Il nostro pianeta ha la febbre alta: numeri per curare la crisi climatica

Siamo sempre più vicini alla fine del 2025, ma solo ora si hanno dati precisi su come è andato l’andamento ambientale del 2024, un anno durante il quale la crisi climatica ha registrato un peggioramento sotto ogni profilo, tuttavia non è ancora troppo tardi: con misure decise possiamo ancora contenere il riscaldamento globale. Da decenni il cambiamento climatico è al centro dell’attenzione internazionale e non sorprende che già nei primi anni Ottanta le stime elaborate dagli scienziati del gigante petrolifero ExxonMobil si siano dimostrate incredibilmente precise. I danni provocati da un pianeta sempre più caldo e turbolento si stanno intensificando e diventano via via più costosi per le società. Nonostante ciò, molti paesi nel mondo faticano a rispettare gli impegni sulle emissioni di gas serra: anche nelle ultime settimane abbiamo assistito a gap senza precedenti tra le promesse e ciò che è effettivamente realizzato per tenere il riscaldamento globale entro +1,5 °C rispetto all’era preindustriale. L’ultimo rapporto sullo stato del clima evidenzia che questa disconnessione ci sta traghettando lungo una traiettoria molto pericolosa. Le barriere coralline collassano, è un altro punto di non ritorno Una storia che si ripete I parametri vitali del pianeta mostrano segnali chiari di malessere: il 2024 è stato probabilmente l’anno più caldo mai registrato e, secondo alcune stime addirittura il più caldo degli ultimi 125.000 anni. Ogni anno vengono monitorati circa 34 indicatori fondamentali: nel 2024 ben 22 di questi hanno toccato valori record. Tra questi figurano concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica e calore oceanico mai così elevate, così come perdite di copertura arborea dovute agli incendi. Il consumo globale di carne è incrementato ulteriormente e l’impiego di combustibili fossili ha toccato nuovi picchi. Le conseguenze dell’inazione climatica si fanno ogni giorno più evidenti: in questo anno le barriere coralline del pianeta hanno subito lo sbiancamento più vasto mai osservato, interessando circa l’84 per cento della superficie corallina mondiale tra gennaio 2023 e maggio 2025. I ghiacci di Groenlandia e Antartide hanno raggiunto minimi storici e il numero di disastri legati al clima — mortali e costosi. Dal 2000 a oggi, le catastrofi climatiche globali hanno prodotto danni stimati nell’ordine dei 27 trilioni di dollari. Queste storie e cifre, purtroppo, non sono nuove: allarmi analoghi sono stati lanciati ben prima del nostro rapporto annuale inaugurato nel 2020. Realtà o illusione cosmica? La sfida aperta dei buchi neri Emissioni in crescita Per questo, l’edizione di quest’anno del rapporto dell’ambiente pubblicato su BioScience, pone l’accento su tre grandi ambiti d’azione ad alto impatto: energia, natura e alimentazione. Sul fronte energetico, l’uso combinato di energia solare ed eolica ha segnato un nuovo record nel 2024, ma resta ancora circa 31 volte inferiore rispetto all’energia prodotta da fonti fossili. Ciò nonostante, le rinnovabili si confermano la scelta economicamente più vantaggiosa per nuove installazioni in quasi tutto il mondo. Uno dei motivi del ritardo nella transizione è il persistere dei sussidi ai combustibili fossili. Entro il 2050, solare ed eolico potrebbero fornire quasi il 70 per cento dell’elettricità globale: tuttavia questa trasformazione necessita non solo di promuovere le rinnovabili, ma anche di ridurre drasticamente il potere dell’industria dei combustibili fossili e di eliminare produzione e utilizzo di carbone, petrolio e gas, non di vederli espandersi, come purtroppo continua a verificarsi. A causa dell’aumento del consumo di energie fossili, le emissioni globali di gas serra correlate all’energia sono salite dell’1,3 per cento nel 2024, toccando il massimo storico di 40,8 Gt di CO₂ equivalente. I maggiori emettitori sono stati la Cina (30,7 per cento del totale), gli Stati Uniti (12,5 per cento), l’India (8,0 per cento), l’Unione Europea (6,1 per cento) e la Russia (5,5 per cento) — insieme rappresentano il 62,8 per cento delle emissioni mondiali. In molti casi, l’aumento della produzione energetica da fonti fossili può essere stato alimentato dalle temperature più elevate e dalle ondate di calore. L’energia solare può alimentare tutto il mondo? Quanta superficie serve e l’alternativa nucleare Biodiversità Sul fronte della natura, la protezione e il ripristino degli ecosistemi terrestri e marini rimangono tra le strategie più efficaci per contrastare il cambiamento climatico e per promuovere il benessere umano e la biodiversità. Difendere ambienti quali foreste, zone umide, mangrovie e torbiere potrebbe contribuire a evitare o rimuovere circa 10 Gt di emissioni di CO₂ all’anno entro il 2050, pari a circa il 25 per cento delle emissioni attuali annue. Ma è anche fondamentale fermare la distruzione in corso: nel 2024 la perdita di copertura arborea globale ha raggiunto quasi 30 milioni di ettari (più o meno come la superficie dell’Italia), la seconda più alta mai osservata, segnando un aumento del 4,7 per cento rispetto al 2023. Le perdite di foreste primarie tropicali sono state particolarmente gravi: gli incendi hanno distrutto 3,2 milioni di ettari nel 2024, contro 690mila ettari nel 2023, segnando un incremento del 370 per cento. Il buco dell’ozono si sta richiudendo, la Terra guarisce lentamente Alimentazione In tema di alimentazione, circa il 30 per cento del cibo prodotto a livello globale viene perso o sprecato: ridurre questo spreco potrebbe abbattere in modo consistente le emissioni di gas serra, che a esso sono correlate per circa l’8-10 per cento. Sostenere politiche che promuovano diete più ricche di alimenti di origine vegetale può contribuire a rallentare il cambiamento climatico e al contempo offrire benefici per la salute umana, la sicurezza alimentare e la biodiversità. Il potenziale tecnico di mitigazione legato all’abbandono del consumo eccessivo di carne è stimato tra 0,7 e 8,0 Gt di CO₂ equivalente all’anno entro il 2050: in gran parte ciò dipende dal fatto che le emissioni di metano prodotte da bovini, pecore e altri ruminanti rappresentano circa la metà delle emissioni agricole totali. Nel 2024 il consumo pro capite di carne ha raggiunto un nuovo massimo storico e ogni settimana si aggiungono circa 500.000 ruminanti in più alla zootecnia globale. Africa, le città divorate da burroni: centinaia di migliaia di persone rischiano la casa Oltre la “politica” Infine, il rapporto evidenzia che il cambiamento globale richiede più della semplice evidenza dei fatti e delle politiche: occorre consentire ciò che chiamiamo “punti di svolta sociali”, ovvero quei momenti in cui una minoranza impegnata riesce a provocare rapidamente e su larga scala un cambiamento nelle norme sociali, nelle convinzioni o nei comportamenti. La ricerca mostra che movimenti durevoli e non violenti, coinvolgendo anche una piccola parte della popolazione — circa il 3,5 per cento – possono dare il via a una trasformazione di vasta portata. Spesso le persone sottovalutano quanto sia elevato il sostegno globale all’azione climatica e si considerano in minoranza: questo può favorire il disimpegno e l’isolamento. Ma ciò suggerisce anche che, con crescente consapevolezza e percezione che i valori individuali siano condivisi da altri, si possono rafforzare le condizioni per tali svolte sociali. Per arrivare a un punto di svolta positivo non bastano dati e regolamenti: servono connessione, coraggio e determinazione collettiva. Le strategie di mitigazione del cambiamento climatico esistono, sono convenienti e urgenti, e possiamo ancora limitare il riscaldamento globale se agiamo con decisione e rapidità, ma la finestra d’azione si sta rapidamente chiudendo.