Passerò questo Natale da solo, a casa, a studiare le poesie di Chinua Achebe. Martedì 27 sarò a Terni, presso “FAT - Art Club”, per una manifestazione culturale denominata Fluxus Mundi, dedicata al tema dell’immigrazione. Il mio compito sarà di interpretare Achebe, fra i più grandi, forse il più grande narratore e poeta in lingua inglese della storia della letteratura africana del Novecento. Post-coloniale, la chiamiamo, questa letteratura.

Che ironia… Devo darmi da fare. Non posso sbagliare niente, anzi… Devo prestare la mia voce, corrotta da cinquanta sigarette al giorno, alla sua poesia struggente, al suo sguardo su di un mondo che crolla, su speranze sempre vane, su dolori e lutti senza fine, sul sangue innocente di milioni di bambini che non ci sono più, sulla più grande sorella della mia immaginazione politica, l’Africa.

L’Africa

Una foto d'archivio del 12 ottobre 2002, con lo scrittore nigeriano Chinua Achebe a Francoforte, in Germania (Foto Frank May/picture-alliance/dpa/AP Images)

Io amo l’Africa. Amo le mie sorelle e i miei fratelli africani, amo l’immensità della sofferenza dei popoli africani, e credo di poter spiegare il perché di tanto amore. Non sono più credente da decenni ormai, ma il mio percorso culturale, la mia esperienza di vita, i miei genitori, le mie sorelle, e poi…

Padre Daniele e Padre Vittorio, del PIME, che frequentavo da fanciullo, don Nandino Capovilla, mio omonimo, fra i fondatori di Pax Christi e sacerdote a Marghera, e naturalmente Francesco, il più bel pontefice nella storia della chiesa cattolica, così come la mia fede politica, le compagne e i compagni di un comunismo ormai invisibile ai più, Dietrich Bonhoeffer, Frederich Gogarten e Karl Barth, che studiai all’università, mi ricordano, con costanza, ogni giorno, ogni ora, ogni istante, che apparteniamo tutte e tutti, senza nessuna distinzione, senza alcuna eccezione, alla grande, immensa famiglia umana. Pensarmi parte di essa mi sembra il ragionamento più semplice del mondo, eppure, chissà perché, è un’idea in declino, un declino forse irreversibile.

Natale in Biafra

(AP Photo/Sunday Alamba)

”Natale in Biafra” fu scritta nel pieno della crisi politica e militare dello Stato del Biafra, alla fine degli anni Sessanta, nel sud della Nigeria. In quell’occasione nacque l’organizzazione internazionale “Medici Senza Frontiere”.

Paradossalmente la traggo da Attento, Soul Brother!, un libro pubblicato da Jaca Book nel 1995 per la “Biblioteca Agip”. La traduzione a cura di Roberto Mussapi e Teresa Sorace Maresca. Ed è davvero un paradosso, perché Agip ed Eni sono state fra le principali multinazionali, certo non le uniche, ad essere accusate d’aver causato la catastrofe ecologica del Delta del Niger.

Oggi in quel Delta, grande come e più di un Piemonte, vivono circa trenta milioni di persone, e la loro speranza media di vita non supera i cinquant’anni. Vorrei chiedere, dunque, alle coscienze di tutte e tutti: che differenza c’è fra un migrante economico e un rifugiato politico? Il tema, per entrambi, è fuggire la morte.

In questo momento così triste e periglioso per la nostra amata Repubblica e per i valori democratici, che sembrano assopiti in non si sa quale nuova ideologia mercantile, ricordare Chinua Achebe significa ricordare i tanti eroi del nostro tempo, che hanno lottato e sacrificato se stessi, per un’Africa libera dal giogo coloniale.

Fra questi, Ken Saro Wiwa, poeta, drammaturgo, narratore, autore televisivo, imprenditore, sì, “imprenditore”, e leader ecologista del Mosop, il Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni. Come mi spiegò Noo, sua figlia, non un rivoluzionario, ma semplicemente un uomo che credeva nel progresso umano, e che fu impiccato dal regime militare nigeriano proprio nel 1995. Del Popolo Ogoni, ormai, quasi non c’è più traccia.

Buon Natale, allora, buon Natale a tutte e tutti, compagne e compagni, sorelle e fratelli. Siete nel mio cuore. Grazie di esistere. Perché senza di voi, non ci sarei neanch’io.

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