi alla reciproca tolleranza o anche al semplice opportunismo. Tra questi due estremi c’è una vasta gamma di relazioni cosiddette mutualistiche, in cui le specie traggono ugualmente vantaggi dal rapporto reciproco e in cui le interazioni possono manifestarsi sotto varie e sorprendenti forme di collaborazione.

Esistono casi di cooperazione anche nella caccia e, al contrario, nella difesa del branco?

Nella mostra abbiamo raccolto alcuni esempi particolarmente affascinanti di cooperazione tra specie diverse. È il caso della caccia comune tra murene e le cernie, che si basa su forme di comunicazione complesse, come quando la murena, una volta individuata la preda, ne indica il nascondiglio alla cernia per poter sferrare insieme l’agguato. Oppure l’alleanza tra ghiozzi e gamberi per cui, mentre il ghiozzo fa la guardia, il gambero libera dalla sabbia la tana che condividono.

Alla mostra è esposta una riproduzione della gorilla Koko, perché?

L’idea di inserire la storia della gorilla Koko nella mostra è un regalo del Muse.

Koko era una gorilla di pianura occidentale nata nel 1961 nello zoo di San Francisco. La particolarità di questo animale è stata quella di aver imparato a comunicare con gli esseri umani attraverso la lingua dei sordomuti americani, di cui conosceva più di 1.000 segni che era in grado di decifrare e utilizzare in modo appropriato. Proprio attraverso la lingua dei segni Koko chiese un gatto come regalo di Natale di cui si prese cura per lungo tempo come se fosse il suo cucciolo. Quando poi il gattino morì Koko reagì alla notizia utilizzando i segni “male, pianto”.

Questa storia, seppur si sviluppi in una situazione non naturale, cioè in cattività, ci offre degli spunti di riflessione sul tema dell’empatia negli animali, un argomento che affrontiamo in una delle sezioni della mostra. Questa vicenda infatti ci fa riflettere sul fatto che sono ancora molti gli aspetti per noi misteriosi riguardo le emozioni nel mondo animale e le relazioni che possono scaturirne.

© Riproduzione riservata