Cultura

Il mito ci mette in contatto con sfere segrete dell’anima. Pavese lo aveva capito

Giulio Guidorizzi, accademico e traduttore, è autore del libro Sofocle, L’abisso di Edipo, appena pubblicato da Il Mulino.\\u00A0Illustrazione di Marilena Nardi
Giulio Guidorizzi, accademico e traduttore, è autore del libro Sofocle, L’abisso di Edipo, appena pubblicato da Il Mulino. Illustrazione di Marilena Nardi

Neppure volendo l’uomo potrebbe fare a meno di una narrazione mitica, che si infila fra i pensieri consapevoli e i simboli pre-logici, dimensioni essenziali della coscienza

  • Kelethmòs: incantesimo. Questo è da sempre il felice inganno del mito: sedurre le menti di chi ascolta, trasmettendo racconti ed emozioni. Il mito, infatti, è prelogico.
  • Sono storie in cui il bene e il male si mescolano, ed emergono emozioni primarie che scuotono sin dal profondo: Achille è dominato dall’ira, Medea dalla gelosia, Elena dalla voluttà, Edipo dalla smisurata voglia di scoprire il proprio segreto.
  • Molti ne furono sedotti. Scriveva Cesare Pavese: «Si sarebbe volentieri fatto a meno di tanta mitologia». Ma non si può, perché il mito (ancora parole sue) è un vivaio inesauribile di simboli.

Ulisse siede nella reggia dei Feaci raccontando le sue avventure meravigliose e strane; è sera, e le fiaccole si smorzano a poco a poco, mentre i convitati lo ascoltano rapiti, quasi dimenticandosi di sé. Quando finisce, «tutti rimasero muti, in silenzio, presi da un incantesimo, nella sala in cui si allungavano le ombre». Kelethmòs: incantesimo. Questo è da sempre il felice inganno del mito: sedurre le menti di chi ascolta, trasmettendo racconti ed emozioni. Così facevano anche le Sirene: e pos

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