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Appena il romanzo uscì lo scrittore venne chiamato da sua madre. «È un capolavoro!» gli disse. «L’hai già letto?» «No, ma che c’entra? E poi lo dicono tutti, non li hai comprati oggi i giornali?».
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In effetti, erano tutti capolavori. A un’attenta analisi delle newsletter editoriali, dei lanci d’agenzia, dei comunicati stampa, delle segreterie dei premi, quegli anni pullulavano di capolavori, capolavori di qui e capolavori di là.
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Capolavori del realismo, capolavori del minimalismo, capolavori del postmoderno, capolavori del thriller e del giallo e del noir (che erano generi diversissimi, ma uniti dal loro essere unanimemente riconosciuti, per l’appunto, capolavori assoluti).
Lo scrittore guardò con sincero disinteresse le tre fascette che l’editore gli proponeva per il suo nuovo romanzo. La prima diceva: «Si legge in poche ore e poi non si dimentica più»; la seconda: «Se leggete un solo libro l’anno, fate che sia questo»; la terza: «È un capolavoro». Scelse la terza perché era la più concisa, anche se già nel risvolto di copertina la nota redazionale faceva intendere tra le righe che sì, quello che il lettore teneva in mano era proprio un romanzo eccezionale, il mi



