Gli eruditi parlerebbero di ucronia e di storia contro-fattuale, i millennials penseranno alla Gwyneth Paltrow di Sliding Doors e i cinefili con il maglione a collo alto alle due Veroniche di Krzysztof Kieslowski. Mentre gli argentini, che tutto sanno, e che non governano il mondo solo perché in fondo non ne hanno voglia, direbbero – come al solito – che tutto questo lo aveva già previsto l’eternauta Jorge Luis Borges nelle sue Finzioni. Dove tra poliziesco e fantascienza, uno stesso personaggio può imboccare diversi sentieri, che poi si biforcano e continuano a esistere in altri mondi paralleli. Un labirinto temporale in cui alternative diverse producono diverse conseguenze e diversi futuri. Arriva da un’Argentina distopica, un po’ Orwell e un po’ Black Mirror, con certi spettri vintage che tornano dagli anni ’90 guidando fantastiche Delorean neoliberiste.

Il Messi-Verso

Che il paese non stesse benissimo lo si era capito lo scorso settembre, quando il tiktoker Francisco Parata, studente di Sociologia annoiato dalla lettura di Ferdinand de Saussure, metteva nel frullatore dell’Intelligenza Artificiale il “Corso di linguistica generale” del semiologo svizzero e una conferenza stampa di Lionel Messi, facendo sì che fosse proprio Leo, con quel suo pacato accento rosarino, a insistere sul «carattere indissolubile della relazione tra significato e significante». Pochi giorni prima, la cantante Juliana Gattas chiedeva su twitter «una app di meditazione con la voce di Messi». Da allora, con un fondo sonoro new age, la Pulce vi invita a chiudere gli occhi e respirare in modo lento e profondo: «Sei in piedi, al centro di un hermoso stadio de fulbo, le tribune sono piene di tifosi appassionati, ma la tua concentrazione è tutta sul campo. Senti l’erba sotto i piedi, fresca…e suavecita». Da provare.

Nel 2022, per la campagna Impossible is nothing che precede i Mondiali, Adidas mette in scena un torello virtuale tra i cinque diversi Leo Messi che hanno disputato una Coppa del Mondo, ognuno con la propria divisa albiceleste. C’è il Messi adolescente del 2006 e quello del 2010 non ancora capitano; il Messi coi capelli corti del 2014 e quello più adulto visto in Russia e Qatar, con la barba fatta crescere una volta scaduto il contratto con la marca di rasoi Gillette. Nel video, i vari Leo si cercano e si chiamano tra loro al ritmo dell’inconfondibile Live is Life degli Opus, colonna sonora del riscaldamento più circense della storia fútbol, eseguito a Monaco di Baviera da Maradona una sera d’aprile del 1989.

Nel novembre del 2020, pochi giorni dopo la scomparsa di Diego, Messi celebra un gol segnato al Camp Nou di Barcellona levando braccia e occhi al cielo: sotto la camiseta blaugrana indossa la numero 10 del Newell’s Old Boys, il club di Rosario con cui Maradona era tornato a giocare in Argentina, il 13 settembre 1993. Quel giorno, si narra, sui gradoni dello stadio oggi intitolato a Marcelo Bielsa, un minuscolo Lionel Messi Cuccittini, di appena sei anni, stringeva forte la mano di suo padre Jorge. Sul prato, alla destra di un Maradona felice, i fotografi immortalavano – per sbaglio o per destino – un quindicenne Lionel Scaloni, all’epoca nelle giovanili del Newell’s, con i riccioli mori e lo sguardo fisso sull’idolo di una vita.

La storia ufficiale

Le molte biografie di Leo Messi ci insegnano che l’anno seguente la Pulce passa dal modesto club di quartiere “Grandoli” alle inferiori del Newell’s Old Boys, segnando 40 gol in 29 partite. Una media mantenuta costante fino al 2000, quando da quelle parti capita Federico Vairo, storico osservatore del River Plate, padrino di bandiere del Millonario come Ubaldo Fillol, Passarella, Ramón Díaz, Marcelo Gallardo, Ariel Ortega, Matías Almeyda, Hernan Crespo. Su richiesta di Jorge Messi, Vairo accetta di buttare Leo in mezzo a dei ragazzini tre anni più grandi di lui. La tappa seguente sono i famosi tre giorni di provini nei campetti della Città Universitaria di Buenos Aires, dietro allo stadio Monumental, nell’agosto del 2000.

Stavolta, chi resta folgorato è il coordinatore delle sezioni infantili Eduardo Abrahamian, che prega la dirigenza dell’epoca di fermare quel pibe minuscolo e geniale, un misto tra Sivori e Maradona, ripeterà nelle malinconiche future interviste. Ad appoggiarlo, c’è un'altra autorità del settore, il brasiliano Vladem Lázaro Ruiz Quevedo detto Delém, per vent’anni a capo delle sezioni giovanili del River Plate, un vivaio nel quale avrà il merito di separare, tra i molti, i fratelli Higuain, Andrés D’Alessandro, Radamel Falcao, Pablo Aimar, Javier Saviola e Javier Mascherano. Sono i preziosi anni in cui il club produce ed esporta talenti in serie, accumulando un patrimonio e un prestigio che gli permettono di attraversare indenne le tormente economiche del paese, fatali per istituzioni non meno importanti come Racing o San Lorenzo. Ed è in questo indiscutibile (ma narrativamente comodo) contesto di crisi sociale ed economica che si è soliti collocare il Messi-dramma, perfetto copione in stile Netflix: caos, disoccupazione, mancanza di cure e medicinali, la dolorosa partenza per l’Europa. Lo sradicamento e il destierro di intere famiglie obbligate a emigrare, generazioni di calciatori argentini cresciuti o direttamente nati in Spagna, come gli Icardi e i Garnacho.

Eppure, con il passare del tempo, e con il progressivo tramonto dell’era Messi, anche questa versione patinata comincia a mostrare le sue rughe. Circolano voci che nessuno si prende la briga di smentire: le cure ormonali del piccolo Lionel, in realtà coperte per l’80% dalla sanità pubblica argentina (e solamente terminate in Catalogna); l’essere scartato in quanto non appartenente al club Renato Cesarini di Rosario, scuola-calcio fondata nel 1975 dai fratelli Eduardo e Jorge Solari (che da allenatore del Tenerife consegnerà il futuro genero Fernando Redondo al Real Madrid di Jorge Valdano); e soprattutto, l’esistenza di un nucleo di ex giocatori del River entrati nell’orbita del Renato Cesarini in qualità di agenti e osservatori. I quali, secondo Federico Vairo, morto nel 2010, incassavano commissioni e percentuali per ogni ragazzino accettato dal River, e per ogni suo successivo passaggio di categoria, debutto in prima squadra e vendita all'estero. Un meccanismo capace di emarginare persino lo stesso Delém, insolitamente licenziato nel 2001.

Nel giugno del 2014, la Rivista 1986, organo ufficiale del River Plate, dedica un numero ai dubbi irrisolti e ai luoghi comuni dell’affaire Messi. In copertina, la Pulce con addosso la camiseta biancorossa delle Gallinas. La figurina mancante nell’album del Messi-Verso. La scelta non fatta, il sentiero non preso, che avrebbe forse cambiato la storia ufficiale. Sempre che non sia comunque successo, in un mondo parallelo.

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