Spumeggiante e irriverente come un inalatore di umorismo surreale: di quali magici intrugli si sarà alimentato Wes Anderson per riscuotersi come un folletto dal suo ultimo e sonnolento Asteroid City? Via i presepini grafici delle ultimissime opere, quel cesellare chic che incanta o irrita a sangue - a seconda dei punti di vista - ecco tornare il Maesto di culto de I Tennenbaum con l’ironia dissacrante dei suoi primi passi, ma nuovo di zecca. Il suo The Phoenician Scheme (La trama fenicia, il titolo italiano) arriva in concorso nel mezzo del cammin di Cannes 78, ed è una boccata d’ossigeno.

Dimenticate le sue proverbiali e stralunate commedie corali. Qui Benicio Del Toro campeggia come un frontman carismatico, il décor retrocede a optional e il ritmo mette il turbo. E il plotone delle guest star, sempre imponente, è più imponente che mai. Michael Cera, Tom Hanks, il Bryan Cranston di Breaking Bad, Scarlett Johannson, Mathieu Amalric, Jeffrey Wright, Riz Ahmed, Willem Dafoe, Richard Ayoade, il suo immancabile Bill Murray e gli interpreti dei suoi quattro corti ispirati a Roald Dahl, Benedict Cumberbatch e Rupert Friend: scusate se ne ho tralasciato qualcuno.

Lo squalo Zsa-Zsa

Chi è nel film Benicio Del Toro? Diciamo uno spregiudicato squalo dell’alta finanza, perfettamente amorale come i suoi simili, di nome Zsa-Zsa Korda. Dipinto però con l’energia indiavolata di un Indiana Jones del deep business, nemico pubblico Grandi Poteri mondiali gestiti dalle multinazionali. È una svolta a U dopo il suo criminale pittore di The French Dispatch, che ritraeva con ardore e senza veli la carceriera Scarlett Johansson. È più che un avventuriero. È un Die Hard che salva miracolosamente la pelle dagli attentati mortali a catena orditi dai suoi rivali.

Il suo biglietto da visita, dopo pochi secondi di film, è il bimotore privato squarciato da un’esplosione. Zsa-Zsa trova il tempo di bisticciare col pilota prima di catapultarlo serenamente fuori dalla cabina, come nelle auto del buon vecchio James Bond, e impugnare la cloche. L’aereo precipita, le tv news intonano il coccodrillo del tycoon, ma lui è vivo e vegeto, anche se con le budella in libera uscita. Passando per l’Aldilà, con William Dafoe a officiare, ha chiesto: «Ma cosa ci faccio qui?»

Siamo negli anni Cinquanta, ottima scusa per riciclare le mezze tinte vintage che del regista sono la tavolozza. Ritroviamo Zsa-Zsa nella sua maestosa magione, dove ha convocato Sorella Liesl (Mia Threapleton), la figlia che sta per prendere i voti e che non vede da sei anni. Le ispira un odio implacabile perché “si dice” che abbia ucciso sua madre. E mentre sul tavolo piovono frecce incendiarie dalla balestra dei figli veri e adottivi, la nomina sua erede universale. Provvisoria, però.

L’avventura è l’avventura

The Phoenician Scheme è un film di gag a velocità massima: il ‘rosario laico’, oro e smeraldi, che rimpiazza d’autorità quello ordinario di Liesl, le casse di granate che il businessman porta sempre con sé e offre cortesemente agli amici come se fossero sigari, «perché me ne avanzano». Zsa-Zsa viaggia su e giù per la sterminata Phoenicia senza passaporto, «perché non sono un cittadino e me ne fotto dei diritti umani». 

Il faraonico affare di puro sfruttamento imperialista in cui trascina Leisl e il suo assistente Michael Cena (che si spaccia per botanico ma è un insider dei Servizi Segreti) fa tappa, per definire i contratti, tra dune arabiche (dove la posta si gioca con Tom Hanks, Bryan Cranston e Riz Ahmed a colpi di tiro in canestro) e il night club gangsteristico di Marseille Bob, che è Mathieu Amalric. Inutile dire che il locale richiama Casablanca.

Ma più sorprendente è la citazione dichiarata di Luis Bunuel: è Anderson stesso a confermare che l’incursione a sorpresa di un gruppo di terroristi, che interrompono l’incontro d’affari, è ispirata a Il fascino discreto della borghesia. Sabbie mobili, nuovi crash rovinosi terra-aria, pallottole estratte da martoriato corpo di Zsa-Zsa con le dita: Wes Anderson si (ci) propina esilarante azione a palate.

Sarà poi la volta di Scarlett Johansson, la cugina Hilda che Benicio deve impalmare per puro calcolo. Ma il viaggio in realtà ha anche un obiettivo segreto, il più rilevante: scoprire se Liesl, che ama tanto, può essere figlia d’altri. Del fratello Uncle Bear (Benedict Cumberbatch), in particolare, che potrebbe essere anche il vero assassino di sua moglie, e chiarire il mistero. I ricorrenti sogni, in rigoroso bianco e nero, non rivelano niente, ma mi è sembrato di riconoscere Juliette Binoche, qui Presidente della giuria, nei panni della consorte, e dietro il barbone candido di Dio c’è inconfondibilmente Bill Murray.

Quando dopo tante peripezie Benicio sta finalmente annunciando la stipula di un contratto che comporterà rapina di risorse, fame e riduzione in schiavitù delle popolazioni fenice (e il regista piazza anche un cardinale, per la multinazionale Chiesa di Roma, tra i firmatari), divampa finalmente la resa dei conti tra fratelli rivali, un duello su scalinata come nei vecchi film di cappa e spada con Errol Flynn. L’affare va a rotoli e il tycoon si converte alla filantropia della figlia: azzera il suo patrimonio per cancellare carestia e schiavitù. Senza svelare il finale, lavorando ai fornelli e liberando la sua tribù di figli e figliastri dal dormitorio in cui li aveva cinicamente relegati, si può anche campare.

Luis Bunuel nel cuore

Lo Zsa-Zsa di Del Toro è un personaggio in piena transizione, il patriarca di una famiglia disfunzionale alla Tennenbaum, che si interroga sul senso di un’esistenza di conflitti che gioca a scacchi con la morte. Ma la vera scoperta è la passione di Wes Anderson per Bunuel. Nell’intervista esclusiva che ha rilasciato ai Cahiers du Cinéma sostiene che durante le riprese di The Phoenician Scheme col suo sceneggiatore Roman Coppola continuavano a paragonare i loro personaggi a quelli dei suoi film, da Bella di giorno a Quell’oscuro oggetto del desiderio, passando per Viridiana. «Fernando Rey - dice - avrebbe potuto interpretare Zsa-Zsa. Ma anche Luis Bunuel in persona!».

Ma c’è anche un’affinità spirituale. «Penso a Tsa-Tsa come agli uomini più ricchi del mondo, che credono di poter usare il loro ego per dirigere l’umanità, per cambiare il corso dell’esistenza di tutti gli altri individui, usando le loro risorse per creare, distruggere, spostare popolazioni intere, alterare il pianeta». In automatico si pensa agli Usa di oggi: «Inconsciamente succede che si reagisca a quanto accade nel mondo, magari appena prima che accada».

Quanto alle scatole da scarpe in cui il magnate conserva le chiavi del suo patrimonio, il riferimento diretto è al suocero del regista, a cui il film è dedicato. «Conservava i suoi documenti di lavoro dentro le scatole da scarpe, e quando ha cominciato a soffrire di demenza senile ha proposto alla figlia di mostrarle i suoi progetti: una visita guidata tra le scatole da scarpe. Una follia, eppure ci si raccapezzava, e gestiva alla perfezione una corposa équipe in Medio Oriente».

Per sommo chic, le opere d’arte usate per la villa di Zsa-Zsa sono autentiche, e le vedrete scorrere sui titoli di coda. Vengono da grandi musei europei, e autentici sono i gioielli, prestati da Cartier. «È di norma rischioso portarle su un set, ma è divertente alla follia utilizzarle, e le scene risultano più autentiche».

© Riproduzione riservata